Il primo slalom da affrontare è quello tra i ritardi che sono già accumulati, tanto da scuotere Giovanni Malagò in prima persona. Il grande capo dello sport italiano ha fiutato l’aria di una gara contro il tempo, sempre più difficile: «Non siamo in dirittura d’arrivo», ha sentenziato appena poche settimane fa. Certo, a meno di mille giorni da Milano-Cortina 2026, gli organizzatori ostentano la tenacia dei fondisti che non guardano al cronometro nell’immediato ma si concentrano all’obiettivo più importante: il traguardo finale, la buona riuscita dell’Olimpiade invernale. L’impatto simbolico è elevato: coinvolge le due regioni più produttive del nord, non si possono fare figuracce.

Nessuno teme che non si riesca a garantire l’organizzazione dell’evento, e ci mancherebbe. Solo che all’orizzonte non si scorge alcun miracolo dell’operoso lombardo-veneto a trazione leghista: è già dato per scontato che, tra i lavori inseriti nel piano progettuale, almeno un 20 per cento è destinato a essere terminato dopo i Giochi olimpici. Se viene completato l’80 per cento si stapperà spumante. E la soglia è stata individuata dal vicepremier, Matteo Salvini, che sull’appuntamento ci sta mettendo la faccia per ragioni politiche, dato che tutto si celebra nelle regioni chiave per la sua Lega, mentre è ministro delle Infrastrutture. La cifra dell’80 per cento è stata fissata sulla fiducia: a oggi non esiste un cronoprogramma per confrontare la sua attendibilità. «Risulta molto difficile stabilire se e quali opere verranno effettivamente concluse in tempo per i giochi olimpici e quali saranno realizzate solamente per “stralci”», ricorda un dossier di Legambiente che si è soffermato su Milano-Cortina.

A giochi fatti

E ammesso che il target fosse raggiunto, il resto delle opere che fine farà? Resteranno a disposizione del territorio in seguito. Un esempio è la variante di Cortina, di cui si parla da decenni, che dovrebbe facilitare l’accesso a una delle due località dei giochi e che assorbe risorse per 800 milioni di euro. Uno dei lotti, quello decisivo, vedrà la luce, sì, ma solo a giochi fatti, nel vero senso della parola. L’altra variante, quella di Longarone, è la vera sfida, che in tanti danno per persa. «C’è stato il Covid, poi la guerra, l’inflazione» è il refrain che viene ripetuto da più lati. Così l’Olimpiade a costo zero, come era stata annunciata, chiederà un esborso alle casse pubbliche di almeno tre miliardi e 100 milioni di euro.

I primi stanziamenti sono arrivati con la legge di Bilancio del governo Conte bis, sono proseguiti con Draghi fino agli ultimi 400 milioni di euro garantiti dal governo Meloni nella manovra approvata lo scorso dicembre, che ha completato la dotazione complessiva. Con un’annotazione desumibile dai documenti ufficiali: le infrastrutture strettamente sportive (quelle in cui si terranno le competizioni tra cui il villaggio olimpico di Cortina o il tracciato per lo slalom speciale di Bormio) prevedono una spesa totale di 800 milioni di euro, tutto il resto sarà investito per le infrastrutture. Sarà stato esagerato pensare che fosse a costo zero, ma era possibile limitare la spesa intorno al miliardo o poco più, come si vocifera in alcuni ambienti organizzativi. I territori, però, hanno presentato il conto e chiesto che ci fossero interventi infrastrutturali ad ampio raggio per lasciare un’eredità.

Fondazione e società

Il gran ballo dei Giochi è caratterizzato dalla governance con una doppia diramazione. C’è la fondazione Milano-Cortina, che ha il compito di svolgere le attività orientate alla manifestazione e alla sua promozione, dal marketing alla comunicazione passando per il ticketing da pensare a una platea di pubblico stimata in un range tra un milione e 600mila e due milioni di spettatori. «La fondazione è il pezzo che fa le cose interessanti», si ironizza nella galassia organizzativa. Infatti si lavora alle presentazioni nelle scuole e alla mascotte che potrebbe essere annunciata al prossimo festival di Sanremo.

