- «Il problema della destra populista è riemerso dopo la sua vittoria a marzo del 2018. Quel risultato avrebbe chiesto di capire cosa era accaduto e come correggere la politica del Pd e della sinistra dopo una sconfitta del genere».
- Il Pd di Letta? «Sono d’accordo sul bonus ai diciottenni, ma poi penso con delusione che stando al governo non si è riusciti a dare la cittadinanza a un bimbo nato e cresciuto qui ed è una vergogna».
- Il giudizio su Virginia Raggi: «Penso che Raggi abbia soprattutto disinnescato quel rapporto malefico tra politica e gestione degli interessi puri della capitale».
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08/06/2016 Roma. Cinecitta' Studios, Red carpet per i premi Ciak d' Oro 2016. Nella foto Sabrina Ferilli
Cinque anni fa il suo endorsement per Virginia Raggi fece discutere. Perché lei, Sabrina Ferilli, è una “voce” della sinistra dentro l’universo di spettacolo, cinema, tivù, dove quelli disposti a esprimersi al di là del generico non sono poi un’infinita schiera. E così a pochi giorni dalla verità sul futuro inquilino del Campidoglio una chiacchierata tra chi, come me, è convinto che la scelta giusta sia quella di Roberto Gualtieri e chi aveva espresso fiducia alla sindaca uscente tutto sommato si giustifica. Anche se poi la piega presa si è allargata di parecchio e pure questo, in tempi discretamente avari, può risultare un bene.
Sabrina, partirei dal sindaco Nathan che taglia dal bilancio la voce di spesa per i gatti del Campidoglio. Dice perché Roma è un po’ tutto, Petrolini, la Magnani, Cinecittà e la Rai. I ministeri e lo Stato che campa un pezzo di città.
O Tor Bella Monaca assurta a simbolo di ogni periferia. Che poi è vero, in una sola via ci sono 600 persone agli arresti domiciliari però c’è anche un teatro e chi ha aperto una libreria.
Roma è l’Auditorium e tre chilometri più in là centri commerciali e multisale dove famiglie passano il weekend. Tu sei cresciuta a Fiano Romano e la capitale l’hai vista prima da fuori, oggi chi la racconta meglio? È ancora la Roma dell’Armando Feroci di Verdone o vincono i toni da “Romanzo criminale”? O semplicemente le due cose convivono come Sordi con Pasolini?
Non so se la battuta “non c’è trippa per gatti” quel grande sindaco dalle origini inglesi l’abbia detta davvero, ma un po’ rievoca la storia infinita di Roma e dei romani, città che ha dovuto destreggiarsi tra sacro e profano, capace di mostrarsi nel suo splendore e per un animo che ha ospitato chiunque.
Aveva ragione Fellini, Roma «è una madre, ed è la madre ideale, perché indifferente». È una madre che ha troppi figli e non può dedicarsi a te, non ti chiede nulla, non si aspetta niente. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai, come il tribunale di Kafka. In questo c’è una saggezza antica, quasi preistorica.
La suggestione sta in un che di primordiale che appare in certe prospettive sconfinate e desolate, in certi ruderi che sembrano reperti fossili, come scheletri di dinosauro. Roma è una sinfonia di colori dove tutto esprime grandezza e una sorta di immensità.
Quanto ai romani che ancora ci abitano sono personaggi veri con una lingua divertente e ironica, amati anche per questo. Ci sono espressioni che arrivando s’imparano e uno se le porta dentro: daje, na cifra, aripijate, ndo cojo cojo, è un vocabolario vivo. Se vuoi pigri al telefono: quando riconoscono la chiamata dicono “Aò”. A numero sconosciuto “Sì”.
Io ci vivo benissimo e se vado altrove mi manca. Peccato che coi più giovani quell’anima popolare, autentica, si perda per lasciare posto a una solitudine omologata, simile a tutte le periferie del mondo.
