- Dietro i cassonetti stradali ricolmi di rifiuti di Roma, le battute sui cinghiali, le polemiche sui premi ai dipendenti che non si ammalano, c’è il labirinto che ha complicato la vita di quasi tutti gli ultimi sindaci della capitale e che è stata il vero colpo di grazia anche per Virginia Raggi: l’Ama.
- Queste nomine chiudono l’era grillina, segnata da una ridda di dirigenti sostituiti uno dopo l’altro, e riscrivono la geografia del potere in Ama ma facendola ripiombare nel passato mentre l’azienda affronta uno dei momenti più complicati della sua storia con un piano anticorruzione che continua a subire le pesanti critiche del collegio sindacale.
- Attraverso le vicende che ruotano attorno al pattume e all’azienda che lo raccoglie, si può leggere la storia recente della città.
Dietro i cassonetti ricolmi di rifiuti, le battute sui cinghiali, le polemiche sui premi ai dipendenti che non si ammalano, c’è una società che ha complicato la vita di quasi tutti gli ultimi sindaci di Roma. Si tratta dell’Ama, l’Azienda municipale ambiente. Più di 7mila dipendenti per raccogliere e gestire un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti, un debito da oltre un miliardo di euro, Ama non è solo una partecipata del comune, ma ha il potere di farlo fallire, il comune.
Per questo il democratico Roberto Gualtieri, sindaco della capitale da un mese, durante la riunione della prima giunta ha scelto, per rilanciare l’azienda, Angelo Piazza. Un passato da ministro della Funzione pubblica (1998-1999), incarichi nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle grandi società di stato, Piazza si è subito mosso alla ricerca di nuovi manager ma ha nominato un direttore generale e un vice, Maurizio Pucci ed Emiliano Limiti, che sono due vecchie conoscenze di Ama. L’incarico di Pucci è a tempo, in attesa di una nuova nomina. La loro prima decisione operativa ha sollevato polemiche: premiare i dipendenti che non si ammalano. Scelta prima negata, poi difesa e, infine, ritirata.
Fino alla fine
L’Ama si occupa della parte meno remunerativa della gestione dei rifiuti, quella della raccolta, ma ha pochissimi impianti di trattamento e di conferimento. Negli ultimi tre lustri non ne ha costruiti di nuovi e ne ha perso uno, il Tmb (Trattamento meccanico biologico) di Rocca Cencia, bruciato a causa di un misterioso incendio.
Tutti gli ultimi primi cittadini della capitale, ognuno a modo suo, hanno pagato un prezzo a causa della gestione dell’immondizia. Il declino di Gianni Alemanno (2008-2013) è iniziato con lo scandalo “parentopoli” e le nomine di amici e fedelissimi all’interno di Ama. Ignazio Marino (2013-2015), arrivato in Campidoglio come risposta alla richiesta di rinnovamento dei cittadini, ha osato chiudere la mega discarica di Malagrotta e ha smesso di pagare il “re dell’immondizia” Manlio Cerroni.
Uno strappo che ha segnato l’inizio della fine, sancita dal Pd davanti al notaio. La sindaca grillina, Virginia Raggi, ha affrontato la sua prima crisi con la scelta dell’assessore all’Ambiente. Ne ha cambiati quattro, si è scontrata con il consiglio di amministrazione dell’Ama sui servizi cimiteriali e ha lasciato l’azienda senza bilanci approvati fino agli ultimi mesi del suo mandato.
L’Ama ha un socio unico, Roma capitale, ma parecchi padroni: banche, sindacati, partiti, imprenditori. A partire da Cerroni, pluriprocessato per reati ambientali, ma assolto nel principale processo che lo ha riguardato. Le sue aziende hanno costruito i primi impianti poi ceduti ad Ama.
Si cambia?
Appena arrivato Gualtieri ha annunciato una gara pubblica per il direttore generale. Per ora l’amministratore unico Piazza ha scelto Pucci e Limiti, entrambi in Ama da anni ed espressione di vecchi blocchi di potere. Pucci in particolare è vicino all’eminenza grigia del Pd romano, Goffredo Bettini. Stessa età, amici da sempre fin dagli anni della militanza.
