Le scommesse dei leader in vista della quinta chiama per l’elezione del presidente della Repubblica
In attesa di ulteriori sviluppi, i capi dei partiti sembrano in alto mare.
Silvio Berlusconi, un fastidioso convitato di pietra
Il suo sogno era di sentire per una volta sola, per poche ore, il suo nome risuonare nell’emiciclo di Montecitorio. Il presidente della Camera Roberto Fico costretto a leggere una sfilza di schede con su scritto Silvio Berlusconi.
Di fronte a lui gli sguardi terrorizzati dei grandi elettori e una domanda: ce la farà? Il destino, e la saggezza di qualche stretto consigliere, gli ha riservato tutt’altro. Il leader di Forza Italia è da giorni ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano per «un’infezione». Suo fratello Paolo, che gli ha fatto visita ieri, ha detto che «sta meglio, sta recuperando. Ha passato giorni molto brutti, ma adesso è in ripresa».
Sempre ieri gli ha telefonato anche il premier Mario Draghi per formulargli «i migliori auguri di pronta guarigione». Le agenzie hanno dovuto aggiungere una postilla per spiegare che «nel corso del colloquio, a quanto si apprende, non è stato affrontato alcun tema politico». Un modo perfetto per scatenare le ricostruzioni più fantasiose.
Figurati se Berlusconi non ha parlato di Quirinale. C’è chi dice addirittura che il premier abbia utilizzato il leader di FI per riallacciare il filo del dialogo con Matteo Salvini dopo il disastroso faccia a faccia di lunedì.
Nulla di tutto questo sarà vero, ma il fatto che il solo nome di Berlusconi evochi retroscena è un chiaro segnale che, volente o nolente, la politica italiana non è ancora in grado di fare i conti senza di lui. Dopotutto gestisce un pacchetto di 141 grandi elettori e anche se i sondaggi dicono cose diverse, al momento è la seconda forza parlamentare del centrodestra. Ci sarebbe così Forza Italia, ad esempio, dietro lo stop alla candidatura di Elisabetta Belloni. Insomma, pur lontano, Berlusconi resta il convitato di pietra di questa elezione. Il fantasma non è ancora pronto a uscire di scena.
Matteo Salvini è tornato a essere Mr Papeete
Lo vedi muoversi scomposto tra un incontro privato con il professor Sabino Cassese (smentito) e uno con l’ex numero uno dei servizi segreti italiani Giampiero Massolo (smentito anche questo). E subito ti domandi: ma cosa sta facendo Matteo Salvini? Perché all’inizio delle votazioni per il Quirinale tutti avevano avuto l’impressione che il leader della Lega avesse una strategia. Non senza fatica era riuscito a far ritirare Silvio Berlusconi e si presentava all’appuntamento come il kingmaker del centrodestra. Anche quella di offrire una “rosa” di nomi al confronto con il centrosinistra era sembrata, tutto sommato, una mossa intelligente.
Certo, sui nomi forse si poteva fare qualcosa di meglio, ma Enrico Letta e Giuseppe Conte erano comunque stati costretti a dire di no che di solito, in una trattativa, è sempre uno svantaggio. Soprattutto se non hai una controfferta.
Ma Salvini, si sa, è da sempre la coincidenza di due nature. E così, negli ultimi giorni, sembra essere tornato a essere Mr. Papeete. Cioè colui che ad agosto del 2019, senza motivi apparenti se non le rassicurazioni private che, forse, aveva ricevuto sulla possibilità di andare a elezioni anticipate (ma chi gliele aveva date poi?), direttamente dalla spiaggia di Milano Marittima, aveva deciso di far cadere il governo Conte I auto condannandosi all’opposizione.
Così prima minaccia un blitz con la candidatura di Maria Elisabetta Casellati, poi fa un passo indietro, poi sembra lanciare Cassese ma si ferma, senza fare nomi, alla disponibilità a votare un «candidato istituzionale». Quindi torna a ragionare su un nome del centrodestra e nessuno sa veramente come andrà a finire. Insomma, l’impressione è che il leader della Lega si muova scompostamente, senza un’idea e senza la certezza di aver con sé non solo gli alleati di centrodestra ma nemmeno pezzi del suo partito. Non proprio una grande prova di leadership.
