Intorno a Matteo Salvini cresce un gruppo di dirigenti che ha iniziato ad attaccare le scelte di Meloni, piantando bandierine sui migranti e punzecchiando alcuni ministri, su tutti Daniela Santanchè. Fino a evocare un rimpasto. Ma in pubblico nessuno ammette le distanze: anzi si celebra una presunta unità.
Un gruppo di combattimento, pronto ad attaccare. Dal vicesegretario Andrea Crippa al numero uno in Lombardia Fabrizio Cecchetti, passando per il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, è nato un fight club, politico, intorno al leader della Lega, Matteo Salvini.
La missione è chiara: sferrare colpi duri durante la campagna per le Europee. Anche a costo di lasciare cicatrici nella coalizione. Certo, la prima regola del fight club, come racconta il romanzo di Chuck Palahniuk, è quella di non parlare mai del fight club. Non deve esistere, all’esterno.
Devono agire contro Fratelli d’Italia e negare l’esistenza di scontri o anche solo di attriti con Giorgia Meloni. E come il protagonista del libro e del film di David Fincher, Tyler Durden, Salvini si sdoppia nella veste di super amico della premier e allo stesso tempo suo principale avversario.
I duri nell’arena
Nel fight club è il momento di scaldare i muscoli. Per questo motivo è sceso nell’arena chi sa pestare duro con la comunicazione. È tornato al centro il numero due della Lega, Andrea Crippa, protagonista di qualche scivolone ai tempi del primo governo Conte, quando preannunciava il passaggio di vari parlamentari del Movimento 5 stelle alla Lega. Le uscite sopra le righe gli sono costate qualche bacchettata.
È finito in panchina, ma sempre attivo alla Camera, dove è onnipresente, nonostante si racconti che non ami molto la vita di Palazzo. Con disciplina ha accettato una minore visibilità, fino a che Salvini non lo ha benedetto come testa d’ariete. Così ha rotto la pax governativa, quando è intervenuto sulle inchieste relative alle società della ministra Daniela Santanchè: «Se emergono illeciti è giusto che si prenda le sue responsabilità». Pochi giorni fa ha ripreso a picchiare sul tema più caro al suo partito: i migranti. «Bisogna tornare a fare ciò che faceva Salvini quando era ministro dell’Interno, la via diplomatica non ha funzionato», ha detto in un’intervista ad Affaritaliani. Uno schiaffo al partito della premier. Adesso il vicesegretario è entrato nel ruolo, alzando il tiro.
È sempre sua la frase sul governo tedesco che prima invadeva con l’esercito e ora finanzia i clandestini. Per molti ha esagerato, ma negli ambienti di maggioranza sono convinti che Crippa «stia studiando come erede di Salvini». Quando il segretario deciderà di passare la mano, punterà sul suo ex assistente all’Europarlamento, con trascorsi da leader del Movimento dei giovani padani.
Anche Riccardo Molinari non si fa pregare, quando si tratta di menar fendenti - per nome e per conto di Salvini. A febbraio aveva battuto un colpo sul Pnrr: «Valutiamo se prendere tutte le risorse», lanciando il dibattito durato settimane. Negli ultimi giorni, in un’intervista a La Verità, ha inaugurato le danze sul rimpasto, dicendo candidamente: «Non lo vedo come una tragedia». Il sasso è stato lanciato.
Guardiani lombardi
E se le due punte del club sono volti noti, altri si danno da fare sullo sfondo, come Fabrizio Cecchetti, rieletto a Montecitorio e segretario regionale in Lombardia. Per difendere la proposta di condono edilizio se l’è presa con Pd e 5 Stelle «sulle piccole irregolarità edilizie, hanno la memoria corta», perché lo hanno votato in «Regione Lombardia».
Sempre dalla Camera, e dalla stessa regione d'elezione, proviene Igor Iezzi che sulle misure assunte dal governo sui migranti si è espresso con un certo scetticismo: «È solo un buon inizio». Sottotesto: bisogna fare di più. E dietro i combattimenti c’è una mente strategica, la regia riflessiva del viceministro delle Infrastrutture, Edoardo Rixi, che traduce in azione i desiderata di Salvini, a cominciare dalla battaglia del Ponte sullo Stretto.
Un’opera «fondamentale e strategica», secondo la definizione di Rixi. E necessaria a segnare un punto, ad assestare un colpo, a Meloni e Fratelli d’Italia. Perché nel fight club di regole non ce ne sono. Costi quel che costi.
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