Pucci è prima stato vicepresidente di una unità sanitaria locale, quindi presidente dell’XI municipio. A fine anni Novanta, la grande occasione: il coordinamento dei cantieri del Giubileo. Negli ultimi anni della giunta di Francesco Rutelli, Pucci risolve lo stallo dei cantieri del nuovo Auditorium di Renzo Piano.
Quindi passa, assieme a Bettini, ai vertici della società che lo gestisce, Musica per Roma. Nel 2003 entra in Ama, ma in azienda resta solo due anni, perché c’è bisogno di lui in regione, alla Protezione civile. Nel 2013 segue la campagna elettorale per Ignazio Marino e diventa assessore alle Infrastrutture dopo il rimpasto che segue l’inchiesta “Mondo di mezzo” (dai più conosciuta come “Mafia capitale”, anche se alla fine non è stata riconosciuta l’aggravante mafiosa).
Salvatore Buzzi, l’uomo delle cooperative condannato nell’appello bis a 12 anni e dieci mesi per corruzione nell’ambito del processo, in un’intercettazione parla di Pucci come di «un ladro». Il manager però non è mai stato neppure indagato. Solo millanterie. L’inchiesta su Buzzi e Massimo Carminati, però, continua a disturbare l’Ama e i suoi vertici. Pucci è stato sentito a ottobre come testimone nel processo a carico di Giovanni Fiscon, ex direttore generale di Ama, imputato per corruzione e turbativa d’asta, ma già assolto nel filone principale, difeso dall’avvocato Salvatore Sciullo.
Nella stessa inchiesta sul “mondo di mezzo”, nel 2017, è stato indagato per associazione mafiosa e poi archiviato, Emiliano Limiti, appena nominato vicedirettore generale di Ama, che con Pucci ha firmato l’accordo per i premi ai dipendenti che non si ammalano. L’indagine ha ricostruito che la promozione a dirigente in Ama di Limiti, nel 2013-2014, è stata sponsorizzata dagli uomini di Buzzi e Carminati, nello specifico dall’ex consigliere regionale Luca Gramazio, poi condannato a 5 anni e sei mesi.
Cinque anni fa, nella nuova Ama targata Raggi, Limiti era diventato capo della direzione finanza. All’epoca era ancora indagato per associazione mafiosa, ma la procura ne aveva già chiesto l’archiviazione che poi era stata accolta. Le opposizioni avevano parlato di “restaurazione”.
Peccato che ora sia proprio il Pd, arrivato al governo della città, ad averlo scelto come vicedirettore. Il problema non è ovviamente l’indagine ma la sponsorizzazione ricevuta da Gramazio e la vicinanza di Limiti a quel mondo. Anche se il diretto interessato spiega che Gramazio non ha avuto alcun ruolo in quella vicenda.
Una nuova èra?
Nell’ordine di servizio che ha distribuito incarichi e ruoli, il dirigente Marco Casonato è diventato, ad interim, responsabile del “servizio security”. Nel luglio dello scorso anno Casonato è stato indagato per violazioni delle norme sul codice ambientale. Secondo la procura di Roma e i carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) il Tmb di Rocca Cencia emetteva un lezzo insopportabile perché raccoglieva rifiuto indifferenziato trattato poi in modo irregolare.
Per lo stesso reato è stato indagato anche Emanuele Lategano, al quale è stata affidata la responsabilità della gestione degli impianti, tra cui c’è anche quello di Rocca Cencia.
Casonato è anche a processo insieme a Fiscon per lo scandalo dei cassonetti gialli per il recupero degli abiti usati. «Per quanto riguarda le posizioni di Marco Casonato ed Emanuele Lategano, non risulta alcuna evoluzione sensibile in termini processuali. Essere indagati non presuppone in alcun modo una condanna», dice l’ufficio stampa di Ama. Nel “nuovo corso” di Gualtieri, alla direzione acquisti è finita Silvia Siddi. Nel 2013, dopo la vittoria di Ignazio Marino, il nuovo amministratore di Ama, Daniele Fortini, aveva denunciato stipendi secretati di alcuni dipendenti.
Nell’elenco, pubblicato dal Corriere della Sera, c’era anche Siddi, mai coinvolta in alcuna indagine. «Lo stipendio non risulta in alcun modo essere stato secretato, ma semplicemente prima del 2013 non era prevista la pubblicazione degli emolumenti dei dipendenti da parte di alcun ente o azienda italiana», risponde l’Ama.