Giorgia Meloni, contagiata dalla confusione
Stupisce l’atteggiamento di Giorgia Meloni. Negli ultimi anni ci ha abituato a prese di posizioni dure e, molto spesso, granitiche, da cui difficilmente si è smossa anche se glielo chiedevano Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Non sostiene il governo di Mario Draghi, ad esempio, nonostante i due alleati lo facciano. Lo appoggerebbe, invece, alla presidenza della Repubblica con lo scopo di andare al voto anticipato, cosa che al momento escludono sia Salvini sia Berlusconi. Eppure di fronte alla confusione con cui si sta svolgendo questa elezione Meloni sembra navigare a vista.
Non ha esitato a mostrare irritazione durante le riunioni con Salvini e Antonio Tajani, che sostituisce Berlusconi durante le trattative. Allo stesso tempo, però, si è piegata alla linea del leader della Lega. Alla quarta votazione, quando il quorum è sceso a 505 voti, ha detto ai suoi 63 grandi elettori di astenersi, seguendo il resto del centrodestra.
Una linea imposta da Salvini e che Meloni non avrebbe condiviso, ma da cui, un po’ a sorpresa, ha deciso di non dissociarsi, come aveva fatto invece durante la terza votazione quando FdI ha votato il candidato di bandiera e dirigente di partito, Guido Crosetto. Si è piegata soprattutto allo scopo di tenere unito il centrodestra che in queste ore è più diviso che mai.
In questo trambusto si ha l’impressione che Meloni, pur di rincorrere Salvini che si è intestato la direzione delle trattative, faccia dei nomi non proprio in linea con il suo partito. Ieri fonti di FdI hanno fatto trapelare l’interesse per possibili candidati: quello dell’ex giudice della Corte costituzionale, Sabino Cassese, e quello della direttrice del Dipartimento per la sicurezza, Elisabetta Belloni. Due personalità, soprattutto la prima, espressione del passato, dell’idea giuridico-tecnocratica che FdI rifiuta da sempre. Regna una grande confusione, anche nella testa di Giorgia Meloni.
Giuseppe Conte e l’allineamento impossibile con Di Maio
In serata l’opzione Franco Frattini, filtrata dalle agenzie come nome più quotato dal duo Giuseppe Conte-Matteo Salvini, apre a una riedizione dell’asse gialloverde, ma durante la giornata i Cinque stelle hanno saggiato diverse opzioni. Anche se dovesse confermarsi come nome di bandiera, il presidente del M5s deve fare i conti con l’ingovernabilità sempre più evidente dei suoi parlamentari.
Frattini incontra il favore di Conte, ma non dispiace neanche a Luigi Di Maio, che in questi giorni ha contribuito a raffreddare il movimento sul nome di Elisabetta Casellati. Il ministro, però, non vuole assolutamente rischiare sulla tenuta del governo. Ieri, alla quarta chiama ha raccomandato ai suoi grandi elettori di votare scheda bianca o scegliere cosa scrivere «in libertà di coscienza»: un modo per evitare che le preferenze per Sergio Mattarella, ancora numerosissime, non possano essere interpretate come un’arma in mano a Di Maio.
Dopo che in mattinata era fallita l’ipotesi Casini, che momentaneamente aveva messo d’accordo tutti, una delle ipotesi che più ha impegnato i grandi elettori Cinque stelle durante la giornata è stata quella di Elisabetta Belloni. Un nome molto apprezzato dalle parti di palazzo Chigi ma che piace sia al presidente del Movimento sia al ministro degli Esteri.
Una sovrapposizione quasi miracolosa per il gruppo più numeroso in parlamento, spaccato tra chi sta con il ministro ed è pronto a votare Draghi e chi sostiene il presidente nella ricerca di un nome alternativo: nel corso della giornata, però, quello di Belloni ha perso quota. Nel frattempo, esponenti di alto livello nel M5s, come il vicepresidente Riccardo Ricciardi, hanno raccomandato di «tenere conto» del segnale che rappresenta il voto di ieri. «Mattarella è sempre stato l’esempio di alto profilo che noi cerchiamo», ha detto.
