- La premier Meloni ha convocato le opposizioni alla Camera per parlare di riforme. Ma il governo non presenterà alcuna bozza: «Sarà un momento di confronto», spiegano da Palazzo Chigi.
- L’attenzione mediatica è tutta concentrata sul primo faccia a faccia tra Meloni e la segretaria del Pd Schlein. La mossa provoca comunque grattacapi ai dem, non proprio compatti sulla posizione da assumere e pressati dal M5s.
- Il vertice voluto dal governo aumenta le distanze tra Azione e Italia viva. L’idea del ‘sindaco d’Italia’, cara a Renzi, è giudicata fumosa dal partito di Calenda.
Un incontro al buio con l’unica certezza che il tema in agenda è quello delle riforme. Ma detta così, può esserci dentro di tutto: dal presidenzialismo alla legge elettorale. Mentre il governo è alle prese con dossier complicati, come le pressioni dell’Eurogruppo sull’approvazione della riforma del Mes e l’attuazione del Pnrr, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha infatti preparato il tavolo per avviare la riscrittura della Costituzione.
Palazzo Chigi diffonde sul tema l’immagine istituzionale: la premier sta cercando un’interlocuzione con le opposizioni. Un modo per dire che se salta il dialogo è colpa degli altri. «Sarà un momento di ascolto e confronto», è la posizione.
Lei, parlando da un comizio da Ancona, non dice molto di più se non avvertire i suoi interlocutori: «Vorrei fare una riforma il più possibile condivisa, ma io la faccio comunque perché il mandato l’ho ricevuto dal popolo italiano. La priorità è legare chi governa al consenso popolare, serve stabilità: basta con le legislature ostaggio di chi cambia casacca, l’ho detto agli italiani, lo devo a loro». L’appuntamento è fissato per martedì mattina a Montecitorio nella biblioteca del presidente. Si inizia alle 12.30.
Comunicazione e sospetti
Ma dietro la patina dello spin di comunicazione, c’è la riedizione di quanto avvenuto a gennaio, quando la ministra delle Riforme, Elisabetta Alberti Casellati, ha incontrato le minoranze parlamentari per fare una ricognizione. Dopo quattro mesi si torna alla casella di partenza. L’unica differenza è l’attenzione mediatica per il primo faccia a faccia tra Meloni e la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein. La narrazione è incentrata sulle persone, i fatti restano sullo sfondo. La mossa del governo ha pure altri fini, in primis quella di spostare l’attenzione dai problemi che si accumulano.
Nei dem c’è il sospetto che la premier stia facendo melina, un evento a favore di telecamere. Mai come in questa legislatura c’è un governo con numeri solidi, una maggioranza politica di destra, che potrebbe guidare il paese per cinque anni senza alcun problema. L’urgenza delle riforme non si intravede nella sostanza, se non per attuare una strategia che si muove su vari fronti.
«Dobbiamo vedere se è solo un modo per guadagnare tempo e distogliere l’attenzione dalle brutte figure che sta facendo il governo», è il mantra del Pd, riferito dal senatore Dario Parrini. In politica contano i tempi e non sfugge che la convocazione di Meloni sia arrivata in piena campagna elettorale per le amministrative di domenica e lunedì.
I leader e i dirigenti delle opposizioni devono tornare a Roma di corsa per parlare di riforme. Poi di nuovo ventre a terra per lanciarsi nella mischia delle elezioni.
Effetti collaterali
Il giro di incontri è anche un messaggio lanciato alla maggioranza, cercando di tenere buoni chi in Fratelli d’Italia scalpita per indossare i panni del padre costituente. Un nome su tutti è quello dell’ex presidente del Senato, Marcello Pera, ridotto al ruolo di senatore semplice.
Meloni cerca dunque di muovere i primi passi, in una visione più complessiva, lanciando segnali di fumo agli alleati, che hanno un significato: le riforme costituzionali devono procedere di pari passo con l’autonomia differenziata, su cui il ministro Roberto Calderoli sta spingendo con il supporto del leader, Matteo Salvini.
In cambio dell’autonomia, la Lega non solleverebbe problemi sulla forma di governo di Fratelli d’Italia, sia presidenzialismo, semipresidenzialismo o premierato. La priorità è di sventolare di nuovo la bandiera padana. Solo che a causa dei tempi lunghi messi in agenda dalla premier, il sismografo della maggioranza segnala delle oscillazioni, che si avvertono pure tra le opposizioni.
Un’altra faglia si sta aprendo tra Azione e Italia viva. Matteo Renzi sgomita per dimostrarsi più dialogante di tutti, spedendo in avanscoperta la capogruppo al Senato, Raffaella Paita.
«Siamo per il modello del “sindaco d’Italia”», ha ribadito. Una battaglia che i renziani condurranno in solitaria. Dalle parti di Azione sono scettici sulla formula di Iv, perché i due rami del parlamento non possono essere derubricati a consigli comunali.
Quindi il sindaco d’Italia assume le fattezze dell’ennesima trovata comunicativa, secondo l’inner circle di Carlo Calenda. Ma qui c’è un’altra novità: tra Azione e il Pd può verificarsi una convergenza di massima sulla richiesta di un sistema più vicino alla Germania con il rafforzamento dei poteri del premier e l’introduzione del meccanismo della sfiducia costruttiva, senza toccare il ruolo del presidente della Repubblica.
Per Schlein le buone notizie sono finite qua: deve fare i conti con un doppio problema, quello interno con l’ala riformista, più aperturista sulle riforme, e l’altro esterno, la concorrenza di Giuseppe Conte pronto alle barricate per difendere la Costituzione e a sfruttare il tavolo come un palcoscenico per controbattere alle iniziative del governo.
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