- La consigliera: la maggioranza forza la mano, Fuortes è stato cacciato. L’urgenza aziendale è la certezza delle risorse, non le nomine ai Tg.
- «La Rai non sembra seguire le regole europee sulle indebite ingerenze politiche e sull’indipendenza editoriale dei media».
- «Se parliamo di pluralismo informativo, il punto centrale è la qualità dell’informazione e il diritto a non essere disinformati».
Francesca Bria, lei è consigliera di amministrazione, Rai eletta dal parlamento in quota centrosinistra. Si annuncia un cataclisma in Rai, ovvero un sostanzioso allineamento editoriale alla linea del governo. Che ruolo potrà svolgere lei nel cda?
Faccio una premessa. La Rai non sembra seguire le regole europee sulle indebite ingerenze politiche e sull’indipendenza editoriale dei media. Lo European Media Freedom Act adottato dalla Commissione europea dice che bisogna garantire al giornalismo e ai media la loro indipendenza, perché devono svolgere il ruolo di cane da guardia del potere ed essere presidio del pluralismo e della libertà di opinione. E il management dei media pubblici deve essere nominato in modo aperto, trasparente e non discriminatorio. Secondo queste regole, il cda della Rai dovrebbe essere indipendente come un’autorità di controllo e garanzia.
Scusi, l’ad Rai viene nominato dal governo, il cda dalle camere.
Infatti, la legge sulle fonti di nomina Rai e la sua governance non sono in linea con le indicazioni europee. Ma oggi si è andati oltre: è lampante che il governo ha deciso di forzare la mano.
La maggioranza nega forzature. Quali sono le ingerenze sul cda di cui parla lei e di cui ha parlato l’ad Fuortes nella lettera di dimissioni?
Dal cambio di governo, l’azienda è stata tenuta ferma. La maggioranza ha rallentato l’insediamento della commissione di Vigilanza Rai, che è necessaria per la discussione sul contratto di servizio Rai che il cda ha già discusso l’anno scorso. A dicembre era pronta la prima bozza: ma di fatto è stato bloccato l’iter. Poi c’è il tema delle risorse che, sempre per le indicazioni europee, devono essere adeguate e certe. Invece il governo ha dichiarato che il canone sarebbe stato cancellato dalla bolletta e il ministero dell’Economia non ha ancora dato certezze: da ciò dipende anche il perimetro industriale dell’azienda, e la sua capacità di implementare la sua missione definita dal contratto di servizio. Il piano industriale si può fare solo in base a risorse certe. Tutto questo da mesi è fermo.
Sta dicendo che il governo ha sabotato l’azienda?
No, ma ci sono state ingerenze. Dal festival di Sanremo si sono susseguite dichiarazioni di esponenti della maggioranza sul fatto che il management della Rai si sarebbe dovuto dimettere. È stata messa in discussione la libertà di espressione persino di artisti e intellettuali, oltreché dei giornalisti Rai. Un’ingerenza editoriale evidente che è stata denunciata dalla lettera di dimissioni dell’ad Carlo Fuortes. Quelle non sono dimissioni: in sostanza è stato cacciato. Ricordo che nella Rai non vige lo spoil system. Il quadro è preoccupante, nella forma e nella sostanza. Le pressioni vanno molto oltre quello che un governo può fare.
Si annuncia un giro di nomine ai Tg. Sui giornali si parla di un’infornata di professionisti amici del governo. Voterà contro?
Io mi attengo alle procedure, non agli annunci veicolati ad hoc. Il cda ha un voto vincolante sui direttori delle testate. Il governo dovrà portare l’indicazione di nomina dell’ad al consiglio dei ministri (forse già oggi, ndr), poi ci sarà il passaggio dell’assemblea dei soci, e infine il cda designerà l’ad. Le urgenze vere della Rai sono tutte le decisioni che fin qui sono state tenute ferme: a partire dal contratto di servizio. Il ministro competente Urso in commissione Vigilanza ha detto che sarà pronto entro giugno; va approvato prima del piano industriale, per le ragioni che ho spiegato. Il piano industriale con risorse adeguate è urgente per investire su trasformazione digitale, competenze e formazione, contenuti di qualità e il resto. Altrimenti la Rai non può stare su un mercato che sta subendo una rivoluzione, data la convergenza con le piattaforme digitali, e in cui c’è ancora più bisogno di un servizio pubblico forte, indipendente e di qualità. Poi c’è la questione dei palinsesti: sono preoccupata, perché i programmi devono finalizzare i contratti. Insomma, l’unica cosa da fare è far funzionare bene l’azienda. Senza occuparla.
E poi i nuovi direttori dei tg.
Vedremo. I bisogni aziendali, a quello che mi risulta, hanno a che vedere con il fatto che si liberano alcune posizioni per un paio di pensionamenti. Del resto, le nomine precedenti risalgono a un anno e mezzo fa.
Lei avallerà il nuovo corso?
Io mi atterrò ad una regola, come ho fatto fino qui seguendo i principi di un servizio pubblico con le garanzie adeguate a proteggere la libertà e il pluralismo. Sono stata investita di questo ruolo dal parlamento. Andrò avanti così fino alla fine del mio mandato. Sarà cruciale il ruolo di garanzia della presidente del cda Marinella Soldi in questo delicato momento.
La Rai è da sempre terreno degli appetiti delle maggioranze e della lottizzazione. Come difenderà il pluralismo in Rai?
Se parliamo di pluralismo informativo, il punto centrale è la qualità dell’informazione e il diritto a non essere disinformati. In qualsiasi azienda pubblica la politica dà una direzione, e il cda si esprime sulle priorità editoriali. Infatti il nostro cda ha discusso molto di transizione ecologica e digitale, di come far emergere i problemi e le opportunità del Pnrr, di come rimettere al centro i bisogni degli italiani. La Rai deve essere un grande player nella formazione digitale, nei contenuti per i giovani. Ma non sta alla politica indicare conduttori e direttori. Vigilerò su queste scelte, sul fatto che le nomine corrispondano a criteri chiari e trasparenti, in cui vengono valorizzate le risorse interne, e la capacità produttiva, in linea con la missione del servizio pubblico. È esattamente il mandato che abbiamo ricevuto noi consiglieri.
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