Il vicepremier è imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Rischia 15 anni di carcere. La Lega ha organizzato un presidio fuori dal tribunale di Palermo
Oggi è il giorno della procura al processo Open Arms a Palermo, in cui il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini è imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio nella gestione dei migranti lasciati a bordo della nave della ong nell’estate 2019.
I pm palermitani chiederanno la condanna del leader della Lega, perché ritengono che abbia agito «in violazione di convenzioni internazionali e di norme interne in materia di soccorso in mare e di tutela dei diritti umani» e «abusando dei poteri allo stesso rimessi quale autorità nazionale di pubblica sicurezza». Difficile prevedere la richiesta di pena, tuttavia Salvini rischia fino a 15 anni di carcere.
Dal canto suo, l’imputato ha fatto sapere che non sarà presente in aula, dove invece ci sarà la sua avvocata, la senatrice leghista Giulia Bongiorno. Fuori dal tribunale, invece, la Lega ha organizzato una mobilitazione a sostegno del suo leader, che quando ha parlato del processo ha detto di aver «difeso l’Italia e i suoi confini, salvando vite e facendo rispettare la legge» e che «ho fatto quello che ho fatto e lo rifarei con orgoglio».
A Palermo potrebbe arrivare una folta delegazione leghista composta anche da deputati e nel pomeriggio di ieri c’è stato un profluvio di dichiarazioni di leghisti a sostegno del loro segretario, che nei giorni scorsi ha puntellato la sua leadership interna in vista del congresso, nominando vicesegretari due suoi uomini di fiducia come Claudio Durigon e di Alberto Stefani.
Il governo
Se questa è la posizione formale, il clima è rimane molto teso in vista della requisitoria della procura e soprattutto della richiesta di condanna. Si tratta di un processo di primo grado, ma una eventuale condanna per un ministro aprirebbe possibili conseguenze politiche anche sul governo, soprattutto ora che la parola “rimpasto” non è più esclusa a palazzo Chigi.
La linea del governo, almeno per quanto riguarda l’altra indagata eccellente, la ministra del Turismo Daniela Santanchè, è di aspettare il rinvio a giudizio per fare valutazioni sull’opportunità che lei rimanga al suo posto. Nel caso di Salvini si è già oltre.
Di qui la questione su quale sia il metro adottato da Meloni per valutare la presentabilità dei suoi ministri e soprattutto quanto sia variabile. Anche per questo, forse, Santanchè continua a ostentare tranquillità in vista delle due udienze del 3 e del 9 ottobre, in cui il tribunale dovrà valutare il suo rinvio a giudizio in due distinti procedimenti penali.
Certamente per Meloni è più facile fissare l’asticella delle dimissioni per i ministri di Fratelli d’Italia, più complicato invece applicarle ad esponenti di altri partiti. Tuttavia, se la conclusione del processo sarà negativa per Salvini, anche palazzo Chigi dovrà gestire l’imbarazzo di un vicepremier condannato.
Il rischio per il governo, tuttavia, rimane sempre lo stesso: rimettere mano alla compagine di governo significherebbe aprire un dibattito con il Quirinale ed essere disposti ad andare verso un Meloni bis. Eppure, le pedine traballanti iniziano ad essere molte: oltre a Gennaro Sangiuliano appena sostituito, a Santanchè e Salvini in attesa degli esiti giudiziari dei rispettivi procedimenti, anche il nome del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida non è più così saldo. L’ex cognato della premier, infatti, è entrato nel cono di luce acceso da Maria Rosaria Boccia, la quasi consigliera che con le sue rivelazioni ha costretto alle dimissioni Sangiuliano.
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