Meloni sognava una finanziaria con un’approvazione-lampo per segnare un record personale. Ma la destra si è avvitata tra tensioni interne e improvvisazioni procedurali. E alla Camera ci sono malumori per le votazioni natalizie
Panettone con manovra per i senatori, e brindisi di fine anno con la legge di Bilancio per i deputati. Non si può dire che la manovra sia fuori tempo massimo, perché sono a disposizione ancora una decina di giorni, festivi esclusi. La tempistica, aggiornata per l’ennesima volta, prevede l’approvazione al Senato tra il 22 dicembre, e un via libera alla Camera a ridosso del 31 dicembre, la data cerchiata in rosso è venerdì 29.
Al netto di ulteriori intoppi, che non sono da escludere visto il livello di caos degli ultimi giorni. Altro che manovra da record e senza mancette, come volevano la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.
Il ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, ha messo le mani avanti. In caso di rallentamenti, il suo dipartimento sarà esente da colpe: «Quest’anno abbiamo cambiato metodo. Stiamo cercando di prevenire una serie di cose, quelli che chiamo “incidenti”, cercando di intervenire prima in sede di correzione se c’è necessità», ha detto in un colloquio con Radiocor.
Promesse tradite
Il calendario inizia a essere tiranno e nel governo crescono le tensioni. Eppure è impressa nella memoria la conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri che aveva approvato il testo: Meloni&soci gongolavano per dare un segnale di cambiamento. La tavola era stata apparecchiata per raccogliere applausi a scena aperta, tanto da sacrificare sull’altare dell’efficienza le prerogative dei parlamentari (di maggioranza) a cui hanno imposto di non presentare emendamenti.
Meloni e Giorgetti si trovano invece a dover gestire una figuraccia, un naufragio dello storytelling vincente. Di mezzo ci sono le incomprensioni politiche: Forza Italia ha preso male lo stop alla proroga, circoscritta ad alcuni casi, al Superbonus. Il duello è stato spostato giusto un po’ più avanti, al prossimo decreto Milleproroghe. La destra gioca allo scaricabarile.
«Volevamo garantire e abbiamo garantito è il diritto a un dibattito approfondito, non strozzato», ha detto il ministro dei rapporti con il parlamento, Luca Ciriani, sfidando le ire delle opposizioni, finora sono state poco più che spettatrici dell’autosabotaggio in corso nella maggioranza. Addirittura una parlamentare tutt’altro che barricadera, come la portavoce di Azione, Mariastella Gelmini, ha lamentato: «Azzerare con queste modalità il dibattito parlamentare non è certo una cosa di cui andare fieri».
E nel Pd c’è un certo stupore nei confronto del modus operandi della maggioranza: «Continuano a fare un percorso che non è trasparente né chiaro», aveva detto il capogruppo in commissione Bilancio a Palazzo Madama, Daniele Manca, prima dell’accordo. Per capire l’aria che tira, basta fare un giro in Transatlantico: i deputati, specie di Forza Italia, faticano a trattenere i malumori. Dovranno tornare a Montecitorio tra Natale e Capodanno per timbrare la legge di Bilancio.
«Chissà di quale anno», ironizza un parlamentare del centrodestra, di rito berlusconiano. Ovviamente alla Camera il provvedimento passerà sopra le teste di tutti. Il dibattito in commissione durerà poche ore, poi sarà spedito il testo in aula, blindato dalla fiducia (imposta anche al Senato). Un aspetto che irrita i deputati.
«Servisse a qualcosa, non sarebbe un problema», la butta lì un esponente del Pd. Anche ai piani alti di Montecitorio è consolidata la convinzione di un esame lampo tra le due festività. Non c’è possibilità di intervento. Così gli occhi sono puntati sull’intervento, in calendario lunedì, del presidente della Camera, Lorenzo Fontana, nello scambio degli auguri natalizi con la stampa parlamentare.
Immancabili mancette
Non è solo questione di tempi. Resta agli atti che stata tradita la promessa della coppia Meloni&Giorgetti di evitare l’elargizione di mancette attraverso emendamenti. Quelli firmati dai relatori, su mandato dei rispettivi partiti, seguono il solco delle tradizioni di soldi distribuiti per accontentare qualcuno.
Nell’elenco delle proposte emendative ci sono i 2 milioni di euro destinati al ministero dell’Agricoltura di Francesco Lollobrigida per potenziare il dipartimento dell’ispettorato dedicato alla repressione delle frodi, i 200mila euro concessi a comune di Poggio Reale, nel trapanese, per la realizzazione di un museo archeologico, più i fondi per il sostegno di chi ha animali a casa.
Micro misure che si sommano a quella già raccontata da Domani sui 100mila euro all’anno stanziati per pagare il servizio della Gazzetta amministrativa della Repubblica italiana di Enrico Michetti, ex candidato sindaco di Roma del centrodestra. Non mancano decisioni singolari: un emendamento potenzia il fondo per la disabilità con 320,4 milioni di euro, riparando alla cancellazione dello stesso fondo compiuta nel decreto Anticipi.
Tutto bene quindi? Non proprio. Nello stesso emendamento, vengono tolti 320 milioni di euro al fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità. Un gioco a somma zero. Ma utile alla comunicazione come reazione alle proteste delle opposizioni contro la ministra della Disabilità, Alessandra Locatelli, sulla riduzione nel 2023 dei finanziamenti destinati proprio alla disabilità. Ed è la sintesi di una legge di Bilancio fatta di confusione e improvvisazione. Una finanziaria da cinepanettone, che Meloni vuole mettersi alle spalle. Sfruttando la sua festa di Atreju.
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