A trent’anni da Tangentopoli, la maggioranza dell’immunità parlamentare continua a essere solida. L’ultimo esempio: la giunta del Senato ha deciso di non autorizzare l’acquisizione delle intercettazioni del leghista Armando Siri imputato per corruzione. La decisione è del 16 febbraio scorso, data simbolica, la vigilia dei trent’anni dall’inizio di Tangentopoli, con l’arresto per tangenti dell’ingegnere Mario Chiesa nel suo ufficio a Milano.

L’arresto aveva dato il via all’inchiesta Mani Pulite, che ha svelato agli italiani la pervasività della corruzione nel paese. Nei giorni in cui la politica dibatte sulla storia di Mani Pulite, oltre a Siri la giunta per le immunità del Senato si è resa protagonista una raffica di no a procure e tribunali, che vanno ad aggiungersi a quelli della Camera e di Palazzo Madama dall’inizio della legislatura.

Martedì 22 febbraio l’Aula dovrà esprimersi su Matteo Renzi, indagato per finanziamento illecito ai partiti. La storia dell’ultima legislatura è ricca di esempi in cui il parlamento ha deciso di salvare il deputato o il senatore di turno.

La Costituzione

L’articolo 68 della costituzione prevede che i membri del parlamento non possano essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Ma anche che, senza autorizzazione della camera di appartenenza, nessun membro del parlamento possa essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né essere arrestato, privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza definitiva di condanna.

L’autorizzazione di Palazzo Madama o di Montecitorio è necessaria anche per sottoporre i membri del parlamento a intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza. L’articolo è nato come garanzia della libertà della funzione di parlamentare all’indomani del fascismo, e in teoria non dovrebbe ledere l’azione civile e penale in tutti gli altri casi. I voti espressi nella giunta parlamentare che se ne occupa, con un relatore a favore e uno contro il deputato o il senatore, diventano però il pretesto per movimenti di alleanze nate da accordi politici pronti a ribaltarsi o a diventare ancora più solidi in Aula.

Diego Sozzani

Diego Sozzani (LaPresse)

Uno dei più celebri ribaltamenti della legislatura in corso è avvenuto alla Camera. Era il 2019 e il 19 settembre si registrava il «clamoroso salvataggio dell'Aula all'esponente azzurro Diego Sozzani». La gip Raffaella Mascarino aveva chiesto l’arresto per il deputato. L’ex presidente della provincia di Novara e già consigliere regionale in Piemonte dove era vicecoordinatore del partito era accusato di un finanziamento illecito da 10 mila euro e indagato per corruzione.

A luglio la giunta aveva dato via libera, a settembre era nato da poco il governo giallo-rosso, la sorte di Sozzani sembrava segnata, ma in Aula accadde qualcosa: oltre 40 “franchi tiratori” nella maggioranza, ovvero deputati che nel corso del voto segreto non hanno seguito la linea del partito, e l’arresto è stato respinto al mittente.

Luigi Cesaro

LaPresse

Mancavano dieci giorni alla vigilia di Natale, e la giunta per le immunità del Senato il 14 dicembre 2021 ha negato gli arresti domiciliari nei confronti di Luigi Cesaro (Forza Italia), richiesti dal tribunale di Napoli. Dodici membri della Giunta hanno votato contro la richiesta mentre sette si sono astenuti. A maggio sempre il Senato aveva già negato l’autorizzazione a usare parte delle intercettazioni raccolte dagli inquirenti sul caso. Cesaro era indagato, insieme ad altri suoi fratelli, per concorso esterno in associazione mafiosa.

La richiesta dei domiciliari è stata formulata dal giudice per le indagini preliminari di Napoli per aver «fornito un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo alla conservazione all’operatività e al rafforzamento dell’associazione camorristica denominata clan Puca». Tra gli astenuti anche i senatori del Movimento 5 stelle. Hanno ritenuto che per Cesaro non ci fosse il pericolo di fuga.

