- «Al di là delle questioni emerse in queste ore e da approfondire nel Copasir, è innegabile che tra alcune forze o figure politiche italiane e la Russia di Putin ci siano state, e in parte ancora sussistano, simpatie e relazioni anche con accordi formali. Come quello tra la Lega e Russia Unita del 2017».
- «L’eroica controffensiva di Kiev evidenzia che gli obiettivi strategici russi sono falliti: prima Putin se ne renderà conto, prima si arriverà alla pace».
- Su Conte e l’Ucraina: «No alla propaganda e interessi elettorali. Il rischio è quello di essere costretti a giravolte poco dignitose. La scelta irresponsabile del M5S di far cadere Draghi è un fatto che non si potrà archiviare».
Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini è noto, e non solo fra i suoi, per essere uno che pesa molto le parole. Per questo oggi chiede che sia il Copasir, e prima possibile, a occuparsi dei 300 milioni di dollari che, secondo l’intelligence americana, sarebbero stati spesi da Mosca per influenzare le democrazie occidentali.
È anche a capo dell’area Base riformista del Pd, ed è stato ministro del governo Conte II. Fra i primi a sostenere l’aiuto militare all’Ucraina, mette in guardia contro quelle che definisce «giravolte poco dignitose». Degli ex alleati, e dei colleghi dell’attuale, ancorché dimissionata, maggioranza.
Ministro Guerini, cosa sa fin qui e cosa farà il governo sui soldi di Mosca ai partiti? Se accertati, cosa significherebbe per la nostra vita democratica?
La questione è talmente delicata da meritare parole ragionate. Credo che se ne debbano occupare gli organismi preposti, a partire dal Copasir. La questione non può essere sottovalutata e la comunicazione americana di martedì è solo una parte della storia dei tentativi russi di influenzare le democrazie occidentali, tra l’altro già evidenziati dal parlamento europeo e, in Italia, dal Copasir stesso nella relazione alle camere. E, al di là delle questioni emerse in queste ore e da approfondire, è innegabile che tra alcune forze o figure politiche italiane e la Russia di Putin ci siano state, e in parte ancora sussistano, simpatie e relazioni anche con accordi formali di collaborazione come quello, ad esempio, tra la Lega e Russia Unita del 2017.
Nel frattempo le forze della ex maggioranza Draghi si dividono di nuovo sull’invio di armi all’Ucraina. È in arrivo un nuovo decreto interministeriale?
Il parlamento ha votato e il governo agisce su quel preciso mandato: l’Italia fin da subito ha scelto di aiutare il popolo ucraino e continuerà a farlo, anche con l’invio di equipaggiamenti militari. Stiamo effettuando un’ulteriore ricognizione sulla base delle richieste ucraine e, una volta completata, procederemo secondo il mandato parlamentare e le procedure previste. La serietà di un paese non può essere esposta a chi dice, come sta succedendo, tutto e il contrario di tutto per ricercare qualche voto in più. E lo fa, e questo è l’aspetto che mi preoccupa maggiormente, su una vicenda così drammatica come la guerra all’Ucraina. Il punto resta solo uno: la Russia ha invaso in modo sanguinario un altro paese e noi, con la comunità internazionale, stiamo aiutando l’aggredito. Ed è su questo che ho ispirato le decisioni che sono stato chiamato a prendere. Non certo su interessi di carattere elettorale.
Crede che l’Ucraina possa ricacciare i russi oltre confini, insomma possa “vincere” la guerra?
La guerra di Putin è una tragedia che sta causando vittime e sofferenze anzitutto alla popolazione civile. Il nostro obiettivo è e resta quello di sostenere l’Ucraina e aiutare il suo popolo a difendersi da un’aggressione ingiustificata. L’eroica controffensiva di Kiev evidenzia che gli obiettivi strategici russi sono falliti: prima Putin se ne renderà conto, prima si potrà arrivare a un cessate il fuoco e a un negoziato vero per la pace. Certo, le sanzioni alla Russia e gli aiuti forniti all’Ucraina sono stati e continueranno a essere molto importanti e per questo guardo con un certo imbarazzo chi oggi si dice orgoglioso della controffensiva ucraina quando fino a poche ore prima metteva in discussione la necessità di quegli stessi aiuti; oppure chi sulle sanzioni continua a mantenere posizioni ambigue. Sanzioni che invece hanno dimostrato la loro efficacia. E la reazione di Putin lo dimostra.
Eppure la diplomazia, e la pace, sembrano fuori dalle prospettive di un futuro ragionevolmente prossimo. E così?
No. Ed è un dovere lavorarci. Ma la pace non può essere confusa con la capitolazione dell’Ucraina. Per questo, l’impegno della comunità internazionale a sostegno di Kiev è la precondizione per arrivare a una pace che ripristini il rispetto dei principi del diritto internazionale.
