- Il 15 settembre parte a Palermo il processo Open Arms che vede l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini sotto accusa per aver «privato della libertà personale 147 migranti in prossimità delle coste di Lampedusa tra il 14 e il 15 agosto del 2019».
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Le parti hanno presentato le liste dei testimoni che vorrebbero fossero ascoltati. La legale di Matteo Salvini, Giulia Bongiorno ha proposto Ahmed Omar Maiteg, all’epoca dei fatti vice primo ministro della Libia e Joseph Muscat, all’epoca primo ministro della Repubblica di Malta.
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La difesa di Salvini per gli avvocati di parte sembra non reggere alla prova dei fatti: «Tende a coinvolgere tutto il governo “Conte uno”, ma non può condurre a una assoluzione dei comportamenti del ministro Salvini».
Dalla Libia a Malta, Matteo Salvini vuole chiamare tutti in sua difesa. Il 15 settembre parte a Palermo il processo Open Arms che vede l’ex ministro dell’Interno sotto accusa per aver «privato della libertà personale 147 migranti di varie nazionalità giunti in prossimità delle coste di Lampedusa tra il 14 e il 15 agosto del 2019». Fatti, questi, per cui ora Salvini è imputato dei reati di «plurimo sequestro di persona aggravato e rifiuto di atti di ufficio»; per aver violato le numerose convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare e diritti umani, di fatto, «abusando dei suoi poteri».
La lista
Le parti hanno presentato le liste dei testimoni che vorrebbero fossero ascoltati. La legale di Matteo Salvini, Giulia Bongiorno, ha depositato lo scorso 3 settembre al tribunale di Palermo la sua proposta: figura Ahmed Omar Maiteg, all’epoca dei fatti vice primo ministro e vice presidente del Consiglio di Presidenza del Governo di Accordo Nazionale sulla Libia. Per la difesa «potrà riferire sul contenuto degli accordi tra le Autorità italiane e libiche aventi ad oggetto il controllo dei flussi migratori irregolari diretti verso il territorio italiano, nonché sulla loro attuazione nel periodo 2014-2021».
Oltre a Maiteg c’è anche l’ex Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza, Dīmītrīs Avramopoulos, che «potrà riferire sulle iniziative assunte dall’Unione Europea in materia di immigrazione, con particolare riguardo ai progetti di riforma del Regolamento di Dublino, inoltre, in merito alla procedura di ricollocamento e distribuzione di migranti, nonché su quant’altro a sua conoscenza in merito ai fatti oggetto di imputazione».
C’è poi Joseph Muscat, all’epoca primo ministro della Repubblica di Malta che per Bongiorno «potrà riferire in merito alla gestione dei flussi migratori che hanno interessato lo stato maltese e l’Italia» e l’ex presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, che «potrà riferire in merito alla politica dei governi da lui presieduti in materia di immigrazione, con particolare riguardo al contenuto del Contratto per il Governo del cambiamento».
Non solo Conte
Bongiorno ha chiesto che sia ascoltato il “gotha” della politica nazionale al tempo del governo giallo-verde. Molti suoi ex compagni di governo, dunque, come gli ex ministri: Luigi Di Maio, Enzo Moavero Milanesi, Danilo Toninelli, Giovanni Tria e lo stesso ex premier, Giuseppe Conte. A tutti loro sarà chiesto di riferire «in materia di immigrazione, con particolare riguardo al contenuto del Contratto per il Governo del cambiamento». Bongiorno ha già avuto modo di porre le stesse domande a Toninelli nel corso del processo Gregoretti di Catania, che si è concluso con un’archiviazione.
Il politico pentastellato aveva risposto, oltre che con una serie di non ricordo, così: «Politicamente eravamo d'accordo con l'operato di Salvini ma senza che ci fosse un atto formale del Consiglio dei ministri che definisse una responsabilità politica collegiale. C’era una condivisione di intenti per ottenere che altri paesi si impegnassero nella ricollocazione dei migranti». Come dire che nella teoria di non far sbarcare i migranti tutto il governo era d’accordo ma nella pratica di assegnare (o meno) un porto di sbarco, la scelta, però, era nelle mani, esclusivamente, del comandante in capo del Viminale.
Piantedosi
In un primo momento, le stesse accuse che gravano su Salvini, erano state rivolte dai magistrati palermitani anche all’attuale prefetto di Roma e già capo di Gabinetto del Viminale, Matteo Piantedosi. Quando però gli stessi giudici mandarono al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere, chiedendo di poter processare quello che allora era ancora il comandante in capo del Ministero, Salvini, era il 31 gennaio del 2020, lo stesso procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, precisava negli atti che «la posizione del prefetto Matteo Piantedosi, originariamente iscritto nel registro notizie di reato per concorso nei reati attribuiti al senatore Salvini, è stata oggetto di archiviazione». Ora, lo stesso Piantedosi è uno dei 31 nomi che compare nella lista dei testimoni che la legale Bongiorno ha chiesto che vengano ascoltati nel processo.
