- Al Senato Pd, Lega, Fratelli d’Italie e Forza Italia hanno presentato alcuni disegni di legge per ripristinare l’elezione diretta degli enti territoriali, sconfessando la legge Delrio del 2014.
- La discussione nel merito partirà con la stesura del testo base, di cui si occuperà la senatrice della Lega Daysi Pirovano, e qui potrebbero nascere i primi problemi, anche dentro la maggioranza.
- L’incognita più grande è rappresentata dal testo della berlusconiana Licia Ronzulli, che vorrebbe che il governo si occupasse delle funzioni delle province, ristabilendo alcune delle vecchie responsabilità. Un punto che potrebbe generare attrito con la riforma Calderoli sull’autonomia regionale.
Da destra a sinistra, dal Partito democratico a Fratelli d’Italia, arriva una richiesta univoca: aumentare le poltrone politiche da eleggere riesumando le vecchie province. E sconfessando l’osteggiata riforma Delrio del 2014, che fin dalla sua approvazione ha ricevuto più critiche che apprezzamenti, anche dagli stessi partiti che l’avevano promossa e votata. Al Senato quattro gruppi parlamentari – Pd, Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia – hanno presentato alcuni disegni di legge per ripristinare l’elezione diretta degli enti territoriali. che di fatto aumenterà il numero di politici da eleggere. Per non farsi mancare nulla, le stesse proposte di legge prevedono anche il voto diretto dei cittadini per eleggere il sindaco e i consiglieri delle quindici città metropolitane.
I ddl sono stati presentati rispettivamente da Bruno Astorre, segretario regionale del Pd nel Lazio, dalla berlusconiana di ferro e capogruppo di FI Licia Ronzulli, dal senatore di FdI Marco Silvestroni, che tra le altre cose nel 2014 è stato eletto consigliere della Città metropolitana di Roma nella lista di centrodestra, riconfermato nel 2016 e rimasto in carica fino al 2020. L’ultima proposta, invece, è della Lega, firmata dal capogruppo a palazzo Madama Massimiliano Romeo.
Non è escluso che nei prossimi giorni altri partiti presentino altre proposte. Secondo la senatrice Daisy Pirovano (Lega), che è relatrice del tema in commissione Affari costituzionali, anche il Movimento 5 stelle avrebbe in preparazione un suo testo, il Pd potrebbe presentarne una seconda, e anche il terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi sta studiando un suo ddl.
Compatibilmente con i lavori del decreto Milleproroghe, che deve essere approvato entro fine febbraio, i senatori della commissione svolgeranno un ciclo di audizioni, dove verranno ascoltate sia l’Anci, l’associazione dei comuni, sia l’Upi che rappresenta le province.
La discussione nel merito però partirà con la stesura del testo base, di cui si occuperà Pirovano, e qui potrebbero nascere i primi problemi, anche dentro la maggioranza. Essendo diversi i disegni di legge sul tavolo è necessario trovare la convergenza su un unica proposta, in modo tale che si possa procedere con la fase delle modifiche (gli emendamenti).
Problema a destra
Le proposte presentate non contengono solo il ritorno dell’elezione diretta. Solo due si limitano a questo: quella del Pd e quella di Fratelli d’Italia. Ma parte del centrodestra, Forza Italia e Lega, vorrebbe introdurre modifiche anche all’elezione dei sindaci, escludendo il ballottaggio per i comuni con più di 15mila abitanti nel caso in cui il candidato abbia ottenuto al primo turno più del 40 per cento dei consensi.
Probabilmente l’incognita più grande è rappresentata dal testo di Ronzulli. La senatrice vorrebbe che il governo si occupasse delle funzioni delle province, ristabilendo alcune delle vecchie responsabilità, anche in materia finanziaria.
Questo, però, significherebbe togliere alle regioni capitoli di spesa e impegni che tornerebbero nelle mani degli enti più piccoli. Sconfessando in qualche modo la riforma leghista dell’autonomia differenziata, che al contrario vuole affidare alle regioni più poteri.
ll dilemma del Pd
Anche il Partito democratico potrebbe incontrare difficoltà con la riforma. La proposta di Astorre supera in parte la vecchia legge del 2014, firmata da un esponente di spicco del partito, Graziano Delrio. Insomma, non è assolutamente detto che i democratici decidano di fare lo sgambetto alla riforma voluta da solo, ci sarà da discutere. «Faremo delle riunioni e sarà il partito a decidere che linea seguire», dice Astorre.
Intanto, il ministero dell’Interno ha provveduto a fare qualche conto: la revisione della normativa costerebbe circa 223 milioni di euro.
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