La cittadinanza in Italia non è un diritto ma una concessione. Samir è tra le centinaia di persone a cui è stata negata perché considerato potenzialmente pericoloso per la sicurezza. Ma gli è stato chiesto di dare informazioni alla polizia
«Sono arrivato in Italia quasi trent’anni fa, per motivi di studio. Mi sono laureato e ho iniziato a lavorare come consulente per imprese private e per le pubbliche amministrazioni. Poi per qualche anno ho lavorato in università. Ma la cittadinanza mi serviva solo per una questione pratica, per poter fare concorsi e aumentare le mie possibilità di lavoro». Samir è migrato dal Medio Oriente perché i genitori volevano che studiasse. Ha chiesto di rimanere anonimo per tutelare la sua privacy, vista la delicatezza della storia e del percorso di richiesta di cittadinanza.
Un giorno di circa vent’anni fa, nella cittadina in cui vive, ha bussato alla sua porta un poliziotto in borghese. Non era la prima volta che lo vedeva. Veniva da Roma ed era lì per porgli delle domande nell’ambito della sua richiesta di cittadinanza per naturalizzazione. Ma, racconta Samir, alcuni interrogativi erano «una chiara provocazione».
Un incontro che secondo lui è stato registrato. Era da poco passato l’11 settembre 2001, con l’attentato alle Torri gemelle. Il poliziotto gli ha chiesto cosa ne pensasse di quel preciso attentato, del terrorismo in generale, per poi entrare ancora di più nella sfera personale e chiedergli del suo credo: «Sei sunnita o sciita?»
«Non gli ho risposto, perché questo è un abuso», dice oggi, «aveva un atteggiamento dispregiativo e provocante». Non è mai stato fermato dalle forze dell’ordine né identificato, ma gli agenti si sono presentati a casa sua decine di altre volte. Arrivavano spesso in borghese, senza alcun mandato, per chiedere informazioni sulle persone della città, di diverse nazionalità.
«Forse volevano fare pressione o chiedermi di fare l’informatore, dato che conosco molta gente», prosegue, «per salvare la società da delinquenti e terroristi, mi dicevano». Gli chiedevano di fatto di osservare cosa accadesse nella comunità dei cittadini stranieri, e riferire alle forze dell’ordine. Samir racconta di aver sempre risposto a tutte le domande che lo riguardavano, ma di non aver mai dato informazioni su altre persone. «Sarei diventato ricattabile», sostiene.
La cittadinanza nel nostro paese non è considerata un diritto soggettivo, ma una concessione. È un atto di alta amministrazione, e quindi sottoposto a una valutazione di opportunità politico-amministrativa di ampia discrezionalità, che però non può tradursi in libero arbitrio.
Samir è tra le oltre 600 persone a cui, tra il 2020 e il 2022, è stata negata la cittadinanza perché considerate potenzialmente pericolose per la sicurezza della Repubblica. Nessun reato, né fermi o identificazioni, solo un sospetto, come abbiamo già raccontato nelle altre puntate di questa inchiesta.
Bilanciamento
L’uomo ha presentato la prima richiesta di cittadinanza alla fine del 2001. Quattro anni dopo ha ricevuto il responso. Negativo. Ma la motivazione ministeriale alla base del diniego ha un qualcosa di sorprendente e grottesco insieme. Samir ricorda che nel bilanciamento degli aspetti positivi o negativi per la concessione della cittadinanza prevalevano questi ultimi. Nessun’altra spiegazione.
Non si è arreso, e ha presentato appello.
Anzitutto al tribunale amministrativo, che, in primo grado, ha rigettato il ricorso. Nel frattempo, a dieci anni dalla domanda, Samir non ha potuto ricevere la cittadinanza italiana perché, secondo i giudici, apparteneva a un partito laico nazionalista e, allo stesso tempo, è un fervente religioso.