La potente macchina della fondazione schiera Malagò come presidente, che sa di essere l’uomo solo al comando, e Andrea Varnier nelle vesti di amministratore delegato, indicato dal ministro dello Sport, Andrea Abodi, con l’avallo della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Nel suo curriculum c’è una lunga esperienza, tra cui il ruolo ufficiale di direttore di immagine e degli eventi dell’Olimpiade di Torino 2006. Nel cda, tra gli altri rappresentanti degli enti locali, siede come ambassador l’ex campionessa di nuoto Federica Pellegrini.

Ma per fare le “cose interessanti” della fondazione, serve avere una base delle opere in grado di garantire il palcoscenico dello spettacolo sportivo. E questo compete alla Simico (Società infrastrutture Milano-Cortina), che vede come soci le Regioni e le province interessate insieme al ministero dell’economia e al ministero delle Infrastrutture. Il compito pratico è di realizzare le 73 infrastrutture previste, dalle varianti di Cortina e Longarone alla pista di bob. L’ad è Luigivalerio Sant’Andrea, entrato in carica nel 2022 con il governo Draghi, ma che ha un profilo gradito al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che di quell’esecutivo era un influente ministro. Sant’Andrea era già direttore infrastrutture e sistemi in Sport e Salute, la società voluta fortemente da Giorgetti in concorrenza con il Coni per indebolire il potere di Malagò.

In corso di opere

LAPRESSE

Due strutture che camminano in parallelo, con profili che hanno biografie in parte contrapposte. Volenti e nolenti sono accomunate dallo stesso destino: il successo dei Giochi olimpici invernali del 2026. Per evitare incomprensioni a Palazzo Chigi è stata costituita a inizio anno una cabina di regia, che mette insieme tutti gli attori con Abodi e Salvini a sovrintendere i lavori, essendo i ministri più in vista. «Uno strumento utile», ammettono tutti. Da parte sua Malagò al tavolo porta il proprio peso specifico, consapevole che un ipotetico flop per lui sarebbe un macigno. Anche per questo ci mette la faccia e denuncia i ritardi, pungolando la Simico nonostante la versione ufficiale parli di una collaborazione proficua.

E il capitolo più delicato è proprio quello infrastrutturale, che sta per essere aggiornato dal governo Meloni. L’esecutivo di Draghi aveva elaborato un piano quantomeno prudente: con un dpcm del settembre scorso ha avallato un piano con 73 cantieri. Ne aveva indicate 26 con l’etichetta «essenziali-indifferibili», ossia quelle davvero indispensabili all’organizzazione dell’Olimpiade, mentre le altre 47 erano state catalogate come «essenziali». Una definizione un po’ ingannevole: di fatto erano le infrastrutture che potevano essere consegnate anche oltre il gennaio 2026. Essenziali, ma non troppo.

Rincari olimpici

Adesso Salvini vuole eliminare la distinzione. Nei prossimi giorni sarà pubblicato un nuovo piano che dovrebbe aggiornare il precedente dpcm, in cui tutte le opere diventano uguali, essenziali in egual misura. La Simico attende questo passaggio: a quel punto potrà avviare i bandi di gara per la realizzazione dei progetti, compreso il simbolo di quest’Olimpiade: la pista da bob di Cortina, il cui costo è raddoppiato. Si è passati dagli iniziali 61 milioni di euro ai circa 120 milioni di euro stimati dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, anche se dalla parte di Simico si parla di 85 milioni di euro. I numeri sono ballerini, ma l’aumento non è negato da nessuno, compresa la società Milano-Cortina che come policy ha scelta la «trasparenza assoluta» su ogni fronte. I rincari sono in parte legati ai maggiori costi delle materie prime. Insomma, storia nota.

Dall’altra c’è la questione di una stima iniziale in versione minimal, perché oggi la pista interesserà il doppio degli ettari e la realizzazione di un «memoriale» per celebrare i miti di Cortina. Un’operazione da circa 4 milioni di euro. Aumenti di ogni tipo, che per Legambiente potrebbero non essere finiti: l’associazione, in un ampio report dedicato all’evento sportivo, preconizza un costo complessivo di 4 miliardi di euro, uno in più rispetto alle previsioni ufficialmente formulate. Poco male per Salvini che più di tutti si gioca una partita politica cruciale. La premier Meloni ha delegato il dossier, lasciando a guardia il solito sottosegretario, Alfredo Mantovano. Mentre la Lega ha vari attori in campo, dai presidenti di regione Attilio Fontana e Luca Zaia al ministro-vicepremier e al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Difficile prendersela con altri, se le cose non dovessero andare per il verso giusto.

© Riproduzione riservata