- Landini, Cgil: «Non c’è nessuna preoccupazione particolare per la manifestazione di sabato a piazza San Giovanni, il tema non è all’ordine del giorno». Per domani a Roma si parla di imponenti misure di sicurezza. Ma anche i sindacati faranno «vigilanza democratica».
- Ma il clima dipende dalle proteste di oggi contro il green pass. Il Pd conferma la contrarietà ai tamponi gratis, con qualche sfumatura.
- L’obbligo di green pass accende proteste in tutta Italia. Segnali di attivismo “no pass” in molte città. Nella capitale i comizi di Gualtieri e Michetti si svolgeranno in due piazze non distanti. Ma soprattutto Giorgia Meloni, leader di FdI, fa tutto il contrario di quello che serve per svelenire il clima.
«Non c’è nessuna preoccupazione particolare per la manifestazione di sabato a piazza San Giovanni. Non abbiamo discusso di questo con il governo per il semplice fatto che non è un tema all’ordine del giorno. Ma forse qualcuno vuole soffiare sul fuoco...». A metà mattina al Senato, alla commemorazione dei 25 anni dalla morte di Luciano Lama, Maurizio Landini nega che sia legittima qualsiasi apprensione per la manifestazione convocata sabato pomeriggio a Roma a piazza San Giovanni «per il lavoro e la democrazia» e insieme per lo scioglimento «per legge delle organizzazioni neofasciste e neonaziste». È di ritorno da palazzo Chigi dove, giura, il tema non è stato neanche sfiorato. Mario Draghi ha convocato Cgil Cisl e Uil per annunciare le nuove norme sulla sicurezza del lavoro che oggi il ministro del lavoro Andrea Orlando porterà in consiglio dei ministri. Un provvedimento atteso da tempo, e arrivato all’indomani dell’assalto squadrista alla sede nazionale della Cgil come ulteriore gesto di sensibilità e attenzione ai lavoratori.
Per la stessa ragione ieri a palazzo Chigi non si è registrata la consueta chiusura netta sulla questione dei tamponi gratuiti. Landini ha ribadito la richiesta «di un abbassamento molto forte del costo del tampone e che si potenzi il credito d’imposta per le imprese su tutte le spese di sanificazione», anzi «sarebbe un fatto molto importante che le imprese tutte, non solo qualcuna come sta succedendo, assumessero l’onere del pagamento del tampone per tutti i lavoratori».
Su questo c’è da segnalare la posizione dialogante del ministro Andrea Orlando: «Calmierare il costo dei tamponi sì, renderli gratuiti no, dobbiamo preoccuparci dei dubbi di alcuni ma anche della tutela dei molti che si sono vaccinati». «Calmierare» diventa una parola d’ordine, un’uscita di sicurezza per provare a evitare il caos temuto per la giornata di oggi, la prima del green pass obbligatorio. Lo chiede l’ex premier Giuseppe Conte: «Il costo dei tamponi va calmierato ulteriormente, chi vive in situazioni di indigenza deve avere la possibilità di fare un test senza che pesi in modo drammatico sul bilancio familiare». E lo chiede anche il leghista Matteo Salvini: «Ci sono imprenditori che vogliono lavorare e vogliono i propri collaboratori in azienda, tamponi rapidi e a prezzo calmierato sono l’unica soluzione. L’hanno chiesto anche i sindacati, anche Beppe Grillo, noi lo chiedevamo da mesi ed eravamo un po’ strani. Adesso lo chiedono tutti, meglio tardi che mai».
Il tricolore dem
Ma c’è il no netto del Pd. Ed è in compagnia delle potenti associazioni datoriali. Il segretario Enrico Letta ieri ha incontrato Carlo Bonomi, il presidente di Confindustria, e i due si sono trovati d’accordo sul taglio del costo del lavoro nella legge di bilancio. Ma soprattutto sulla linea del rigore sul pass.
In ogni caso il Pd sabato sarà in piazza a fianco di Cgil Cisl e Uil con una delegazione ai massimi livelli, guidata da Letta e dai suoi due vice Irene Tinagli e Peppe Provenzano, quest’ultimo in questi giorni al centro della bufera politica per aver accusato FdI di mettersi «fuori dall’arco costituzionale», posizione che ha messo in qualche imbarazzo il segretario dem che ancora ieri ha fatto appello «a tutte le forze politiche» per arrivare a un testo unitario in parlamento sullo scioglimento di Forza nuova. Con questo spirito domani in piazza Letta farà sventolare dai suoi le bandiere italiane al posto di quelle di partito, che resteranno nelle sedi in obbedienza al silenzio elettorale. L’encomiabile intenzione è quella di sottolineare la difesa dei valori della Repubblica dagli assalti squadristi; lo sgradevole effetto del tricolore potrebbe essere però quello di confondere la piazza dei sindacati con una piazza della destra.
Contraddizioni in seno al popolo democratico. Per la Cgil la piazza di sabato filerà liscia, anche se la manifestazione è stata convocata in un giorno di silenzio elettorale alla vigilia di un ballottaggio «sensibile» fra il candidato di centrosinistra Roberto Gualtieri e quello di centrodestra Enrico Michetti, peraltro accusato di collateralità ai No-vax e “beccato” in rete in flagranza di frasi antisemite.
I cento edili
Ma, viene assicurato, non ci saranno problemi. E si capisce il perché di questa convinzione: dopo la gestione pasticciata dell’ordine pubblico da parte del Viminale, e la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, che non può essere difesa neanche dalla forza più filogovernativa, il Pd, per la giornata di domani sono annunciati tremila uomini impegnati nella sicurezza della capitale. «Un impiego di forze di questo livello è una notizia che circola, difficile che qualcuno provi a fare casino nella nostra piazza. Piuttosto può succedere in altre parti della città», spiegano da Corso d’Italia. Anche perché i sindacati si sono organizzati da sé la loro «vigilanza democratica». Irrobustita per l’occasione: si parla di cento uomini solo dal comparto degli edili. Ma sarà «il popolo dei lavoratori» a garantire la piazza. Attese centinaia di migliaia persone, annunciati pullman da ogni parte d’Italia, e gonfaloni dai molti comuni insigniti della medaglia alla Resistenza.
La verità è che il clima di domani dipende dalla giornata di oggi. L’allerta del Viminale è alto, anche se tardivo, l’obbligo di green pass potrebbe accendere fuochi di protesta in tutta Italia. Segnali di attivismo “no pass” in molte città. Nella capitale i comizi di Gualtieri e Michetti si svolgeranno in due piazze non distanti. Ma soprattutto Giorgia Meloni, leader di FdI, fa tutto il contrario di quello che serve per svelenire il clima. Scelta forse disperata, per sviare l’attenzione dall’evidente imbarazzo per i fatti del “sabato fascista”. Ieri per tutto il giorno ha attaccato la ministra dell’Interno: «La Lamorgese ha consentito volutamente che quello che è accaduto alla Cgil accadesse», ha detto da Torino. «Il governo non fa niente e il giorno dopo si dà la colpa all’opposizione».
Meloni ripete verso la ministra un’accusa che sarebbe grave se solo fosse seria: «Si chiama strategia della tensione, certo non giova a me, certo non giova all’opposizione, certo non giova alla destra. Giova alla sinistra che può dire che c’è una destra impresentabile. E giova al governo che può dire che chiunque scende in piazza per manifestare legittimamente e pacificamente contro i provvedimenti dell’esecutivo è impresentabile».
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