- Altrove i candidati vengono passati ai raggi x e i leader che li propongono ci mettono la faccia nel sostenerli e garantire la loro competenza e onestà. In Calabria basta la parola.
- Maria Antonietta Ventura, erede e socia di un vero e proprio impero industriale, l’impresa di famiglia, leader nel settore dei grandi lavori ferroviari è stata candidata da Pd e M5s.
- Nella borsa di Totò Riina, alla cattura del 1993, c’era un “pizzino” . In uno di questi è appuntato l’indirizzo della «Francesco Ventura srl», con una sottolineatura: «lavori a Licata (ferrovie)».
Ultimi in tutto, anche nel diritto alla trasparenza. Ai calabresi va così. Altrove i candidati che concorrono alla conquista di cariche istituzionali importanti, vengono passati ai raggi x, e i leader che li propongono ci mettono la faccia nel sostenerli e garantire la loro competenza e onestà. Tra la punta della Sila e il mare limpido di Scilla, invece, vige il metodo “confetto Falqui”. Basta la parola.
In questo caso quella di Giuseppe Conte ed Enrico Letta, i due leader (per quanto riguarda Conte, meglio aggiungere momentaneo), che hanno scelto l’imprenditrice Maria Antonietta Ventura, candidata del traballante cartello Pd-M5s, alla carica di presidente della giunta regionale della Calabria.
Il “casting” per selezionare il nome del futuro “governatore” è stato estenuante. Al confronto la selezione per accedere alla “casa” del Grande fratello vip, è un gioco da ragazzi. Sulla graticola allestita dai giallorosa, sono bruciati i nomi di un uomo forte del Pd, di uno storico apprezzatissimo, e poi di donne direttrici di giornali, imprenditrici, prima di arrivare alla scelta della candidata che non piace a nessuno.
Grandi lavori ferroviari
Maria Antonietta Ventura, erede e socia di un vero e proprio impero industriale, l’impresa di famiglia, leader nel settore dei grandi lavori ferroviari. Commesse, appalti pubblici per centinaia di milioni di euro. In Calabria, Puglia e in tutto il sud. Un conflitto di interessi enorme, per la candidata. Ma “basta la parola”. Quella di Francesco Boccia, pugliese di Bisceglie come la Ventura, e quella di Enrico Letta che in tv dichiara le sue certezze. «È evidente che non si possa impedire ad un imprenditore di candidarsi. Ma è ovvio che dovrà eliminare qualsiasi conflitto d’interesse».
Nell’attesa, però, varrebbe la pena chiarire anche tutta una serie di questioni emerse in questi giorni, e ben più allarmanti del conflitto di interessi. La prima è contenuta a pagina 16 de Il codice Provenzano, un libro del 2007, scritto da Salvo Palazzolo (giornalista di Repubblica che da anni si occupa di mafia), insieme al magistrato Michele Prestipino. Si parla della cattura di Totò Riina la mattina del 15 gennaio 1993. Con sé il “capo dei capi” ha un borsello con diversi “pizzini”. In uno di questi è appuntato l’indirizzo della «Francesco Ventura srl», con una sottolineatura: «lavori a Licata (ferrovie)».
Quello che possiamo aggiungere, è che i titolari dell’azienda vennero prontamente interrogati dai carabinieri del Ros di Catanzaro (su delega dei colleghi palermitani), per capirne di più. Ora un “pizzino” può voler dire tante cose. Anche raccontare di un tentativo di estorsione subìto. Perché non parlarne, perché non dire che all’epoca (se di estorsione si trattò) l’azienda denunciò tutto? È un gesto necessario, anche per dare fiducia ai pochi imprenditori calabresi che si ribellano al racket e vivono sotto scorta.
L’azienda di famiglia di Maria Antonietta Ventura, ha lavorato tanto in Puglia. Era in società con Fersalento per una serie di lavori ferroviari. L’impresa, si legge in un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno del 9 aprile scorso, viene raggiunta da una interdittiva antimafia «per la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa». Ma Fersalento faceva parte del consorzio “Armatori ferroviari”, «già raggiunto dal diniego della prefettura di Lecce di iscrizione alla white list delle aziende». «Del consorzio – si legge nell’articolo – fanno parte anche Global fer e la Francesco Ventura costruzioni ferroviarie».
Tante ombre, troppe opacità, che la candidata scelta da Pd, Cinque stelle e Art.1, farebbe bene a chiarire. E in tempi brevi, se si vuole evitare una campagna elettorale avvelenata. E soprattutto se si vuole eliminare il sospetto che in Calabria tutto si tiene, e la trasparenza è un optional.
Un lusso che il centrodestra può permettersi, gli altri no. Nino Spirlì, il facente funzioni, si è già assicurato un posto da vicegovernatore in caso di vittoria della destra. A chi gli ha chiesto di candidarsi (espressione massima di trasparenza), ha risposto con un secco «no, non ho tempo». Il “posto” è assicurato, il potere pure, non si sottoporrà al vaglio degli elettori, nel frattempo va avanti con le nomine.
L’ultima quelle dei vertici di Fincalabria, la finanziaria regionale. Ha nominato due nuovi membri del cda, una ex candidata della Lega alle Europee, e un Udc, anche lui sfortunato candidato, ma alle scorse regionali. Illuminare tutti gli angoli bui, altrimenti la candidata che non piace (l’ultimo no arriva da sei sindaci Pd della Locride), continuerà a non piacere.
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