Il presidente spiega che le elezioni sarebbero un rischio enorme e si appella a tutte le forze per sostenere un nuovo esecutivo dopo la fine della maggioranza. Matteo Renzi ha spinto Italia viva a rompere il tavolo delle trattative. Sarà un governo «di altro profilo», ha detto Mattarella
- Sono le 21 e 15, come da rigorosa tradizione mai troppo tardi, quando il presidente Sergio Mattarella prende la parola ai cronisti per spiegare, con parole drammatiche, le molte ragioni per cui il paese non può andare al voto anticipato
- La giornata scorre corsa, via via verso il precipizio finale. Il nome di Draghi rimbalza in tutti i tavoli. Dal Pd scivola via una suggestione: un governo del presidente della Bce «non sarebbe come il governo Monti» semmai come il governo Ciampi del ‘93.
- In teoria Renzi non chiude, in effetti: «Ci sono due scenari», dice ai suoi parlamentari, «Le elezioni anticipate non ci sono. Noi preferiamo un governo politico ma siamo disponibili se ci sarà un governo istituzionale» Ma la sostanza è: no al Conte ter.
Sono le 21 e 15, come da rigorosa tradizione mai troppo tardi, quando il presidente Sergio Mattarella prende la parola ai cronisti per spiegare, con parole drammatiche, le molte ragioni per cui il paese non può andare al voto anticipato: fra tante la pandemia, e il Recovery plan che richiede un governo con pienezza di mandato. Parole severe, alla fine delle quali arriva un «appello a tutte le forze politiche per dare la fiducia a un governo di alto profilo istituzionale». Poco dopo il segretario generale Ugo Zampetti pronuncia la parola a lungo evocata, scongiurata, rimandata: Draghi. L’ex presidente della Bce è convocato per oggi a mezzogiorno.
Finisce così la lunga giornata in cui sprofonda il governo giallorosso, forse per sempre. L’ex premier Conte è barricato per le sue ultime ore a palazzo Chigi e si rammarica di non aver ricevuto il mandato. Inizia un’altra vita per lui, ma non è detto che sia da leader. Il Pd riunito alla sede del Nazareno è attonito: «Rispetto per Mattarella» ma «non sarà facile mettere insieme forze politiche che insieme non hanno fatto niente e che strategicamente non faranno niente insieme». Nella ex maggioranza da ore volavano gli stracci, dopo la fine ingloriosa del tavolo della sala della Lupa della Camera. Alle 6 del pomeriggio da ore è già notte sul Conte ter. L’«esploratore» Roberto Fico non lo ha ancora capito e rientra per l’ultima volta, a ricevere il «verbale» del confronto. Ma alla lettura del testo i renziani insorgono: «Non rispecchia le diverse posizioni del tavolo». Stracciato. La notizia filtra fuori, Renzi non ci sta: «È una barzelletta dire che non si chiude sul verbale». Lo scontro è sui contenuti, scrive: «Bonafede, Mes, Scuola, Arcuri, vaccini, alta velocità, Anpal, reddito di cittadinanza. Su questo abbiamo registrato la rottura, non su altro. Prendiamo atto dei niet dei colleghi della ex maggioranza». Poi: «Crimi non cede su Bonafede e Azzolina». E ancora: i Cinque stelle mollano solo Nunzia Catalfo, ma a condizione che non entri al governo Teresa Bellanova. Dunque su quale tavolo rompe Renzi? Vito Crimi dalla tv: «Non abbiamo messo nessuno veto, i veti sui nostri li ha messi Renzi. Voleva ottenere qualche poltrona in più». Nella sede del Pd regna il caos. Parte comunque la contraerea: la rottura è «inspiegabile», «Renzi non rompe con Conte, ma con gli alleati». Tradotto: la maggioranza non c’è più.
Verso il precipizio
Tutta la giornata scorre a passo di carica verso il precipizio finale. Il nome di Mario Draghi rimbalza su tutti i tavoli. Dal Pd sembrano arrivare segnali positivi. Il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, scappando via da Montecitorio, nega: «Noi siamo ancora su Conte». Dietro di lui Loredana De Petris, Leu: «Permangono distanze incolmabili. Se Iv dice di no è molto difficile che possa accadere qualcosa di diverso dalle elezioni». «Le distanze sono colmabili», giura due passi più in là il capogruppo Pd Graziano Delrio. I cellulari dei dem ammutoliscono.
Avevano cominciato a tacere via via che i segnali diventavano solo negativi per Conte. In mattinata il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, celebra nel 130esimo anniversario dalla nascita del suo predecessore Antonio Segni.
Distillando le parole, cita uno dei messaggi alle camere in cui Segni si schiera per la non rieleggibilità del capo dello stato. È chiaro il messaggio: sta escludendo il suo secondo mandato. Ma aggiunge, ancora citando Segni: «Una volta disposta la non rieleggibilità del presidente» si potrà restituire «il potere di sciogliere il parlamento negli ultimi mesi del suo mandato», disposizione che determina «gravi effetti». Quelli che preoccupano il presidente in queste ore.
Intanto alla sala della Lupa fa ingresso il tema della giustizia, quello su cui si è spiaggiato il Conte due. «Se entro sei mesi il ddl Bonafede di riforma del processo penale non viene approvato allora bisognerà rivedere la formula attuale della prescrizione. Chiamiamolo “lodo Orlando”», dice Bruno Tabacci. Ai cronisti dice che c’è l’accordo. Invece no: Iv chiede una sospensione per riunire i gruppi. Renzi: «Sul lodo Orlando l’accordo è zero». Su Twitter il vice di Nicola Zingaretti dice di aver assistito «a un altro film». Un notabile renziano è pessimista: «Stiamo cercando risposte che non arrivano» ma «non è chiusa». Renzi non chiude, a parole. Ma confida ai suoi parlamentari: «Le elezioni anticipate non ci sono. Noi preferiamo un governo politico ma siamo disponibili a un governo istituzionale». La sostanza è: no a Conte.
È finita. Nei Cinque stelle c’è già chi fiuta l’aria. Il deputato M5s Emilio Carelli annuncia l’addio e «una nuova componente moderata, di centro destra». Nella trattativa sui ministri succede di tutto. Si procede, anzi si recede, a sportellate. I Cinque stelle difendono Bonafede, per Iv è una provocazione. Iv chiede che al ministero del lavoro vada Bellanova, per i Cinque stelle è una provocazione. Iv respinge la proposta di due vicepremier (Orlando per il Pd e Fraccaro per M5s). Iv vuole cambiare tutto il governo, M5s fa muro, il Pd media senza speranza. La discussione si spiaggia. «Siamo allo stallo», ammette alla fine Ettore Rosato, ed è il più trattativista di Iv. Prima di incamminarsi in auto verso il Colle ad alzare bandiera bianca, Fico telefona a Renzi per sentirsi dire dalla sua voce quel «no a Conte», obiettivo sin dall’inizio della crisi, mai pronunciato apertamente.
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