Giovanni De Luna ha appena pubblicato un libro splendido (Cinema Italia. I film che hanno fatto gli italiani). Lui è uno storico tra i più autorevoli e sceglie quella lente per descrivere pagine della nostra storia, da Cabiria ai cinepanettoni passando per il neorealismo e il Sessantotto.
Non ti chiedo se sia da privilegiare il racconto “impegnato” (mi perdoni Walter Siti!) o la commedia, ma quando il cinema ha iniziato davvero a raccontare l’Italia e, parlando di generi, se guardi il paese di adesso diresti che abbiamo più bisogno di Totò o Fellini?
Ma sai, è con Visconti, Fellini, Antonioni, Rossellini, De Sica, che il cinema italiano comincia a parlare della società industriale e della coscienza etica dei cittadini e della politica. Accanto a loro si fanno largo Bertolucci, Olmi, Pasolini, Pontecorvo, e poi Nanni Loy, Damiani, Rosi.
Io sono cresciuta mentre il cinema subiva questa rivoluzione e come tanti non potevo fermarmi a Disney. Ci sono film che mi hanno colpito da bambina, La terra trema, Ladri di biciclette, Il Ferroviere o Novecento che arriva più tardi.
Quando ho iniziato a lavorare è stato con piccoli ruoli, Il volpone, Portami la luna, I picari. Dopo ho avuto la fortuna di essere diretta da Virzì, i Taviani, Sorrentino ne La grande bellezza. A quel punto è arrivato il teatro con le commedie al Sistina e al Brancaccio.
Io ho sempre fatto cose in cui credevo senza fare distinzioni e scegliendo generi diversi, ma comunque erano sempre fotografie di una realtà che sentivo giusto rappresentare. Tutta la vita davanti parlava di precarietà, Il giudice ragazzino di Rosario Livatino, Vite strozzate di sentimenti malati,
Anche alcune fiction, Come l’America, Commesse o Svegliati amore mio sul ricatto tra lavoro e salute. Storie che hanno raccontato la società mentre altri produttori guardavano a format d’evasione.
Ci sono ancora registi e produttori che cercano di fare cinema di qualità, peccato che su quel piano la televisione pubblica produca pochissimo.
Ecco, penso che abbiamo bisogno di tutte e due le anime, quella più profonda e l’altra di costume. Se tutto fosse commedia se ne perderebbe il gusto, la natura, ma se ogni espressione fosse di critica, mancherebbe la veracità. Per raccontare l’Italia devi coglierne la complessità e in questo senso Totò e Fellini non possono fare a meno di coesistere.
Forse la battuta che riassume lo spirito della nazione è quello scambio tra Brancaleone e il Penitente: «Addo' ite? / Ahh... così.. sanza meta... / Venimo? / No, no.. ite anco voi sanza meta, ma de un'altra parte...».
Se la applichiamo a noi che impressione hai di un paese che si divide persino su questioni che credevamo risolte? Penso alle polemiche sul 25 Aprile o il tentativo della destra di sostituire l’antifascismo con l’anti totalitarismo, un po’ per assolvere le tragedie di Mussolini e un po’ per dire che i comunisti erano peggio.
Il problema della destra populista è riemerso dopo la sua vittoria a marzo del 2018. Quel risultato avrebbe chiesto di capire cosa era accaduto e come correggere la politica del Pd e della sinistra dopo una sconfitta del genere. Mi pare sia l’urgenza anche di adesso perché tra un anno e mezzo si torna a votare e quella parte così simile all’Ungheria di Orbàn dovrebbe preoccupare molti.
Sì, la rimozione della sconfitta è stata clamorosa, la domanda è come si recupera terreno e consenso su una destra che oggi ha un piede al governo e uno fuori, ma alle urne ci arriverà compatta.
Ma io chiedo, perché non si riprende un confronto sui valori della sinistra, coinvolgendo le persone, i più giovani che del fascismo sanno poco o nulla? Per Norberto Bobbio la distinzione tra destra e sinistra era nell’idea di uguaglianza.