Giorgia Meloni è per l’aiuto militare all’Ucraina, Salvini no: se toccasse alla destra, il prossimo esecutivo può davvero schierare diversamente il paese?
Le posizioni degli alleati di Meloni sono ambigue e preoccupanti e credo che meriterebbero, da chi ha l’ambizione di guidare il nostro paese, giudizi più chiari e netti. La nostra storia, i valori in cui crediamo, la nostra collocazione euroatlantica devono rimanere il faro che illumina le nostre scelte. Uscire da questo orizzonte sarebbe pericoloso per l’Italia e per i suoi interessi di sicurezza.
Nato e i governi occidentali non hanno nulla da rimproverarsi per l’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina?
È un ritornello della propaganda russa. In realtà, prima dell’invasione, Nato e Unione europea hanno offerto più occasioni a Putin di sedersi al tavolo e confrontarsi anche sull’architettura di sicurezza europea. Tra gli altri, sia nell’ambito del Nato-Russia Forum, che in ambito Ocse in tema di controllo degli armamenti convenzionali e non.
La risposta di Putin è stata la temeraria invasione all’Ucraina. Il paventato allargamento della Nato, più volte evocato dalla propaganda putiniana e da una certa “cultura” anche nel nostro paese, non è stato la causa dell’aggressione russa, ne è stato l’effetto: Svezia e Finlandia sono l’esempio.
Conte si dice contro l’invio di armi a Kiev, ma si felicita per i successi militari ucraini grazie all’invio di armi. Riconosce il suo ex premier, e il suo ex alleato?
Non mi permetto di esprimere giudizi sulle persone. Certo, su un tema così drammaticamente importante come la guerra in Ucraina, propaganda e interessi elettorali non dovrebbero entrarci. Anche perché il rischio è quello di essere costretti a giravolte poco dignitose.
L’alleanza con il M5s sarà un tema del Pd post 25 settembre?
La scelta irresponsabile del M5s di far cadere il governo Draghi, insieme a Forza Italia e Lega, è un fatto politico dirimente, che non possiamo non considerare o archiviare. Oggi siamo impegnati in una campagna elettorale difficile a cui stiamo dedicando tutte le nostre energie, nella consapevolezza che solo il Pd può battere una destra che, oltre a rischiare di allontanarci dall’Europa, ha già ampiamente dimostrato di non saper governare questo paese. Più che inutili discussioni sul dopo, oggi dobbiamo impedire che l’Italia ritorni indietro.
Il Pd cala nei sondaggi. Perché?
I sondaggi in realtà mostrano che la sfida è tra Pd e Fratelli d’Italia e avendo fatto tante campagne elettorali so che, alla fine, ciò che conta sono i voti veri. Da qui al 25 settembre abbiamo ancora molto tempo per convincere gli indecisi. Quello che posso dire è che negli incontri che sto facendo in questi giorni vedo tanta partecipazione, tanta fiducia nella rimonta e tanta voglia di far vincere un’Italia che vuole guardare avanti. Per più diritti, più equità, più lavoro. E il Pd è la forza che può far voce a questa speranza.
Il Pd è incalzato a sinistra dal M5s e al centro da Calenda. Ma sembra un partito che non può essere compiutamente di sinistra né di centro. La questione dell’identità è irrisolta, o irrisolvibile?
Il Pd esiste se è un grande partito, plurale e democratico, in cui l’identificazione in una comune tavola di valori non annulli la diversità di storie e culture, che per noi è una ricchezza e non un limite. La nostra identità progressista e riformista deve essere continuamente reinterpretata e aggiornata nel confronto con una società che cambia e che chiede risposte alle domande che vengono poste alla politica, in particolare dalle nuove generazioni. Giovani che chiedono più dignità nel lavoro, più coraggio nelle scelte a protezione dell’ambiente e a tutela del pianeta, più opportunità per il futuro, più diritti. È nel confronto con la società che si forgia l’identità di un partito.
Letta lancia un “allarme democratico” sulle destre. Teme che potrebbero fare le riforme istituzionali da sole?
Credo che la destra sia pericolosa per le sue ricette. Penso al grande tema dei diritti, ad esempio, oppure all’economia: non dimentico che nel 2011 il centrodestra portò il nostro Paese sull’orlo del default, con i costi che l’Italia ha dovuto sopportare per uscirne. Mi pare che le ricette non siano cambiate. E neanche gli chef.
Sui tavoli internazionali a cui lei partecipa, ed europei in particolare, circola timore per l’Italia del dopo Draghi?
Quello che ho registrato è lo stupore verso la scelta di alcuni – che hanno nomi e cognomi precisi – di sfiduciare una figura autorevole e riconosciuta come Mario Draghi. Ho altresì registrato che il Pd viene visto come una forza che ha dimostrato responsabilità e affidabilità, anche e proprio a partire dal sostegno a Draghi. La credibilità del Pd è un valore per l’Italia. Ma penso che gli italiani per primi ne siano consapevoli.
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