Una difesa che non regge
La difesa di Salvini per gli avvocati di parte sembra non reggere alla prova dei fatti: «Tende a coinvolgere tutto il governo “Conte uno” nella determinazione di privare dei diritti del mare i naufraghi migranti, una difesa che non può condurre a una assoluzione dei comportamenti del ministro Salvini, che in quella coalizione era l'uomo forte al tempo di quella compagine governativa e che aveva l'assoluto ed incontrastato monopolio della posizione del Governo in materia di immigrazione», ragiona l’avvocato Corrado Giuliano che nel processo di Palermo difende l’Associazione AccoglieRete che si occupa della tutela dei minori stranieri non accompagnati.
Giuliano sottolinea anche «la violazione della Legge Zampa che prevede in ogni caso il diritto dei minori non accompagnati di essere accolti in strutture, vietandone in modo assoluto il respingimento e l'espulsione». Non solo. Nella lista dei testimoni di cui l’avvocata Bongiorno ha chiesto l’ascolto, oltre che i nomi dei politici, compaiono anche quelli dei vertici delle burocrazie militari, come quello di Luciano Carta, all’epoca dei fatti direttore dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna, l’Aise, e di Elisabetta Belloni, già segretaria generale della Farnesina, di recente nominata da Mario Draghi al vertice del Dis, l’agenzia di coordinamento dei servizi segreti italiani.
La versione dei funzionari
L’ammiraglio Sergio Liardo, capo reparto piani e operazioni della Capitaneria di Porto di Roma, è tra questi militari. Ed è anche uno di quei funzionari che erano già stati sentiti dai giudici palermitani in sede di indagini preliminari. Liardo, per esempio, ha raccontato: «Le vicende legate alla Open Arms di agosto 2019 furono qualificate come eventi di immigrazione clandestina e non come eventi Sar, in quanto l’intervento non è stato coordinato direttamente dalla Capitaneria di Porto». E poi ha aggiunto che «non sono a conoscenza di particolari motivi concreti in relazione a un pericolo per la sicurezza nazionale costituito dai migranti a bordo di Open Arms». Contraddicendo, così, una delle tesi su cui si era basato Salvini per giustificare il proprio operato nelle vicende degli sbarchi dei migranti.
Gli stessi funzionari alti in grado del Viminale - che Bongiorno ha inserito nella lista dei testimoni - già ascoltati in passato dagli inquirenti, in qualche modo contraddicono la linea della difesa. Fabrizio Mancini, direttore del Servizio immigrazione e della polizia di frontiera del Ministero dell’Interno, ha dichiarato davanti ai vertici dei carabinieri del nucleo investigativo di Palermo che lo hanno interrogato: «nel corso di tutte le interlocuzioni avute con il Gabinetto del Ministro, non fu affrontata la questione della qualificazione giuridica di Open Arms, se evento Sar, ovvero mera immigrazione illegale». Nonostante ciò, Mancini, tra i funzionari più in grado del Viminale, ha detto che «il Gabinetto del ministro non aveva intenzione di assegnare un Pos a Open Arms».
Emanuela Garrone, già vice-capo di Gabinetto del Viminale, invece, ha raccontato ai carabinieri l’8 gennaio del 2020: «tali infiltrazioni di terroristi nelle rotte migratorie erano state riscontrate in precedenza, anche se posso escludere simili pericoli nel caso di specie». E ancora: «ho avuto l’indicazione dal Ministero dell’Interno di verificare la possibilità di adottare un nuovo decreto di interdizione, dopo la sospensione degli effetti del primo decreto interministeriale. Il nuovo provvedimento fu firmato dal Ministro Salvini, ma non da quelli della Difesa e delle Infrastrutture».
Gli obblighi dell’Italia
Ecco, dunque, come la difesa del leader della Lega per gli avvocati comincia a scricchiolare, anche per le parole riportate nei verbali da quei fedelissimi a cui Salvini ora vuole lasciare la palla. D’altronde - dice a Domani Arturo Salerni , legale della Ong Open Arms, «sussistono degli elementi chiari rilevati dalla lunghissima istruttoria portata avanti nell’indagine, in ordine alle ipotizzate responsabilità per i fatti contestati all’imputato, alcune delle quali riferite dal giudice Lorenzo Iannelli nell’udienza preliminare in cui è stata rivelata la mancanza dei presupposti per il proscioglimento». In sostanza, Salerni si riferisce agli obblighi di diritto internazionale che gravano sullo Stato italiano, dal punto di vista normativo, come il rispetto della Convenzione di Ginevra che tutela i rifugiati. E che un provvedimento ministeriale come la mancata concessione di un porto di sbarco ha potuto in qualche modo violare. Ed è anche per questo che per gli avvocati di parte la difesa di Matteo Salvini non regge. La prima udienza porterà quasi sicuramente un rinvio al 23 ottobre, come ha confermato la cancelleria del tribunale, ma la posizione delle parti è già chiara.
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