La difesa del ministro ha chiesto e ottenuto di acquisire nel processo la documentazione audio e video di un sottomarino italiano presente nel momento in cui i migranti venivano salvati dalla Open arms. L’avvocato Bongiorno ha contestato che il materiale non era stato messo agli atti da parte dei pm e nemmeno trasmesso al Senato, ma sarebbe di sostanziale rilevanza per il processo
Colpo di scena nel processo Open Arms a carico del ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, che nel 2019 era ministro dell’Interno ed è imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio, per avere trattenuto per sei giorni sulla nave spagnola della ong, ormeggiata davanti a Lampedusa, 147 migranti .
L’udienza, infatti, è iniziata con la richiesta dell’avvocato difensore, la senatrice Giulia Bongiorno, di acquisire agli atti le riprese effettuale da un somemrgibile e gli audio e video di conversazioni che coinvolgono l’equipaggio della Open Arms.
La documentazione faceva parte del fascicolo del pm e la difesa di Salvini ha chiesto e ottenuto l’inserimento nel fascicolo del dibattimento, quindi sarà utilizza nel processo.
Si tratta di materiale video, audio e fotografico realizzato da un sommergibile della marina militare italiana il 1 agosto 2019 e che riguarda le operazioni di salvataggio della Ong. «Erano a disposizione della Procura ma la difesa non ne sapeva nulla, erano atti messi a disposizioni delle parti dagli inquirenti e facevano parte del fascicolo del pm ma a noi no», ha detto l’avvocato Bongiorno.
Secondo la difesa, questi documenti potrebbero gettare nuova luce sulla dinamica dei fatti, con l’ipotesi anche della presenza di scafisti. «Si tratta di materiale che mai era stato messo agli atti e che perfino il Senato non aveva visionato quando fu chiamato a esprimersi sull'eventuale processo a carico di Salvini», mentre questa documentazione è stata trasmessa per conoscenza a diverse procure siciliane, tra cui Agrigento e Palermo, ha aggiunto Bongiorno.
Il sottomarino
Il sommergibile "Venuti” della marina nell’agosto 2019 monitorava l’attività nel mar Mediterraneo e aveva ripreso anche il barcone di migranti partito dalla Libia.
Secondo Bongiorno, la documentazione non è mai stata messa a disposizione della difesa e, all’epoca dei fatti, «non fu portata a conoscenza di chi, all'epoca, doveva decidere sul rilascio del Pos», ovvero del porto sicuro di attracco (place of safety).
Il presidente della corte, Roberto Murgia, ha ammesso la produzione di tutto il materiale e ha anche disposto di sentire come testimoni il capitano di corvetta Stefano Oliva, comandante del "Venuti", e il capitano Andrea Pellegrino che sulla vicenda produsse una relazione di servizio.
La documentazione, secondo Bongiorno, «fa emergere molte anomalie», che potrebbero giustificare la decisione di Salvini di non assegnare un porto sicuro alla nave, all’orgine del capo di imputazione.
Nell’udienza è stata ascoltata anche l’ex ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, che ha detto di non essere stata a conoscenza «di questi documenti sull'attività di un sommergibile della Marina militare» nè del fatto che fosse in corso attività di intelligence da parte del Venuti.
Toninelli e Trenta scaricano Salvini
Nel processo sono stati ascoltati anche Trenta e l’ex ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, che erano colleghi di Salvini nel governo Conte I e che hanno firmato il primo decreto di divieto di sbarco.
Entrambi hanno detto che la decisione di vietare lo sbarco è stata presa da Salvini, attribuendo a lui la responsabilità dell’atto e specificando il fatto che si trattava di una fase di crisi del governo Conte I, in cui già i rapporti si erano deteriorati tra ministri.
L’ex ministra della Difesa, Elisabetta Trenta ha spiegato di aver firmato il primo decreto, che la «decisione del divieto di ingresso in acque italiane della nave Open Arms nell'agosto del 2019 fu presa dal ministro Salvini. Io ricevetti il decreto da firmare, perché la competenza del mio ministero era quello di verificare che non si trattasse di una nave militare». Il decreto, poi, fu annullato dal Tar Lazio e Salvini decise di emetterne un altro.
Il secondo decreto, invece, Trenta si rifiutò di firmarlo perchè «ritenni che valesse ancor di più la decisione del Tar visto che erano passati altri giorni e che comunque era una reiterazione di un provvedimento annullato senza sostanziali novità, anzi in presenza di una situazione peggiorata».
Inoltre, «non ero nella linea di decisione rispetto alla opportunità di emettere il secondo decreto» mentre «sui minori ho cercato di interloquire con tutti, dopo aver saputo della presenza di 26 minori non accompagnati. Non ho parlato con Salvini, ma con Toninelli, Di Maio e Conte dicendo di aver deciso di contattare il capo di stato maggiore per far sbarcare i minori».
Anche l’ex ministro Toninelli ha detto che non firmò il secondo decreto, «le cose anzi si stavano complicando perché nel frattempo erano passate due settimane e non aveva senso fare un altro decreto per farselo respingere nuovamente».
Toninelli ha anche specificato che «Il consiglio dei ministri, durante il Conte I, non ha mai affrontato il tema degli sbarchi e dei ricollocamenti» e di non essere stato a conoscenza personalmente «di rischi relativi alla sicurezza pubblica o sanitari legati all'eventuale sbarco dei migranti soccorsi dalla nave Open Arms, il rischio mi era stato prospettato dal Ministro dell'Interno».
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