Armando Siri

Armando Siri (Foto Valerio Portelli/LaPresse)

L’indagine su Armando Siri ha messo in crisi il governo giallo-verde a luglio 2019: il leghista è stato accusato di corruzione perché nel 2018, quando il parlamentare era sottosegretario del governo Conte 1, per la procura avrebbe ricevuto «indebitamente» la «promessa o dazione» di due mazzette da 30 mila e 8 mila euro. A offrire il denaro a Siri, ancora oggi responsabile economico della Lega, era stato, secondo i pm, Francesco Paolo Arata, ex consulente per l’energia di Matteo Salvini e imprenditore ritenuto dalla procura di Palermo in affari con Vito Nicastri, il “re dell’eolico”, ritenuto dagli investigatori vicino al clan di Matteo Messina Denaro.

Le intercettazioni hanno permesso alla procura di aprire l’indagine. Mercoledì la giunta per le immunità ha approvato la relazione presentata dal senatore di Fratelli d’Italia Lucio Malan. Alla fine la giunta ha deciso: le intercettazioni non risultano necessarie né casuali, e così è stata negata l’autorizzazione al loro utilizzo. La decisione dovrà adesso approdare in Aula.

Matteo Renzi

Matteo Renzi (LaPresse)

Infine un altro caso recente, quello di Matteo Renzi, indagato a Firenze per finanziamento illecito ai partiti attraverso la fondazione Open. La Giunta il 14 dicembre ha dato il via libera alla relazione della senatrice di Forza Italia Fiammetta Modena che ha sollevato un conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale contro i magistrati di Firenze: così come lamentato da Renzi, per i parlamentari sarebbe stata inserita indebitamente nel fascicolo dell'inchiesta la chat con Vincenzo Manes del 3-4 giugno 2018 - quando Renzi era già senatore - per ottenere un volo. Nonostante gli investigatori avessero ottenuto i messaggi non direttamente da Renzi ma dal destinatario, secondo la parlamentare i pm avrebbero dovuto comunque chiedere prima una formale autorizzazione al Senato.

La relazione di Modena sul caso Open ha ottenuto 14 voti favorevoli tra questi quelli della Lega e d Fratelli d'Italia. Due sono stati i voti contrari, quello dell'ex presidente del Senato Pietro Grasso di Liberi e Uguali e di Gregorio De Falco, entrambi nel gruppo misto. Quattro gli astenuti (Pd e M5s). Grasso ha obiettato che per la prima volta si tenta di intervenire direttamente sulle indagini. Adesso toccherà all’Aula esprimersi, nel frattempo per Renzi è stato chiesto il rinvio a giudizio e l’ex premier ha deciso di denunciare i pm.

Carlo Giovanardi

Carlo Giovanardi (LaPresse)

Le denunce che colpiscono i parlamentari non riguardano solo il denaro. Spaziano, così come i motivi per respingere le richieste di procure e tribunali che si rifanno ad altre parti dell’articolo 68. Sempre il 16 febbraio il Senato ha riconosciuto l'insindacabilità all’ex ministro del governo Berlusconi, Carlo Giovanardi, per il procedimento aperto dal Tribunale di Modena nel 2020 sul cosiddetto caso White List: a Giovanardi sono contestati diversi reati come la rivelazione del segreto d'ufficio, l'oltraggio e minaccia, il tutto per far riammettere l'impresa Bianchini nelle liste delle aziende pulite della prefettura. L’azienda era ritenuta all’epoca dei fatti collusa con la ‘ndrangheta e il titolare è stato condannato in secondo grado a nove anni per concorso esterno alla mafia. I senatori hanno approvato la relazione del leghista Simone Pillon con 113 voti favorevoli, 90 contrari e 8 astenuti. Per Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Italia viva, le dichiarazioni del senatore sono ritenute opinioni espresse nell'esercizio della funzione parlamentare e come tali non perseguibili. Questa decisione potrà avere conseguenze sul processo in corso contro Giovanardi.

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