Chi rivendica il suo essere di sinistra dovrebbe dare peso nella condotta morale e nell’iniziativa a quanto può ridurre disuguaglianze eccessive. Non so, forse semplifico, ma la sinistra dovrebbe ripartire da chi nella piramide sta più in basso, ha meno difese e dovrebbe farlo capendo i cambiamenti radicali del modo di lavorare, produrre, consumare.
Insomma, si dovrebbero rivendicare valori tenuti a lungo a bagnomaria capendo che l’ambizione dell’operaio a vedere il figlio laureato ha oggi l’identico valore che aveva trent’anni fa, anzi forse conta persino di più.
Capisco che mancano attrezzature, risorse, che da anni non si è fatta più politica nel senso alto della parola. Nel dopoguerra il Pci aveva due giornali, l’Unità e Paese Sera, una rivista come Rinascita, due settimanali (Vie Nuove e Noi donne) oltre che un giornalino per i figli dei compagni (il Pioniere). Oggi un partito che prende milioni di voti non ha sentito il bisogno di darsi un giornale per informare almeno i suoi elettori.
Al netto del Pioniere effettivamente di tutto il resto avremmo un gran bisogno, lasciami pensare che le Agorà siano un passo nella direzione giusta. Detto ciò quello della sinistra distante dal popolo non è tema nuovo.
Se torno alla cultura mi fa pensare alla prima Estate Romana quando Nicolini si inventò Massenzio e portò le periferie nel cuore di Roma. Mi domando se quell’operazione potrebbe ancora riuscire.
Ti racconto questo: mesi fa ero in Vespa e a Piazza Barberini mi affianca uno scooter con due ragazzi. Quello dietro mi dice “Che sai dove sta Piazza de Spagna?” che poi da lì è un attimo ma è più facile andarci che spiegarlo, così gli dico “Venitemi dietro”. Poi penso che l’accento era romano e siccome il semaforo è ancora rosso chiedo “ma siete romani e non sapete dov’è Spagna?”. La risposta è “Aho, qua è zona de ricchi. E chi ce viene!”.
È una battuta ma se non capiamo il semaforo di Barberini possiamo scrivere un programma fichissimo e continueremo a non avere le parole giuste.
Quei ragazzi che considerano il centro storico la Roma dei ricchi in un certo senso hanno ragione. Sicuramente i servizi sono migliori, i trasporti forse funzionano meglio e i quartieri sono più sicuri.
Questi giovani non hanno conosciuto la Roma di Petroselli e Nicolini, sono cresciuti molto dopo quando le periferie, dimenticate da istituzioni e partiti, ora vegetano nell’incuria. Da molti anni il popolo è stato allontanato dal suo ruolo democratico; ormai una parte vive una sudditanza morale e politica che rende Roma irriconoscibile rispetto a quando le idee contavano più delle persone e la città riusciva a essere comunità.
Tu l’ultima volta hai votato Virginia Raggi e non eri la sola. Io un sabato andai a volantinare a Ostia e appena lì uno tatuato alla Fedez mi urla, “Te ne devi anna’! Qua se vota Raggi!”. Solo quello valeva un sondaggio.
Ora in tanti hanno maturato un giudizio severo. La sindaca ci ha messo del suo con qualche gaffe, ma personalmente non sarà per una targa scritta male che voterò con convinzione Roberto Gualtieri. Tu alla sindaca che cosa rimproveri e su cosa la promuovi?
Vedi Gianni, se Raggi ha avuto tanti consensi i motivi sono diversi. Prima di tutto ci sono molti romani di sinistra che l’hanno scelta per protesta verso il Pd che ha usato un comportamento vergognoso nei confronti di un sindaco indicato ed eletto da quel partito.
