Vannacci: «Pronti al lancio». Pure Meloni posta un video: «Ciliegie varietà Giorgia». Il Viminale preferisce non intervenire
Lo aveva già fatto in altre tornate, lo rifà, tanto ha capito che l’amico ministro degli interni Matteo Piantedosi chiuderà un occhio: Matteo Salvini viola il silenzio elettorale. Nel primo giorno del voto per le europee posta su X lo slogan della sua campagna elettorale: «Per più Italia e meno Europa, scegli la Lega». Il generale Roberto Vannacci non vuole essere secondo a nessuno, nemmeno al suo inventore. A Viareggio, all’uscita del seggio, risponde allegramente ai cronisti e si lancia metafore da parà, tanto per non smentirsi: «Siamo sulla rampa, pronti al lancio. Qualora ci fosse luce verde ci lanciamo». Aggiunge «Mi aspetto dei target molto ambiziosi». C’è del vero sotto la prosa approssimativa: Salvini punta su lui per raggiungere il 10 per cento e zittire i leghisti del Nord irritati (eufemismo) dalle fascisterie del generale, che spinge a destra e risponde all’idea salviniana di «trasformarci nel nuovo Msi», ci spiega un dirigente. In serata arriva la tegola: l’anziano Umberto Bossi fa sapere che non vota Lega. Lo riferisce il suo amico ed ex Lega Lombarda Paolo Grimoldi. «Voterà Forza Italia, Reguzzoni (altro fuoriuscito leghista, ndr). È l’aperitivo amaro del week end, per Salvini. Lo storico 34,2 delle scorse europee è un ricordo. Ma se la Lega manterrà l’8 delle politiche vorrà dire che l’operazione Vannacci è «a somma zero»: ovvero i leghisti gli hanno regalato un seggio senza un voto in più in cambio. Se non arrivasse all’8 sarebbe sconfitta nera.
Agcom contro Viminale
Resta che il vicepremier e il generale violano il silenzio elettorale. Più veniale lo sgarro di Giuseppe Conte, che posta sui social una sua foto e scrive: «Io ho votato e voi? Buon voto a tutte e tutti». Il M5s nel 2019 ha preso il 17, alle politiche il 15,4. Sbollite le fantasie di sorpasso sul Pd, vede concretizzarsi proprio quello che malsopporta: il ruolo di junior partner della coalizione di centrosinistra.
Quanto al silenzio violato, il commissario dell’Agcom Antonello Giacomelli precisa che è un problema del Viminale: «Per quanto ci riguarda, ci siamo limitati a ricordare su richiesta o comunque d’accordo con il ministero che tale obbligo», è la legge 212 del 1956 che lo prevede, «si estende a tutte le attività di propaganda elettorale, diretta ed indiretta, anche se veicolata sulle piattaforme online». Conclusione: «Chi intenda segnalare violazioni alla norma, anche per quelle on line, deve rivolgersi al ministero dell’Interno». Da quella parte però spiegano che non è così semplice: la violazione viene accertata dalle forze di polizia, che nel verbale individuano la sanzione economica. Se non viene pagata, allora la palla passa al prefetto. Ma questo riguarda le violazioni “fisiche”. Quelle sui media?
Il Viminale, volendolo, comunque avrebbe parecchio da fare: perché anche la premier Giorgia Meloni posta un video con il suo fruttivendolo di fiducia («Danié») che le mostra le ciliegie «varietà Giorgia». Alle politiche aveva già usato un post ortofrutticolo: lei con due meloni in mano. Non per questo, ma comunque Fdi ha preso il 26 per cento. Un colpaccio: veniva dal 6,4 delle europee. Oggi lei punta al plebiscito sul suo nome: ma sono inarrivabili i 2,3milioni di preferenze di Salvini del 2019, per non parlare dei tre milioni di voti di Berlusconi nel 1999, record assoluto.
Molti leader questo sabato hanno tentato di farsi vivi con gli elettori. Matteo Renzi ha postato un intero album di famiglia, occasione i 18 anni di sua figlia. Elly Schlein invece è rimasta ligia invece alle regole. Ha votato nella sua Bologna, e a parte le foto di rito, si è allontanata dal seggio senza rilasciare dichiarazioni. Giusto qualche battuta, ma con gli scrutatori: le hanno dato una matita spuntata, ne ha chiesto una scrivente.
La campagna «vintage» del Pd
Dal Nazareno lascia filtrare grande soddisfazione. Schlein ha battuto piazze grandi e piccole, 124 tappe, scegliendo la «prossimità» con glie elettori contro «il leaderismo degli altri partiti». Una campagna che definiscono «vintage», alla vecchia maniera. E con finale Padova, a piazza della Frutta, dove 40 anni fa durante un comizio Enrico Berlinguer ha avuto il malore che poi lo ha portato via. Schlein ha disseminato il suo discorso di citazioni di quello del leader comunista. Fino al finale: «Noi siamo convinti che il mondo anche questo terribile intricato mondo di oggi possa essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere e della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita». Un ritorno alle origini, certo di una parte del Pd ma con un “padre” su cui nessuno può obiettare. Del resto, come a Meloni, anche a Schlein il paventato astensionismo ha suggerito negli ultimi giorni di spingere su messaggi identitari, per fare il pieno dei propri elettori.
Ora al Pd tengono l’asticella bassa: bene sarebbe anche solo il 20 per cento perché, è il ragionamento, il 22,7 del 2019 era frutto anche della presenza di Renzi e Calenda nel Pd. Alle politiche, il partito di Letta ha preso poco più del 19. Si pena anche per le amministrative. Sono 3.700 i comuni che eleggono sindaci e consigli, 27 sono capoluoghi di provincia e sei di regione. Nell’unica regione al voto, il Piemonte, la sfida al forzista Alberto Cirio è senza storia: Pd e M5s corrono separati, le rispettive candidate (Giovanna Pentenero e Sarah di Sabato) non toccano palla.
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