Stavolta non sarà merito di Matteo Renzi
Il leader di Italia viva, Matteo Renzi, conclude la quarta giornata di votazioni perdendo il suo candidato prediletto. Pier Ferdinando Casini ormai sembra essere definitivamente tramontato come ipotesi e con lui il possibile capolavoro politico di Renzi di far eleggere il suo candidato con a disposizione solo una manciata di grandi elettori.
«Avremmo potuto chiudere in quarta votazione con Casini e avremmo avuto un nuovo presidente del tutto all’altezza del ruolo», dice un deputato di Iv. Invece, la vittoria al centro non è più tra le ipotesi sul tavolo e anche Renzi deve ricalibrare la strategia, ma soprattutto scegliere a chi guardare.
Per ora sembra che il campo prescelto sia quello del centrosinistra: il suo asse con il Pd di Enrico Letta ha permesso di sabotare la candidatura di Franco Frattini e potrebbe essere utile a Iv per non permettere un allargamento del centrodestra. Non a caso, proprio a Matteo Salvini Renzi ha imputato il quarto fallimento della giornata di voto: «Trovo scandaloso che il centrodestra abbia fallito l’esame di maturità che aveva. Speriamo che si recuperi lucidità e saggezza. Bisogna fare le cose che devono fare gli statisti e, quindi, scegliere il nome di un presidente».
Intanto, però, un nome ancora non c’è e anche Renzi rischia l’affanno. In serata ha incontrato gli altri leader e prima del quinto scrutinio ha riunito i suoi grandi elettori per indicare la direzione della giornata. Sullo sfondo, per lui rimane l’opzione Mario Draghi: la sua preferita dopo la carta Casini, perché gli garantirebbe spazio politico futuro almeno fino alla fine della legislatura, ma per lui non sarebbe una vera vittoria personale. Nel caso in cui il nome di Draghi finisse nell’urna, infatti, Iv lo voterebbe senza problemi per rimanere nella coalizione di governo, ma nella consapevolezza di non aver potuto pesare per determinarne la scelta.
Enrico Letta, il signor No deve decidersi
Nella confusione complessiva intorno all’elezione al Colle, Enrico Letta può vantare una relativa tranquillità nell’aver tenuto almeno compatti i suoi anche nella quarta votazione, in cui votare bianca è stato più complicato.
Dal punto di vista tattico, l’ostruzionismo fermo nel dire no ai candidati di centrodestra ma altrettanto attento a non individuarne di propri, avrebbe ottenuto per ora il risultato di salvaguardare la tenuta del governo Draghi. Tuttavia, al segretario dem non sfugge un problema: in questo attendismo logorante, a sgretolarsi potrebbe essere il fronte del Movimento 5 stelle, sempre meno compatto rispetto alla linea della scheda bianca, vista la crescente mole di consenso raccolta intorno al nome di Sergio Mattarella.
Ora, quindi, Letta deve trovare la chiave per risolvere il rebus del Quirinale su due fronti: fare l’accordo con il centrodestra per una soluzione che tenga in piedi il governo Draghi, non perdere per strada il Movimento. Tra i deputati dem circola una lista di nomi su cui non ci sarebbe la contrarietà del Pd: «Voteremmo Casini, Belloni, Cassese, Amato. Il punto è trovare quelli in questa rosa che vanno bene anche ai Cinque stelle», spiega uno di loro. In realtà, le correnti interne ai dem hanno diversi livelli di gradimento (e veti) per ognuno di questi nomi, ma il segretario si sente in grado di gestirle. La vera paura di Letta è che il fronte di Giuseppe Conte non regga la prova e, peggio ancora, Conte non sia in grado di prevederlo.
Intanto, però, aspetta con cautela la nuova proposta del centrodestra, consapevole che in quinta votazione Matteo Salvini farà scrivere un nome sulla scheda da mettere nell’urna. Nomi alla mano, dovrà valutarne la sostenibilità non solo per il Pd e poi dare una sua risposta. Con la consapevolezza che un altro no potrebbe provocare il tentativo di spallata del centrodestra e a quel punto il governo sarebbe davvero in bilico.
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