Il ministero può adottare provvedimenti per chiudere per impedire l’attracco delle navi delle ong che trasportano i migranti. All’epoca del governo gialloverde, quando Lega e Cinque stelle avevano tentato di farlo, i decreti che avrebbero dovuto seguire gli annunci non sono mai arrivati
Il segretario della Lega Matteo Salvini alla fine è diventato ministro dei Trasporti e potrà così tornare a negare i porti d’attracco alle navi delle ong che raccolgono i migranti nel Mediterraneo. Spetta al ministero il potere di chiudere i porti italiani attraverso un decreto. È l’articolo 83 del Codice della navigazione ad attribuirglielo: il ministro può «limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il ministro dell’Ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende».
Il precedente
Era questo il riferimento normativo a cui si appellava il ministro in carica nell’unico periodo in cui finora un qoverno abbia tentato di chiudere i porti, quello dell’esecutivo gialloverde. Danilo Toninelli all’epoca lavorava in tandem con il ministro dell’Interno Salvini e si intestava anche i meriti dei respingimenti delle navi cariche di migranti.
«Senza il sottoscritto, Matteo Salvini non avrebbe potuto fare niente, ma io non vado in giro a dirlo, non mi importa nulla. Mi importa che ci sono meno morti, meno barconi che partono dalle coste della Libia» diceva ad aprile 2019.
«Per chi viola la legge i porti rimarranno chiusi. In questo caso non hanno rispettato il coordinamento dell’operazione e ha violato il diritto internazionale della navigazione, lo sanno perfettamente che le regole tornano ad essere rispettate» rincarava la dose a giugno 2019.
C’era quasi una sfida interna al governo per intestarsi il merito di aver respinto i migranti: «Ma allora sui porti chiusi decide Salvini o decide Conte?» chiese un cronista a Toninelli nel 2019. «Ma sinceramente mi interessa poco, io gestisco la parte della sicurezza della navigazione fino all'attracco della nave e Salvini gestisce la parte dell'ordine pubblico».
Politica di parole
La politica di chiusura dei porti era stata lanciata il 10 giugno 2018 con un tweet di Salvini, in cui l’allora ministro dell’Interno annunciava #chiudiamoiporti. Ma il primo vero caso di respingimento era avvenuto il 29 giugno di quell’anno. Quel giorno, Toninelli aveva negato l’autorizzazione a sbarcare a due navi gestite da due ong e cariche di migranti: l’Open Arms e la Astral.
Il ministro aveva motivato la chiusura dei porti per quelle imbarcazioni «in ragione di una nota del ministro dell’Interno che adduce motivi di ordine pubblico». Ma, nonostante l’annuncio, non è mai seguito nessun documento ufficiale.
Insomma, non è mai stato firmato da Toninelli il decreto che chiudesse tutti i porti a tutte le imbarcazioni, e non ci sono documenti nemmeno nei singoli casi in cui il ministro ha annunciato decisioni ad hoc.
Inchieste giornalistiche e richieste di accesso agli atti degli avvocati delle ong, come successe per il caso della mare Jonio, a cui pure fu negato l’attracco, hanno dimostrato che non era mai stato emesso nessun documento ufficiale nemmeno per la Open Arms e la Astral. Nel caso mare Jonio, la conferma arrivò dal comando generale del corpo capitanerie di porto del ministero.
Nonostante le posizioni più sfumate, anche Toninelli fu indagato per sequestro di persona nel caso Diciotti, ma il procedimento fu poi archiviato per lui, Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e lo stesso Salvini.
Non è da escludere che Salvini, ora che è ministro ai Trasporti, possa firmare proprio un decreto di chiusura dei porti in collaborazione con il suo ex capo di gabinetto Matteo Piantedosi, nuovo ministro all’Interno.
Anche se una decisione di quel genere potrebbe provocare appelli alla convenzione di Amburgo, al Testo unico sull’immigrazione e alla convenzione sullo status dei rifugiati di Ginevra, oltre che creare un caso agli occhi della Corte europea dei diritti dell’uomo, che in passato ha già condannato l’Italia per respingimenti illegali di massa.
Resta da vedere anche se Giorgia Meloni, che in luogo dei decreti Sicurezza che Salvini vorrebbe riportare in vita ha sempre proposto di percorrere la via dei blocchi navali, gli lascerà carta bianca su come gestire il dossier.
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