Contro Ignazio Marino, forse perché autonomo, si è messa in moto una campagna incredibile: per la “panda rossa” parcheggiata fuori posto e altre accuse false. Non solo, per cacciarlo i consiglieri comunali del Pd hanno dato le dimissioni davanti a un notaio. Tutto ciò è stato assai poco onorevole.
Quanto al merito, gestire un Comune come Roma è veramente un’impresa per la mancanza di fondi, perché le leggi mettono in croce i sindaci per qualsiasi cosa. Se un bambino a scuola si schiaccia un dito in una porta, il sindaco viene rinviato a giudizio e lo stesso se un depuratore, anche se dato in gestione, non funziona.
Un lavoro rischioso in cambio di una indennità che per una metropoli è la metà di quanto guadagna un consigliere regionale. Detto questo, penso che Raggi abbia soprattutto disinnescato quel rapporto malefico tra politica e gestione degli interessi puri della capitale.
Sì, su Marino si consumò un errore grave, ma una cosa so, che al ballottaggio voteremo allo stesso modo. Fammi tornare un istante alla pandemia che ha chiuso per mesi cinema e teatri. Quel mondo ne è uscito piegato e il prezzo più alto lo hanno pagato le maestranze. Il punto non credo fosse riaprire anzitempo perché di fronte alla seconda o terza ondata il rischio di richiudere era altissimo. L’assurdità era vedere cinema e teatri sbarrati mentre a Via del Corso pareva la vigilia di Natale. Per quel settore adesso il peggio è davvero alle spalle?
Nessuno avrebbe immaginato questa pandemia e i guasti che ha causato alla salute dei cittadini e dell’economia. Non parlo dei falsi profeti di leggende come la dittatura sanitaria o la sospensione dell’ordine costituzionale, cose meschine allo scopo di lucrare qualche voto. Per fortuna la maggioranza degli italiani ha capito e si è fidata della scienza e del governo rispettando le indicazioni.
Abbiamo vissuto due anni in città surreali, centri storici deserti, negozi chiusi o aperti senza clienti. Situazioni che resteranno nella memoria, ma il dramma non è stato solo questo. Milioni di lavoratori sono rimasti senza salario. I giovani non sono stati assunti e le aziende si nascondono dietro il Covid per prolungare gli apprendistati.
Gli studenti sono stati costretti alla Dad con disagi per chi era privo di un computer. La cultura ha subito un impatto devastante: cinema e teatri chiusi, produzioni e concerti fermi, questo ha prodotto un danno economico, ma anche problemi psicologici per tanti che hanno visto sfumare due anni delle loro esperienze, della loro vita.
La pandemia ci spinge a pensare il futuro e non è facile anche se non penso che tutto tornerà come prima. Dobbiamo sperare che una crisi così inverosimile faccia capire che ci salviamo assieme e per questo serve guardare alla vita degli altri, ai principi morali e civili dentro un mondo tollerante e più umano.
Enrico Letta è stato attaccato perché ha difeso la legge Zan e ha parlato di una dote ai diciottenni, di ius culturae, del voto ai sedicenni. La critica è la solita: la sinistra si occupa di diritti civili perché non sa più cosa dire su quelli sociali. Non la penso così e credo avesse ragione Stefano Rodotà a spiegare perché i diritti sono indivisibili. Il punto è tenerli assieme, quelli degli operai della Gkn o della Whirlpool e dei braccianti del Sud, dei gay come dei migranti.
Se mi chiedi un giudizio sulla proposta del bonus ai diciottenni penso sia una cosa giusta. Certo non basterà a risolvere i problemi di studio, lavoro, di una speranza nel futuro. Temo però che la sinistra, tutta, non solo il Pd, abbia smarrito il senso di una politica in qualche modo “rivoluzionaria”.
Pensa a quali sono state le ambizioni del Pci per le masse dei lavoratori e quanto si è ottenuto anche stando all’opposizione: la riforma agraria, quella sanitaria, lo Statuto dei lavoratori, il divorzio, l’aborto.