La stessa Ama che nel 2014, attraverso Fortini, diceva: «I 52 quadri direttivi autorizzino la pubblicazione delle loro retribuzioni, dando esplicito consenso in tale direzione. La legge infatti, diversamente da quella riferita ai dirigenti, richiede il consenso». Siddi, proveniente da Consip, è entrata in Ama nel 2010, senza alcun concorso, quando ai vertici dell’azienda c’era Franco Panzironi, l’amministratore delegato voluto dall’allora sindaco Alemanno e poi travolto dallo scandalo per le assunzioni irregolari per il quale è stato condannato in via definitiva.
«Silvia Siddi è stata reclutata antecedentemente alle cosiddette leggi Brunetta, dunque senza alcun obbligo concorsuale», risponde l’ufficio stampa dell’azienda. Lo scorso ottobre anche lei ha testimoniato nel processo a carico di Fiscon. Lo aveva già fatto nel 2016, come teste di difesa.
I conti
La situazione finanziaria di Ama è al collasso. Sui bilanci del 2015 e 2016 è in corso un procedimento giudiziario dopo che lo stesso comune ne ha denunciato la falsità. La giunta Raggi ha approvato i bilanci degli anni successivi, in blocco, solo nella primavera del 2021. Secondo l’ultimo bilancio, al 31 dicembre 2020, Ama ha registrato un utile di 27 milioni di euro, a fronte di un patrimonio netto di 88,7 milioni e di un debito di un miliardo e 104 milioni.
A questo equilibrio precario si è arrivati solo grazie alla rinuncia da parte di Roma capitale di più di 100 milioni di crediti, attingendo a più di 100 milioni di riserve e riducendo il capitale sociale di 118 milioni di euro per coprire le perdite, mossa che ha costretto a emettere titoli per ricapitalizzare la società.
A nove mesi dalla chiusura dell’esercizio, poi, c’è stato un nuovo aumento di capitale finanziato dal comune per 100 milioni. Con la differenziata al 44 per cento e una quota sempre maggiore di rifiuti da inviare fuori città, la giunta Gualtieri ha stretto un accordo per far bruciare un quarto dei rifiuti indifferenziati ad Acea, che ha come azionisti al 51 per cento Roma capitale, al 23 per cento la multinazionale francese Suez e per oltre il 5 l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone. L’accordo prevede l’utilizzo del termovalorizzatore di San Vittore per bruciare 200 tonnellate di rifiuti di indifferenziata, su circa 850 totali.
Nel 2020 Ama ha ricevuto una manifestazione di interesse firmata da Eni e Cassa depositi e prestiti, soci nella joint venture Cyrcular It che si dovrebbe occupare di trasformare rifiuti in carburante. Un accordo che potrebbe permettere di accedere ai fondi per l’economia circolare del Piano nazionale di ripresa e resilienza (1,5 miliardi per nuovi impianti).
Ama ha un bisogno disperato di soldi e un numero rilevante di contenziosi aperti nei confronti di società partecipate e soggetti tra i più vari: nel 2020 la sindaca Raggi ha citato in giudizio quattro banche con cui Ama aveva sottoscritto contratti derivati per un valore totale di circa 400 milioni.
Con i sindacati, negli ultimi anni era stata adottata una strategia diversa rispetto a quella di Gualtieri, con misure di «controllo e deterrenza ai tassi di assenza del personale». Dal 2016 «si è proceduto a decurtare la cifra di euro 35 per ciascun episodio di malattia di durata inferiore a 6 giorni, intervenuto nel corso dell’anno successivamente ai primi 5 episodi». Nel 2018 già il recupero economico era stato «superiore del 61 per cento rispetto a quello del 2017, oltre 200mila euro», erano aumentati i controlli sui certificati medici e sulla legge 104 sull’invalidità.
L’ultima giunta ha anche avviato un piano anti corruzione per prevenire la commissione di illeciti da parte dei responsabili amministrativi della società.
Nel 2018 e nel 2019 l’organismo di vigilanza interno aveva bocciato il modello adottato da Ama, non utile a prevenire i reati. Lo stesso è successo a gennaio 2020. L’emergenza di Ama non è fatta solo di rifiuti in strada e debiti. Ma per ora il cambiamento passa per un ritorno al passato.
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