Il fenomeno nasce a Detroit negli anni Ottanta e poi si sposta nel Regno Unito e in Europa. Ha come matrice culturale la protesta contro la cultura conservatrice e teorizza che modo migliore per sfuggire al controllo sociale è l’appropriazione temporanea degli spazi
Le norme varate dal governo Meloni per contrastare anche con l’arresto i rave party hanno riportato al centro dell’attenzione un fenomeno sociale che esiste dagli anni Ottanta e che nasce nella controcultura giovanile americana ma ha trovato spazio anche in Italia, prima nelle periferie delle grandi città e poi anche in provincia.
Nell’immaginario comune il rave party è una festa illegale a base di musica, alcol e droghe. Il fenomeno, in realtà, è molto più complesso, nasce in America e poi si sposta prima in Inghilterra e poi nel resto d’Europa. Ha come matrice culturale la protesta contro la cultura conservatrice di Ronald Regan in Usa e Margaret Thatcher nel Regno Unito, con i tagli all’assistenza sociale e la privatizzazione dei servizi, che ha generato forti conflitti e un aumento della forbice sociale.
Cosa sono
I rave sono delle aggregazioni illegali per ballare e ascoltare musica, che si svolgono fuori dai luoghi che convenzionalmente sono adibiti ad eventi musicali (come bar e discoteche) e il genere musicale che si suona – la techno – è esclusa dai normali circuiti commerciali.
Nascono negli anni Ottanta intorno alla città di Detroit e la sua caratteristica è riassunta dall’acrononimo T.A.Z., “zona temporaneamente autonoma”, che è anche il titolo di un libro di Hakim Bey ed è considerato una specie di bibbia underground, in cui si spiega che il modo migliore per sfuggire al controllo sociale è l’appropriazione temporanea degli spazi.
La cultura dei ravers prevede di riappropriarsi del suolo pubblico, di cui tutti devono liberamente poter godere senza restrizioni, in una protesta contro il capitalismo e la logica di mercato imposta anche sul divertimento. Occupare lo spazio, infatti, ha il significato di liberarlo temporaneamente dalle restrizioni sociali e anche legali.
Durante queste feste non autorizzate, che hanno come caratteristica una durata di un paio di giorni, la musica suonata è la techno, un genere musicale sperimentale che nasce insieme alla cultura dei rave. Questa musica e i suoi sottogeneri negli anni Ottanta non veniva suonata nelle discoteche e il suo beat ripetuto ha l’obiettivo di fondere le individualità, facendole sparire. Ai rave party, infatti, si parla di “de-individualizzazione” e “de-gerarchizzazione” dei partecipanti, anche dei dj che non sono al centro della scena.
Il consumo di droga, in particolare speed, acidi e ecstasy, va di pari passo al consolidamento della scena rave e funge da amplificatore dell’esperienza di de-individualizzazione. Progressivamente, lo spaccio e il consumo di droghe diventa sempre più strutturale negli eventi.
Storicamente esistono tre tipi di rave: il rave on è la versione meno estrema, avviene in un locale chiuso e si paga un ingresso, quindi segue almeno parzialmente le regole sociali; il rave off, che invece avviene all’esterno e insieme alla festa c’è l’elemento di protesta e il fenomeno ibrido che è la street rave parade, che è un rave off ma che avviene con lunghi cortei in strada.
Il fatto che i rave avvengano molto spesso in strutture industriali abbandonate è significativo, perchè rappresenta il modo di riappropriarsi di uno spazio comunemente associato al lavoro e alla fatica per “liberarlo”, trasformandolo in un luogo di festa.
In Europa il momento spartiacque è stato il 1994, quando il Regno Unito ha emanato la prima legge anti-rave. In quel momento le cosiddette tribe inglesi, i gruppi di organizzatori di rave, hanno iniziato a spostarsi a sud, prima in Francia e poi in Italia.
In Italia
In Italia il fenomeno si diffonde all’inizo degli anni Novanta e non si usa nemmeno il termine rave, ma quello di techno party. Si trattava di feste libere, che sono state definite dal libro Rave in Italy come free party, «un virus dentro la metropoli», in cui si ricercava l’anonimato, non esistevano dj famosi e anche gli organizzatori erano anonimi.
Con il passare degli anni e il cambio generazionale, però, anche la cultura rave in Italia si è andata sempre più ad assimilare con un format di divertimento a base di droga e musica. In Italia, i primi centri in cui si è diffusa sono stati Torino, Roma, Bologna e Milano.
Il fenomeno ha poco a che fare con i centri sociali, a cui spesso viene accostato, se non per una matrice culturale di sinistra. Ai rave, infatti, si suona solo musica techno, che invece non si sente nè nelle discoteche – dove c’è la musica commerciale – nè nei centri sociali, dove si suona il reggae, il punk e l’hip hop.
Come si organizzano
L’elemento che caratterizza l’organizzazione di un rave party è la segretezza. Il recupero delle informazioni attraverso chat e il passaparola tra i partecipanti è parte dell’esperienza, gli organizzatori individuano i luoghi abbandonati adatti all’evento che hanno in mente e solo all’ultimo minuto comunicano la data e il luogo. Le nuove tecnologie hanno aiutato molto, perchè le chat sono anonime e non localizzabili, si raggiungono molti più partecipanti e la posizione può essere condivisa con le coordinate di google-maps.
Quando internet ancora non c’era, i ravers venivano a conoscenza della festa attraverso volantini, passaparola o radio private che diffondevano un numero di telefono, a cui chiamare per conoscere l’indirizzo di un luogo di ritrovo. Lì veniva diffusa l’indicazione del posto del rave, in cui era già stato allestito l’impianto audio e le luci.
L’obiettivo è creare questa grande aggregazione di persone senza che le forze dell’ordine se ne accorgono. In questo modo, se e quando l’evento viene notato, il numero di partecipanti è talmente alto che disperderli è molto complicato.
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