Il voto del Pd è molto più “ideologico” di quanto pensassimo, così Bonaccini ha perso nonostante avesse l’appoggio di sostanzialmente tutti gli amministratori del partito
Per analizzare la sorprendente vittoria di Elly Schlein alle primarie di domenica scorsa, la dicotomia voto degli iscritti versus voto degli elettori sarebbe troppo superficiale. Ormai il Pd ha troppi pochi iscritti perché siano rappresentativi della base del partito, tanto più che il sistema – complicatissimo – di rinnovo del tesseramento ha scoraggiato in tantissimi, soprattutto i più anziani, a rinnovare la propria iscrizione.
La domanda che merita un approfondimento è: come è possibile che Bonaccini abbia perso nonostante avesse l’appoggio di sostanzialmente tutti i grandi e piccoli amministratori del Partito democratico?
Presidenti di regione, sindaci, consiglieri regionali, assessori quasi ovunque hanno appoggiato la candidatura del presidente della regione Emilia-Romagna, spesso però non riuscendo a “portare in dote” al loro candidato il voto della propria comunità. Un effetto del tutto inaspettato, forse, se si ritiene che il successo a livello degli enti locali del Pd sia dovuto – esclusivamente – al buon governo dei suoi amministratori.
Certo, è innegabile, il Pd governa bene molte città ed enti locali, questo è abbastanza assodato, ma la verità è che analizzando i flussi elettorali soprattutto delle grandi città e di alcune regioni, possiamo notare quanto il cosiddetto “voto di opinione” costituisce una parte non trascurabile delle ragioni del successo elettorale del Pd.
Pensiamo alle elezioni regionali in Toscana e in Emilia Romagna: certo i cittadini toscani ed emiliani sono soddisfatti di come sono amministrati, ma è innegabile che il grande successo ottenuto da Giani e Bonaccini sia stato influenzato dalla “chiamata alle armi” del voto di opinione di sinistra che voleva “dare un segnale” sul piano nazionale e fermare l’ascesa della Lega di Salvini.
Stessa cosa si potrebbe dire sullo straordinario successo del Pd alle amministrative del 2021, all’indomani dei fatti di Roma con l’attacco alla sede nazionale della Cgil e le campagne “no vax” di una parte della destra italiana.
L’impressione è che la campagna di Bonaccini abbia fatto i propri conti senza questo “voto di opinione” puntando tutto sul “partito degli amministratori” che, nella narrazione bonacciniana, rappresentavano una sorta di avanguardia del Pd più vicina all’elettorato rispetto al partito dei palazzi romani.
Il ritorno del voto ideologico
Il risultato delle primarie del 26 febbraio invece ha restituito una rappresentazione del tutto diversa dell’elettorato del Pd, un elettorato che esprime un voto di opinione politico indipendentemente dalla direzione che buona parte del gruppo dirigente prende e che in questo caso ha premiato una candidatura vista (a torto o a ragione, su questo si potrebbe riflettere a lungo) come in discontinuità con il passato del Partito democratico e soprattutto con una visione politica ben delineata e che si proponeva un orizzonte più ampio di quello di avere una proposta credibile e immediata di governo.
Un voto dunque di opinione, un tempo si sarebbe detto ideologico. Ora la nuova segretaria del Pd deve essere brava a fare tesoro di questa lezione ma anche a capire che il Pd è ormai diventata una infrastruttura democratica del paese ma soprattutto del centrosinistra: la grande partecipazione nonostante il momento difficile, dimostra come il voto d’opinione di cui abbiamo parlato sopra, trova il Pd imprescindibile.
Questa infrastruttura è però sempre più fragile e va manutenuta e in parte ricostruita. Elly Schlein deve dunque intraprendere un percorso anche faticoso di dialogo con quei circoli che a maggioranza hanno votato Bonaccini e far in modo che sempre più elettori del Pd tornino ad esserne anche iscritti. Perché appunto se il Pd non può prescindere dal voto di opinione, il voto di opinione non può prescindere dall’esistenza del Pd.
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