- Riccardi dal palco: «Lo diciamo con accenti diversi ma diciamo pace e pensiamo all’Ucraina aggredita». Conte a Landini: «Non molliamo».
- Qualche fischio per Letta, ma fa il giro dei siti. «Fuori, guerrafondaio». Lui replica: «Noi stiamo con Kiev».
- Europe for peace riesce nel miracolo di rimettere le anime diverse dei pacifisti. Ci sono anche le bandiere ucraine. Ma gli striscioni dicono un po’ di tutto: «No armi, no sanzioni».
Una sola moltitudine, non si vedeva da tempo nella capitale, e certo che c’è stata la pandemia, ma non è solo questo il motivo. Europe for peace, un cartello di associazioni (fra cui Rete pace e disarmo, Arci e Acli) a cui hanno aderito quasi 500 altre associazioni, ha portato in piazza 100mila persone, secondo gli organizzatori, per chiedere il cessate il fuoco in Ucraina, una conferenza internazionale per la pace e la messa al bando delle armi nucleari.
Contarle è difficile, soccorre l’esperienza empirica: quando alle quattro e mezza dal palco parla Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, la coda del corteo non è ancora in piazza. Gli scout che hanno aperto la marcia a piazza della Repubblica sono partiti all’una. Un serpentone a chiazze di colore: il bianco delle bandiere e dei cappellini delle Acli, l’arcobaleno dell’Arci, il rosso di tutte le federazioni della Cgil, il blu dei vessilli della comunità di Sant’Egidio. Le signore dello Spi Cgil sfilano in solidarietà alle iraniane in rivolta, «Donne, vita e libertà, vogliamo una vita bella». I fumogeni dell’Udu, l’Unione degli universitari, e della Rete degli studenti: sono i più casinisti, cantano e ballano tutto il tempo, il loro striscione è scritto con la “schwa”, «StudentƏ per la pace e il disarmo» e, occhio, dietro ce n’è un altro: «Nessun merito a questo governo». Di fatto annuncia una mobilitazione contro l’esecutivo delle destre, che peraltro si è annunciato a suon di manganellate all’università e poi con un decreto contro i rave party: non proprio un benvenuto.
«Lo diciamo con accenti diversi ma sappiamo tutti che la pace è l’obiettivo centrale. Pace una parola che diciamo pensando all’Ucraina aggredita», dice Riccardi. «Siamo più di 50», ironizza il segretario Cgil Maurizio Landini, che prende la parola dopo don Luigi Ciotti. Ce l’ha con il decreto rave del governo Meloni. «Chi dice che siamo equidistanti non ha capito nulla. Affermare il diritto del popolo ucraino vuol dire pace e negoziato». La preoccupazione è quella di smentire la storia dei pacifisti amici di Putin.
È vero che gli striscioni se ne infischiano e dicono «No armi, no sanzioni», e tutte le parole disarmiste eludono il tema della resistenza ucraina: senza aiuti militari cosa sarebbe l’Ucraina oggi?
Risposte complicate dai marciatori. Ma fanno cassazione le parole del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, lette dal palco: «Papa Francesco con grande insistenza ha chiesto di fermare la guerra, noi chiediamo al presidente della federazione russa di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza. E chiediamo al presidente dell’Ucraina che sia aperto a serie proposte di pace». La presenza delle associazioni cattoliche è fortissima. Da Cl alle suorine birmane che chiedono libertà per Aung San Suu Kyi.
I partiti in fondo
I partiti restano in fondo, al loro posto. Fra gli ultimi è lo spezzone dei Cinque stelle, il presidente Giuseppe Conte ipnotizza le telecamere ma non arriva fino a San Giovanni. Una stretta di mano molto fotografata con Landini, un avviso al governo: «Sulla pace non molliamo». E: «Su un nuovo invio di armi a Kiev il governo deve venire alle camere e metterci la faccia».
Davanti a loro, ma con un gomito di strada che li divide, c’è il Pd. Se non sono tutti (e non lo sono, qualcuno è andato a Milano alla manifestazione organizzata da Carlo Calenda contro quella romana, accusata appunto di “equidistanza”, che alza i toni per risalire il gap mediatico) sono comunque tanti i dirigenti venuti a “metterci la faccia”: Peppe Provenzano, Matteo Orfini, Marco Furfaro – ufficiale di collegamento con i movimenti – Marina Sereni, Piero Fassino, Laura Boldrini, Piero De Luca, Anna Rossomando, Gianni Cuperlo, Stefano Vaccari, Stefano Graziano, Andrea Casu, Andrea De Maria. Stefano Bonaccini è accolto già quasi come un segretario. Ma c’è anche il sindaco di Firenze Dario Nardella, anche lui papabile in corsa. Nicola Zingaretti in trionfo, fa il pieno di selfie. Enrico Letta entra nel corteo a metà di via Merulana. E qui la cronaca si fa complicata.
Qualche fischio lo prende. Prima una ragazza, fa la musicista e vota Potere al Popolo. Poi un signore strilla «avete rovinato il Pd», si chiama Franco, dice di essere comunista e (forse “ma”) di votare per M5s. Un gruppetto sfila accanto e gli dà del «guerrafondaio», qualcuno scandisce «fuori, fuori». Sui siti diventa una contestazione di piazza.
Quello che vede la cronista è diverso: la verità è che nessuno ha voglia di litigare al corteo della pace. Né di oscurare la richiesta di cessate il fuoco con altri titoli. O quasi nessuno.
E lo si capisce bene a piazza Santa Maria Maggiore, a metà corteo, entra lo spezzone più radicale, quello dell’Unione popolare guidata Luigi De Magistris. C’è il segretario del Prc Maurizio Acerbo e sfila con i comunisti milanesi, hanno portato un bandierone arcobaleno lungo 25 metri. E dietro è seguito da un bandierone altrettanto imponente con i colori della Palestina, una richiesta di pace che gli altri dimenticano. I militanti scandiscono slogan duri contro la Nato, e naturalmente contro i politici che chiedono il riarmo, leggasi il Pd. Ma nessuno cerca il confronto diretto, tantomeno il contatto, nessuno aspetta il passaggio dello spezzone dem.
Letta regge botta. Del resto la pace ha richiamato in piazza un popolo certamente di centrosinistra – con qualche eccezione, ha aderito l’associazione pacifista di Gianni Alemanno – con le sue mille voci e le sue cento contraddizioni. Non è una manifestazione contro il governo, ma è questo il popolo che si mobiliterà, nel caso. Ai giornalisti concede che «valuterà il prossimo decreto per l’invio di armi» quando il governo lo presenterà ma «l’aiuto della resistenza ucraina per noi è un punto fermo. La Russia ha invaso l’Ucraina. E la difesa dell'Ucraina è fondamentale». Davanti a lui, uno striscione tenuto da donne ucraine, tristi e bellissime con le loro ghirlande di fiori in testa. Sono venute dalle Marche, con la Cgil, intorno a loro un trionfo di bandiere gialloblù, questa volta le bandiere di Kiev ci sono, e uno striscione che dice chiaro «Putin go home».
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