- Per presentare il suo nuovo libro Il mostro, Matteo Renzi non sceglie una libreria ma un palco su cui fa montare una grossa “R” in cartapesta. Davanti alla casa del cinema di villa Borghese a Roma, il leader di Italia viva lancia il suo nuovo one-man show.
- Le battute sono le stesse che ha già ripetuto con meno verve durante la conferenza stampa alla Camera, che è stata quindi una sorta di prova generale del testo. Il sorriso si trasforma spesso in smorfia e il tono della voce si alza con indignazione: del resto, anche il tono del libro è quello del pamphlet più che del saggio.
- A livello comunicativo, Renzi continua a fare se stesso: ancora fermo a ricordare i fasti del suo governo pre-referendum del 2016, tutto nella sua presentazione ha enfatizzato la sua tendenza a non volere comprimari e a preferire i toni dell’invettiva.
Per presentare il suo nuovo libro Il mostro, Matteo Renzi non sceglie una libreria ma un palco su cui fa montare una grossa “R” in cartapesta. Davanti alla casa del cinema di villa Borghese a Roma, il leader di Italia viva lancia il suo nuovo one-man show, in cui raccontare le vessazioni subite dalla magistratura di Firenze per il caso Open e il processo di trasformazione che lo ha portato dall’essere premier per mille giorni al diventare – per l’opinione pubblica - il mostro del titolo.
Le battute sono le stesse che ha già ripetuto con meno verve durante la conferenza stampa alla Camera, che è stata quindi una sorta di prova generale del testo. Il sorriso si trasforma spesso in smorfia e il tono della voce si alza con indignazione: del resto, anche il tono del libro è quello del pamphlet più che del saggio.
Davanti al palco, le circa 400 persone venute ad ascoltarlo si dividono in un buon numero di pasionari della prima ora che alzano la mano quando lui chiede chi è stato alla Leopolda; coppie di mezza età della buona borghesia capitolina e un po’ di ragazzi, rigorosamente in camicia bianca e giacca o con i tacchi, nonostante il luogo informale. In prima fila, un nutrito gruppo di parlamentari di Iv e di eletti a Roma.
Il cuore del libro è il passaggio su cui Renzi sorride di meno: «I magistrati hanno impedito la crescita di Italia viva». Con la minaccia successiva: «Con il 4 per cento abbiamo fatto cadere Matteo Salvini e poi Giuseppe Conte», non sottovalutateci anche se i sondaggi ci danno al 2,5 per cento. Eppure, la strategia comunicativa sembra raccontare altro.
L’antipatia
A livello comunicativo, Renzi continua a fare se stesso: ancora fermo a ricordare i fasti del suo governo pre-referendum del 2016, tutto nella sua presentazione ha enfatizzato la sua tendenza a non volere comprimari e a preferire i toni dell’invettiva. Del resto, la scelta di non avere giornalisti sul palco alle presentazioni era stata inaugurata quando era sindaco di Firenze, «con una grande originalità per l’epoca», dice uno spin doctor che ne ricorda il passato da rottamatore. Allora come oggi, la parola chiave era la rivendicazione: «Ma con il tempo è diventato il suo limite. Nel suo linguaggio, insistere sulle cose fatte dovrebbe servire ad aumentarne la credibilità ma il rischio è di alimentare invece un senso di antipatia».
Proprio l’antipatia, o il «brutto carattere» come lo definisce Renzi, è ancora il suo principale nemico: dal palco prova a combatterlo con la battuta, ma politicamente è un’etichetta ormai difficile da scollare. «Quando era a palazzo Chigi ha incrinato il rapporto di fiducia con l’elettorato ed è quasi impossibile recuperarla» è la diagnosi di chi con lui ha lavorato alla comunicazione per un tratto del suo percorso politico.
La sua chiave, oggi, è duplice: ha individuato un pubblico diverso a cui parlare, ma soprattutto non sta più parlando solo di politica.
Il berlusconismo
A nessuno è sfuggita, durante la sua partecipazione a Porta a Porta, la grande scritta sul led: “Renzi contro le toghe rosse”. Il riferimento è agli attacchi contenuti nel libro al gruppo associativo progressista Magistratura democratica, l’eco però è quello dello scontro tra Silvio Berlusconi e i magistrati di Milano degli anni Duemila. Se secondo i sondaggi l’elettorato centrista di Renzi si incontra con quello storico di Forza Italia, e recuperare quel livello di scontro identitario, seppur datato, potrebbe risvegliare sopiti entusiasmi, in cui una parte della platea della presentazione romana si è riconosciuta.
Proprio la scelta di puntare su questo tema – lo scontro tra politica e giustizia e la persecuzione ai suoi danni – può essere letta come una scelta di un target elettorale: con un partito che ha una proiezione sotto la doppia cifra, meglio parlare a un pubblico ridotto, valorizzando e puntando sulla nicchia che cade sotto la generica dicitura di “garantisti”.
Anche perchè nessuno degli altri leader politici ha risposto alle provocazioni tattiche contenute nelle ben 15 anteprime del libro pubblicate sui principali giornali italiani. «Queste mancate risposte sono dovute alla contingenza: con una guerra in corso, nessuno è disposto a seguirlo su beghe del passato. Inoltre, una regola aurea della comunicazione dice che, se hai il 20 per cento di consensi, non rispondi a un leader che è al 2,5», spiega Dino Amenduni, comunicatore strategico di Proforma, che con Renzi in passato ha collaborato molto.
Accanto alla strategia politica, però si affaccia sempre l’ego di Renzi: convinto di aver subito un’ingiustizia, intende rispondere in prima persona punto su punto e con tutte le armi a sua disposizione, anche quelle mediatiche.
Il futuro
Proprio questa scelta di attacco così frontale, è un sintomo di come lo stesso Renzi stia cercando di reinventarsi pur rimanendo se stesso. «Mi sembra un Renzi consapevole che il suo percorso politico, per come fin qui svolto, sia finito. Per cui le strade sono due: o farà altro fuori dalla politica e in questo la chiave di valorizzare il proprio personaggio è assai utile; oppure con Italia Viva sarà un battitore libero al centro» dice Amenduni.
In ogni caso, la scelta di levarsi alcuni sassolini dalla scarpa risponde proprio a questo senso di chiusura: quando l’ambizione era quella di tornare a palazzo Chigi non era il momento, ora è chiaro che quella stagione probabilmente non tornerà più. La consapevolezza, secondo chi lo conosce bene, gli era arrivata già al momento della mossa di far cadere il governo Conte 2 per far insediare Mario Draghi: «Se mi riesce il capolavoro con Draghi, poi lui non mi farà toccare palla per due anni», avrebbe teorizzato già a inizio 2021.
Quindi ora la strategia puramente politica lascerebbe spazio alla voglia personale di costruire la propria mitologia secondo un racconto lineare: ho provato a cambiare le cose, sono rimasto la stessa persona di allora e adesso spiego perchè l’operazione non mi è riuscita.
Per chi lo guarda sul palco, però, l’impressione rischia di essere un’altra. Nel suo monologo, il nemico politico numero uno è il Movimento 5 Stelle, con i suoi populismi e le sue incoerenze. Osservandolo mentre aspetta l’applauso del pubblico, chiede i video alla regia e lancia strali verbali, però, il primo a venire in mente è Beppe Grillo. In uno strano percorso inverso (uno da show man a politico, l’altro da politico a show man), due personaggi che si sono sempre calorosamente odiati rischiano di incrociarsi e di scoprire di avere più in comune di quanto pensano: dal tono di invettiva all’amore per il palco in solitaria.
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