Il giorno dopo la sentenza di assoluzione nel processo Open Arms, Matteo Salvini è un fiume in piena. Ci sono il sollievo per la condanna scampata – i pm di Palermo avevano chiesto 6 anni per sequestro di persona – ma anche la voglia di rilanciare il proprio ruolo politico a tutto campo, nella speranza di recuperare il terreno perso rispetto agli alleati di centrodestra. Intanto, il day after è fatto di riconoscimenti politici sia da parte degli alleati italiani che di voci straniere, in particolare quella di Elon Musk dagli Stati Uniti, e «anche da sinistra mi hanno chiamato in molti», ha detto il vicepremier.

La riforma della Giustizia

Forte anche dell’assoluzione, ora Salvini intende ripartire proprio dalla riforma della Giustizia targata Carlo Nordio, che prevede anche la separazione delle carriere tra giudici e pm, come prossimo obiettivo politico.

Le luci del processo gli hanno dato un assaggio – per quanto umanamente non piacevole – della cassa di risonanza possibile quando si politicizzano le accuse e il leader della Lega non ha rinunciato a sfruttare questa spinta. L’effetto è stato la chiamata a raccolta non solo dei leghisti con gazebo e iniziative, ma anche il necessario scudo che il governo Meloni, a partire dalla premier, non ha potuto che alzare per difenderlo. Ora, libero dalle accuse, non ha intenzione di lasciare il terreno agli alleati.

Ieri ha ricevuto una telefonata «cordiale» di Pier Silvio Berlusconi, in cui «ha ricordato con grande affetto le battaglie per una Giustizia giusta affrontate da Silvio Berlusconi e che il centrodestra vuole portare a termine», ha fatto sapere la Lega. Segno che la direzione è assolutamente segnata, come hanno fatto capire le sue parole belligeranti con i cronisti nella sua uscita pubblica romana: «La riforma della giustizia è urgente. In tribunale a Palermo ho visto una corretta, giusta, sana separazione di chi giudica rispetto a chi indaga. La separazione delle carriere porterebbe quello che si è visto ieri a essere la normalità in tutta Italia. Da ieri la riforma della giustizia è ancora più urgente», e non ha dimenticato di sottolineare che, al netto dell’esito, «è un processo che è costato diversi milioni di euro».

Proprio quello del costo del processo, durato tre anni, è il nuovo argomento che unisce tutto il centrodestra contro i pm che hanno dato il via alle indagini. «Ora Lo Voi e De Lucia si dimetteranno dalla magistratura?», si è chiesto polemicamente il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, riferendosi al passato e all’attuale procuratore capo di Palermo, colpevoli secondo lui di aver «chiesto un processo che io avevo chiesto di non fare attraverso una relazione ampia, documentata, motivata giuridicamente e costituzionalmente con gli stessi contenuti che troveremo scritti nella motivazione della sentenza che ieri ha dichiarato che il fatto non sussiste», «Avevo ragione io e avevano torto i magistrati di Palermo. Valutino le dimissioni Lo Voi e De Lucia per questo atto arbitrario».

Ecco dunque il nuovo fronte di scontro tra governo e toghe: anche con l’assoluzione, il processo a Salvini rimane politico e i pm lo hanno portato avanti sperperando denaro pubblico.

Proprio questa, infatti, sarà la bandierina politica che Salvini intende intestarsi: «La responsabilità civile dei magistrati di chi sbaglia con dolo è fondamentale».

Il Viminale

Accanto alla dimensione politica più concreta, in Salvini continua ad albergare però anche quella dell’ambizione. Una in particolare: il Viminale.

Già al momento della costituzione del governo Meloni, il leader leghista aveva chiesto per sé il ministero dell’Interno ma sul suo nome era intervenuto lo stop del Quirinale. Quantomeno inopportuna sarebbe stata la nomina, visto anche che all’epoca era già in corso il processo Open Arms e rimettere Salvini al vertice del ministero dal quale aveva gestito politicamente i blocchi in mare sarebbe stato un elemento di tensione non da poco.

Così Meloni aveva trovato la quadra: Salvini ai Trasporti, con un corposo pacchetto economico da spendere, e il suo capo di gabinetto all’epoca dei decreti sicurezza, Matteo Piantedosi al Viminale.

Oggi che la pendenza giudiziaria non c’è più, il vicepremier non nega più il desiderio di tornare: «Sto bene dove sto, per ora…», ha detto durante un incontro coi cittadini a Roma. «Se qualcuno negli anni scorsi ha pensato “non puoi tornare al Viminale perché sotto processo sei potenzialmente un criminale”, questa cosa cade», comunque «Piantedosi, un amico, un fratello, non corro per sostituirlo ma sicuramente l'assoluzione nel processo Open Arms è un riconoscimento». Insomma, il pensiero non viene nemmeno più nascosto, anche se c’è la consapevolezza che Meloni non voglia sentire da nessuno la parola «rimpasto», men che meno per soddisfare gli appetiti degli alleati.

Eppure, una strada ci sarebbe, sebbene impervia. Il centrodestra è ancora alla ricerca per un nome da schierare alla guida della Campania e dai ranghi di FdI raccontano che il nome di Edmondo Cirielli non sia mai stato veramente in campo. Uno che piace, invece, sarebbe proprio quello del napoletano Piantedosi: connotato politicamente ma con venature da tecnico, uomo pacato e concreto. Un ottimo profilo per contendere la regione al centrosinistra. Dal Viminale, però, ciò che filtra è che il diretto interessato non smani per la corsa politica. «Se davvero De Luca correrà da indipendente, di fatto facendo perdere il centrosinistra, allora potrebbe anche pensarci», è il ragionamento che si sente ripetere. E, se così fosse, il ministero si libererebbe.

Fantapolitica per ora. Nel frattempo Salvini ora è in piena operazione rilancio in vista anche del congresso federale di inizio 2025 e – senza la palla al piede del processo palermitano – è deciso a tornare all’attacco, anche contro chi dentro il partito ha iniziato a mettere in dubbio la sua leadership..

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