L’ex ministra critica la proposta del senatore Pd. «Parla di una classe dirigente inadeguata». «Il tatticismo non funziona: a sinistra o si può costruire l’unità o non si prendono in giro gli elettori»
Rosy Bindi, perdete ogni speranza di alleare un centrosinistra perché l’Ulivo non tornerà più, come propone Franceschini?
L’Ulivo è stata una stagione bellissima, ma non ho mai inseguito il passato. Da qui a rassegnarsi all’idea che non sia possibile costruire un’alleanza e si pensi di rispondere alla sfida della destra con il tatticismo c’è in mezzo la responsabilità della politica. Che qualcuno dovrebbe esercitare. La proposta di Franceschini mi ha inquietato, scoraggiato e fatto arrabbiare. Anche nella versione nobilitata da Bettini, con un manifesto dei valori. Capisco i consensi: dimostrano che, se c’è una strada difficile, la scorciatoia fa comodo a tutti. Ma è una strada sbagliata. E non è vincente, nonostante l’abilità che Franceschini ha sempre dimostrato nell’uso delle leggi elettorali. Ha fiducia nel cantiere della destra sul sistema elettorale? Ma se la destra apre un cantiere lo apre a suo favore.
Non basta un manifesto comune?
Con una destra così pericolosa, e forte perché ormai trova eco nella vita delle persone, possiamo vincere solo se siamo capaci di presentare un’alternativa. Non solo i grandi principi, sui quali c’è una grande distrazione degli elettori. Serve un passo avanti: una declinazione concreta che appassioni e dimostri che quell’alternativa è conveniente. Che conviene la solidarietà e non l’individualismo né l’avarizia, la dignità del lavoratori e non il loro sfruttamento, l’accoglienza e l’integrazione e non i respingimenti degli immigrati.
Ma piace a molti alleati, M5s, Azione: vuol dire che tutti sanno che l’alleanza non si può fare?
Non ho dubbi e, conoscendo Dario, penso che la proposta non l’avrebbe mai fatta senza prima sondare le possibili risposte. Ma questa è la prova della malattia di cui soffre il centrosinistra.
Schlein non sarebbe entusiasta. Perché, secondo lei?
Perché la proposta va contro la sua “testardaggine unitaria”, e le va dato atto di aver sempre insistito sulla possibilità di tenere insieme tutta la compagnia. E poi perché, ancorché si neghi, è chiaro che è una manifesta dichiarazione di sfiducia nell’adeguatezza di Schlein a fare la federatrice dell’alleanza.
Secondo lei è adatta?
Questo argomento va tolto dal tavolo, in questa fase è bloccante. Serve un atto di generosità e lungimiranza da parte di tutti. So che non è secondario, ma sgombriamo il campo. Si discuta del resto. Si troverà una via di uscita. Rimotiviamo le persone, dopo l’elezione di Trump in ballo c’è il futuro dell’Italia e quello dell’Europa.
In Europa il Pd e M5s votano spesso divisi.
E allora delle due l’una: o è possibile costruire l’unità, o non si prendono in giro gli elettori. Bettini dice che ciascuno in campagna elettorale può andare «a briglie più sciolte» con la propria linea politica. Ma è consapevole che spesso a sinistra ci sono linee contrapposte? E si pensa che gli elettori siano scemi? Gli diciamo: tranquilli, litigheremo dopo?
È conciliabile chi invia le armi all’Ucraina con chi no?
Le cose cambiano, all’orizzonte c’è la linea trumpiana. Comunque ci si deve provare. So che noi abbiamo un elettorato più esigente della destra: da loro le differenze si sommano, da noi si sottraggono. Ma non ho mai visto risolvere i grandi nodi politici con i tatticismi. Questa classe dirigente dimostra la propria inadeguatezza: perché non li vuole affrontare.
Schlein non parla di questi temi. Neanche nel Pd dove c’è chi sostiene che si discuta poco. È così?
È così. Dibattito è apertura. Elly sa che deve aprirsi ai possibili interlocutori fuori dal Pd, ma deve farlo anche al dibattito interno, tanto più sapendo che quelli di fuori hanno capovolto il risultato del congresso degli iscritti, quindi è chiaro che dentro ci siano dei problemi. Ma si affrontano riaprendo il confronto. Non si può lasciare che ci si parli a distanza: come hanno fatto i due convegni di Milano e Orvieto, essendo d’accordo solo sul fatto che bisogna aprire un dibattito, ma dicendo cose opposte.
Nascerà davvero un partito di centro?
Se non invocano il cattolicesimo democratico per fare una svolta moderata, sono disponibile a discuterne. Perché si scomoda una categoria politica e culturale che moderata non è mai stata, anzi ha sempre avuto posizioni radicali, in tutti i settori, economico, politico, costituzionale, sociale. Se invece mi si dice che nel centrosinistra c’è bisogno di una forza che interpreti l’esigenza di molti moderati laici e cattolici, che non si riconoscono nella destra ma neanche in questa sinistra, lo trovo utile. La costruiscano. Dove ho potuto, ho consigliato a Ruffini di non andare a consolare i nostalgici, ma di pensare ai pezzi di società che cercano rappresentanza. Anche perché delusi dalle bizzarrie di Calenda e Renzi.
Ruffini ha proposto una maggioranza Ursula: allude a un rapporto con Forza Italia?
Forza Italia è una forza moderata che ha scelto la destra. E la lascerei lì, intanto perché non ha niente a che fare con il centrosinistra e poi perché lì ha una funzione importante. Specularmente, serve una forza moderata che sta convintamente nel centrosinistra. Ma non un “centro mobile” alla Calenda, in una regione qui in un’altra di là. Serve anche una coerenza etica, sappiamo oggi la destra dove vuole arrivare. In più oggi il “modello Ursula” apre a forze disgregatrici dell’Europa. Evocarlo preoccupa.
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