Tutto ciò mentre l’uomo si trova ormai da anni in Italia, e non risulta aver mai avuto una tessera di partito. Anche nel suo caso, quindi, potrebbe essere un mero sospetto dei servizi il filo conduttore del rigetto della domanda di cittadinanza. Ma c’è di più.
Cosa non torna
A dieci anni esatti dalla prima domanda di cittadinanza, e dopo aver speso qualche migliaio di euro per i ricorsi, Samir ha deciso di riprovarci, presentando una nuova richiesta. Anche questa volta qualcosa è andato storto. Il ministero dell’Interno l’ha rigettata sostenendo che «dall’attività informativa esperita a carico dell’interessato è emersa la sussistenza di una situazione di contiguità del coniuge a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza dello stato». Peccato che l’uomo non abbia mai avuto una moglie.
Anche i giudici del Tar, dopo il ricorso presentato da Samir, hanno sostenuto che l’amministrazione ha proceduto correttamente nella decisione, evidenziando, però, «la sussistenza di una situazione di contiguità della parte ricorrente a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza dello stato».
Così l’avvocato dell’uomo ha presentato un successivo ricorso al Consiglio di stato, sottolineando l’erroneità della sentenza del Tar, «per non aver, in particolare, dichiarato l’illegittimità del diniego per difetto assoluto di motivazione».
Tradotto: secondo il legale, il tribunale avrebbe dovuto annullare quella decisione del ministero, perché fondata su un falso presupposto, ovvero che la coniuge dell’uomo (che nella realtà non esiste) appartenga a movimenti aventi scopi pericolosi per la sicurezza nazionale.
L’informativa
Da parte sua il Consiglio di stato ha riaperto l’istruttoria al fine di acquisire gli atti su cui si fondava la valutazione di pericolosità, rilevata dal ministero dell’Interno. E qui, per Samir, oltre il danno anche la beffa. Perché da un lato il Viminale ha depositato nel corso dell’udienza una nota informativa “riservata” nella quale veniva indicato che l’uomo è stato sospettato di avere atteggiamenti di forte criticità verso la cultura occidentale, dall’altro, secondo la sentenza, l’uomo avrebbe riportato plurime condanne e sarebbe in contatto con un movimento responsabile di attività gravemente delittuose.
Nulla di vero, perché il casellario giudiziario dell’uomo risulta immacolato e perché, dalla nota dei servizi depositata in udienza e citata nella sentenza, non è emerso alcun elemento fattuale alla base del sospetto e dei presunti legami con organizzazioni terroristiche.
I giudici della sezione, presidente lo scomparso ex ministro degli Esteri Franco Frattini, hanno scritto: «La sicurezza della Repubblica è interesse di rango certamente superiore rispetto all’interesse di uno straniero ad ottenere la cittadinanza italiana. Riconoscimento, quello della cittadinanza, per sua natura irrevocabile e che dunque presuppone che nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica italiana si fonda».
A quasi vent’anni dalla sua prima richiesta di cittadinanza, il suo legale ha fatto valere contro il Consiglio di stato l’istituto della richiesta di revocazione della sentenza per un errore materiale. E l’odissea giudiziaria di Samir non è ancora finita.
L’appello a Mattarella
L’uomo ha scritto più volte al presidente della Repubblica per evidenziare questa ingiustizia e la violazione di un principio costituzionale quale la libertà di manifestazione del proprio pensiero. Ma non ha mai ricevuto risposta.
«Lo strumento del rigetto è essenzialmente uno strumento di controllo sociale e di rafforzamento della richiesta di obbedienza dei canoni occidentali imposti ai cittadini stranieri per ottenere la cittadinanza», spiega Giulia Crescini, avvocata dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione. E conclude: «L’omogeneità della popolazione italiana viene imposta anche attraverso questi strumenti giuridici. Però l’esercizio del diritto di difesa diviene pressoché impossibile. Non si conoscono le motivazioni alla base dei rigetti, quindi queste decisioni non possono essere contestate nel merito».
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