- Gli ultimi giorni dell’anno saranno decisivi per capire chi salirà davvero al Colle: parlano i due principali protagonisti: il 22 Mario Draghi, il 31 Sergio Mattarella. Nei due discorsi c’è il destino del paese.
- I leader del centro destra ingarellati da Matteo Renzi studiano quale presidente proporre se Silvio Berlusconi non avesse i voti: Ecco in pista Letizia Moratti, Elisabetta Casellati e Marcello Pera.
- Gli elogi dell’Economist e quelli di Von der Leyen sui dieci mesi del governo finiranno per pesare anche sull’elezione del capo dello Stato. Perché non possiamo permetterci di lasciare a casa Supermario.
Gli ultimi giorni finali dell’anno saranno quelli decisivi anche per la salita a Monte Cavallo. Lo sanno bene i lettori di Domani che, grazie all’indiscrezione raccolta da Daniela Preziosi, hanno appreso già da tempo che Mario Draghi ha anticipato la conferenza stampa di fine d’anno a mercoledì 22 dicembre.
Non è una stranezza assoluta, anche nel 2018 Giuseppe Conte tirò le fila del suo operato nello stesso giorno, così come fece nel 2010 Berlusconi il 23 dicembre.
Certo, fa riflettere soprattutto che l’iter della legge di Bilancio non sia per nulla concluso e insomma c’è una grande domanda sul perché di questo anticipo e che cosa dirà Draghi a proposito dell’elezione del nuovo capo dello stato.
Elezione ormai imminente, visto che il presidente della Camera, Roberto Fico, farà partire le convocazioni per i grandi elettori il 4 gennaio. I commentatori sono divisi: Francesco Verderami sul Corriere è convinto che Supermario non dirà nulla di nuovo sul tema («Draghi sul Quirinale non parlerà»).
Antonio Padellaro sul Fatto invece pensa che qualcosa potrebbe emergere fra le righe del bilancio di fine d’anno. E ancor di più nel discorso di Sergio Mattarella la sera di San Silvestro («Qualcuno arriva a ipotizzare una investitura indiretta cucita sulla figura di Draghi anche se non crediamo che il personaggio possa spingersi a tanto»).
Ugo Magri sull’Huffington Post tira fuori un’analisi scientifica dei discorsi tenuti da Mattarella su dieci suoi predecessori: ne viene fuori un identikit ben ritagliato di chi dovrebbe andare al Colle. Passano l’esame solo Mario Draghi, Marta Cartabia e Pierferdinando Casini.
Il piano del centrodestra
A proposito di nomi, c’è una certa effervescenza nel centrodestra. Il via l’ha dato Matteo Renzi quando ha detto ieri, intervistato dalla Nazione, che «oggi la destra ha i numeri. Non mi pare che abbia però né una strategia, né il candidato. A gennaio spero che tutti arrivino con le idee più chiare».
Come dire: posso votare un candidato al Colle con la destra, a patto che non sia Silvio Berlusconi. Ecco arrivare allora oggi l’indiscrezione di Repubblica secondo cui ci sarebbe stato un incontro segreto fra Letizia Moratti e Giorgia Meloni.
Ed ecco, sempre stamattina, una grande foto di Marcello Pera sulla prima pagina di Libero. Domani ha spiegato le ambizioni di Elisabetta Casellati. Moratti, Casellati, Pera dunque senza dimenticare i papi stranieri oggi graditi da quelle parti, come Luciano Violante.
Dieci mesi che valgono dieci anni
Ursula Von der Leyen, l’Economist, il Financial Times… negli ultimi giorni è un coro di approvazione nei confronti del governo Draghi. Difficile che queste lodi non finiscano per gravare anche sulla scelta del successore di Mattarella.
È il ragionamento che questa mattina propone l’Elefantino Giuliano Ferrara sul Foglio, schierato per l’elezione del premier al Colle: «L’Italia ha bisogno di non perdere nelle ciarle e nelle quisquilie quanto il salvatore dell’euro e il risanatore del paese ha accumulato in termini di prestigio e garanzie interne e internazionali».
Maurizio Molinari su Repubblica di ieri era sulla stessa linea: leader e partiti italiani «possono sfruttare l'elezione presidenziale per consolidare o cestinare i risultati positivi ottenuti negli ultimi dieci mesi su pandemia e ricostruzione». Insomma: non possiamo non dirci draghiani.
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