Se guardo alle proposte in campo non vedo soluzioni capaci di incidere sul cambiamento in settori importanti della vita. E poi penso con delusione che stando al governo non si è riusciti a dare la cittadinanza a un bimbo nato e cresciuto qui ed è una vergogna.
C’è un lavoro enorme da fare che può chiamare a raccolta tanta gente: sulla parità di genere; sulle tasse alle multinazionali nei paesi dove procurano guadagni, sulla gratuità in tutti i gradi d’istruzione per chi non ce la fa, sul potenziamento della sanità pubblica territoriale o un progetto che tenendo conto dei disastri ambientali crei maggiore vivibilità. Mi rendo conto che serve molto lavoro e un partito che ancora non c’è.
Forse non esserci riusciti ha consentito ad altri di fare cose che un tempo non avrebbero osato. Penso al caso di Riccardo Cristello, dipendente di Arcelor Mittal (l’ex Ilva di Taranto), licenziato perché su Facebook aveva promosso una fiction sul conflitto tra lavoro e inquinamento simile al vissuto nella sua città.
Tu lo hai chiamato per solidarietà e per sostenere le spese legali che avrebbe affrontato (penso che in quel momento a Giuliano, tuo padre, devi aver regalato l’equivalente di un Oscar).
In quella storia ho constatato ancora di più la debolezza della politica attuale e di tutti i politici, comprese alcune sigle dei sindacati. Volatilizzati. Un caso come questo rimbalzato da un ufficio all’altro senza trovare soluzioni. Fortunatamente poi è arrivato un giudice a dargli ragione.
Il Pd mi sento di difenderlo perché reazione e denunce ci sono state. Poi è vero che anche in questo governo con dentro la destra non è facile strappare tutte le garanzie per categorie oggi a rischio.
Senti, non abbiamo parlato di questa estate tragica per molte donne. Altri femminicidi, l’incubo per le donne afghane di perdere il diritto a studiare o lavorare. Cosa è oggi per te il femminismo e come vive in un mondo che ha conosciuto lo scandalo Weinstein e il movimento “Me Too”?
Le donne storicamente hanno dovuto lottare non solo per essere equiparate agli uomini, ma addirittura per essere considerate persone. Il femminismo degli anni 60/70 è stato importantissimo per rompere dei tabù. Va detto però che il nostro paese fatica ancora a conquistare una parità piena.
Un rapporto del 2019 del World Economic Forum su politica, economia, istruzione e salute diceva che su 153 paesi l’Italia era al 76° posto. È vero che veniamo da un secolo in cui le donne hanno ottenuto leggi importanti: non votavano, non potevano entrare in Polizia, nelle Forze Armate, in Magistratura.
Oggi tutto questo è stato abolito e passi in avanti sono stati fatti. Credo però che l’emancipazione, il rispetto della donna, la consapevolezza, non possano avvenire solo attraverso funzioni occupate o lavori.
Faccio un passo indietro e dico che dalla donna mi aspetto più consapevolezza e maturità, sono convinta che se le donne nel mondo, e in special modo qua in Italia, capissero meglio la parola emancipazione e consapevolezza del proprio ruolo in famiglia e nella società, sarebbero madri, sorelle, mogli più capaci di incidere su quel cambiamento culturale negli uomini che oggi ancora a molti manca.
Ma ti sentiresti di dire che dalle giovanissime, Greta sul clima e Olga che protesta di fronte ai poliziotti di Putin, sino a Liliana Segre o Edith Bruck è da donne di generazioni diverse che può venire un riscatto capace di condizionare il resto?
Berlinguer parlava delle donne come di «una forza storicamente giovane che deve scrollarsi di dosso un’oppressione di secoli». Sosteneva anche che «la rivoluzione in occidente può esserci solo se ci sarà anche la rivoluzione femminile e che se non c’è la rivoluzione femminile non ci sarà alcuna reale rivoluzione in occidente». Ecco io sono ancora d’accordo con Berlinguer.
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