Da Forza Italia inviti di facciata ma muro all’ingresso: c’è già il marasma post-Silvio, Renzi è un casinista seriale. L’ipotesi di un approdo forzista all’opposizione provoca risate: «Se lo pensa lui fa un errore da primo anno di scienze politiche».
Ci sono molte sfumature di destra, che un antipatizzante chiamerebbe «imitazioni» e uno bravo «citazioni», nella performance di Matteo Renzi ieri alla conferenza stampa del senato. Dalla prima scena, quando sventola un foglio con la proposta di elezione diretta del premier in faccia alle telecamere: in quel «firmo qui, di fronte a voi» c’è un po’ di Berlusconi che sottoscrive il «contratto con gli italiani» nello studio di Bruno Vespa; un po’ di Giorgia Meloni che vagheggia il presidenzialismo senza trovare la via delle camere; c’è una sfida al così vicino così lontano Carlo Calenda («era nel programma del Terzo Polo, se qualcuno ha cambiato idea lo dica», dice lui); e c’è una pernacchia a Pd e M5s che all’elezione diretta sono contrari e ne caveranno altra biada per sostenere che Renzi «è la stampella di Meloni» (copy Conte, a sua volta l’insulto è una citazione e una vendetta: Renzi quando può lascia cadere un «la vera stampella di questo governo sono i grillini»).
Liolà, di qua o di là
Non sarà la proposta agostana di Italia viva a dare una spinta alla riforma Santo Graal di Meloni. Né è una novità che i renziani siano favorevoli: Renzi propose il presidenzialismo in piena rielezione di Sergio Mattarella, nel gennaio del 2022: «Che poi sia all’americana o semipresidenzialismo alla francese, vedremo», disse anticipando la confusione costituzionale della ministra Elisabetta Casellati.
Oggi, nel pieno della sua nuova vita da conferenziere, l’ex premier ex segretario ex facitore e disfacitore di governi (rispettivamente Conte uno – grazie ai popcorn – Conte due e Draghi, ha sfasciato il Conte due e ma poi Conte ha sfasciato l’esecutivo Draghi), qual è la ratio della mossa? Raccogliamo ipotesi: prima, dare una mano a Meloni per poi entrare nella maggioranza di destra; seconda, saltabeccare da uno schieramento all’altro per attirare il nomadismo centrista in vista delle europee. Oppure, terza, tentare un’opa – offerta di pubblico acquisto – su Forza Italia, dopo aver baciato la pantofola di Berlusconi da vivo e da morto. Epperò i forzisti, che negli anni si sono divertiti per il berlusconismo naturale dell’ex Pd, oggi, in pieno marasma post-Cavaliere, lo evitano come la peste con l’accusa di casinismo seriale, di irresistibile pulsione a distruggere e distruggersi, da scorpione di Esopo. Così la pensa anche la comandante in capo Marina.
Vediamo con ordine le ipotesi. La prima, l’ingresso in maggioranza, è ufficialmente sempre smentita, anche se di fatto ormai Iv vota con la destra più spesso che con le opposizioni. Le altre due si sovrappongono: in vista delle Europee Iv deve acciuffare il 4 per cento. Serve non alle progressive sorti di Iv stessa, ma a quelle magnifiche del conferenziere internazionale che si offre sul mercato (lo ha fatto con una battuta anche ieri al senato). «Nessuna opa, nei confronti di nessuno», nega Enrico Borghi, ex Pd ora capogruppo Iv-Azione al senato. «Abbiamo la volontà di ricostruire le ragioni e la presenza di un centro riformista che sblocchi il paese dalla palude di un bipolarismo piegato dalle estreme». Ma perché mai gli onorevoli di Fi dovrebbero passare dalla maggioranza all’opposizione? «A noi interessano gli elettori, non gli stati maggiori».
Stati maggiori e minori
Anche perché in questo momento non c’è una corrente di simpatia fra gli stati maggiori Fi e gli stati maggiori di Iv, maggiori anche loro ma quantitativamente assai minori. Lasciamo perdere l’ultimo scazzo fra Renzi e Claudio Lotito a sui finanziamenti del calcio (il presidente laziale: «Renzi utilizza il mio nome per farsi pubblicità»). Se il giornale il Riformista è nato con l’intento politico-editoriale di unire i riformisti di qua e di là, è pur vero che il direttore Andrea Ruggieri, ex deputato forzista, è amico da sempre di Daniela Santanchè e frequenta il Twiga, ma questo poco rileva con l’ex partito di entrambi, perché ha il dente avvelenato con Tajani e suoi, che lo hanno fatto fuori alle ultime elezioni. E lo scorso 28 luglio, sul palco della Versiliana, di loro ha fatto un delizioso ritrattino al veleno. Niente nomi, ma chiarissimo. A casa Fi, l’ala tajanea e laudatores verso il leader Iv ha alzato un muro. «Con lui non andiamo da nessuna parte», è il concetto di fondo. Più dialogante paradossalmente la presidente del senato Licia Ronzulli (paradossalmente perché è dell’ala filoleghista).
Un po’ perché in aula il senatore Renzi spesso scappa dal suo scranno e va a fare due chiacchiere con lei, dopo essersi assicurato che ci siano le telecamere. Un po’ perché, spiegano le voci di dentro, «lei non dice sì a Renzi ma se devi aprirti e essere inclusivo, è bene che ti ci siedi e ci parli, per vedere se e che cosa si può fare assieme».
Del resto, di nuovo le voci di dentro, «siamo quelli che imbarcano più Cinque stelle: abbiamo preso la Marcozzi in Abruzzo, Cancelleri in Sicilia. Lì anche Caterina Chinnici che era la candidata Pd contro Schifani, e il commissario regionale è Caruso, ex Iv. E Renzi non va bene?». Giovedì ci sarà il comitato di presidenza sulle regole del congresso forzista. Tajani alle europee si gioca la prima partita da segretario, per questo vuole che il congresso si faccia prima, a febbraio: se poi il voto andrà bene avrà vinto lui, se no avrà perso Forza Italia e le dimissioni non gliele chiederà nessuno.
Per tranquillizzare tutti recita sempre una gag. Interlocutore apprensivo: «Pagnoncelli ci dà al 6». Lui: «Ma Tecné all'11!». Tutti sanno che i sondaggi di Tecné sono commissionati da Mediaset. Ma il senso è che il problema del 4 per cento non c’è. Dunque neanche quello di consentire l’avvicinamento di Iv a Fi. E il movimento opposto? Viene liquidato con un «Noi all’opposizione con Renzi? Fa scoppiare dalle risate.
Se lo pensa lui fa un errore da primo anno di scienze politiche». «Se Matteo Renzi vorrà venire sulle posizioni di centrodestra è benvenuto. Però partiamo da un punto fermo: l’alleanza di centrodestra non si tocca», spiega Marco Stella, coordinatore forzista della Toscana.
Insomma, la nuova vita da conferenziere di Renzi ha una collocazione politica incerta. E forse ha ragione un suo compagno di partito, che lo conosce da una vita, anzi da tutte le vite: «Matteo? Non gliene frega nulla della politica. Potrebbe entrare nel governo o rientrare nel Pd. Usa la politica giorno per giorno per farsi i fatti suoi. Farà così anche oggi, anche domani».
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