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Michele Santoro è tornato sullo schermo, nonostante tutto e tutti. Lo ha fatto con una puntata-evento, trasmessa dal teatro Ghione di Roma sul web, da alcune tv locali e da Byoblu sul digitale terrestre, con il titolo “Pace proibita”.
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Quella che è stata trasmessa, per Santoro, «non è una trasmissione, è una protesta», ha dice lo stesso Santoro in chiusura, promettendo che «questo è solo l’inizio».
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Tra gli obiettivi sfidare Pd e Movimento 5 Stelle, che avrebbero permesso un «peggioramento della televisione pubblica» e si sono fatti coinvolgere nella guerra in Ucraina senza aprire un confronto politico con la loro base. I dati dicono però che lo spazio d’azione non supera il 2 per cento.
Michele Santoro è tornato sullo schermo, nonostante tutto e tutti. Lo ha fatto con una puntata-evento, trasmessa dal teatro Ghione di Roma sul web, da alcune tv locali e da Byoblu sul digitale terrestre, con il titolo “Pace proibita”: dal palco si sono alternati Luciana Castellina e Tomaso Montanari, Cecilia Strada e Carlo Freccero, Vauro e Sabina Guzzanti, solo per citare alcuni degli invitati. L’obiettivo era dare spazio a un’informazione pacifista, in antagonismo con quella della televisione “che silenzia la maggioranza contraria all’invio di armi all’Ucraina”.
Risultato: l’evento è stato organizzato in pochi giorni, finanziato attraverso il crowdfounding a cui hanno partecipato 1500 persone e il bilancio fatto da Santoro è che «ad essere realisti, tra radio, tv locali e internet, ci hanno seguito circa 250 mila persone». Di più, «un prodotto dignitoso sul piano televisivo, anche più di certe trasmissioni che vanno sui canali nazionali», che però non hanno voluto trasmetterlo «anche se glielo abbiamo offerto gratuitamente». L’obiettivo non è stato solo quello di dare una lezione alla televisione “del pensiero unico” ma generare «un sentimento, enorme e positivo», che starebbe già dando i suoi frutti in rete.
Quella che è stata trasmessa, infatti, «non è una trasmissione, è una protesta», ha dice lo stesso Santoro in chiusura, promettendo che «questo è solo l’inizio».
Un partito pacifista
A molti, guardando i nomi che si sono alternati sul palco ma anche le facce in prima fila (Nicola Fratoianni e Luigi De Magistris, Nichi Vendola ed esponenti di Articolo 1) e i toni dell’evento, la finalità è sembrata lampante: un nuovo partito che abbia come collante culturale il pacifismo e guardi sia alla sinistra che al cattolicesimo progressista, ma strizzi l’occhio anche all’area storica dei Cinque stelle e più contraria alle posizioni del governo Draghi.
Chi ha preso la parola sul palco, come lo storico dell'arte Tomaso Montanari, allontana l'idea di un partito e lo definisce «un evento di portata culturale» dice che anzi «sarebbe una pessima idea se questo primo timido risveglio di coscienza collettiva finisse in un simbolo di partito». Altri, invece, preferiscono rimanere sullo sfondo. Santoro, invece, non scansa per nulla l’ipotesi e anzi la duplica: «C’è stata una forte spinta dal basso e questo vuol dire esiste un’area dell’opinione pubblica che non si sente rappresentata: né in televisione né in politica. Ecco, noi vogliamo muoverci in entrambe le direzioni».
Sembra essere già pronto anche il come: sfidando Pd e Movimento 5 Stelle, che avrebbero permesso un «peggioramento della televisione pubblica» e si sono fatti coinvolgere nella guerra in Ucraina senza aprire un confronto politico con la loro base. Se le risposte non fossero adeguate (e la domanda sempra più che altro retorica), Santoro sarebbe pronto a mobilitarsi, attingendo alla fetta di elettorato composta da chi nei sondaggi non si esprime e da quelli che hanno smesso di andare a votare. Insomma, nella sempre vagheggiata massa degli indecisi e degli astenuti, che sembrano sempre voti a portata di mano ma tutti faticano a conquistare.
C’è spazio?
L’interrogativo è quindi se esista spazio per un nuovo partito, nell’affollata sinistra del Pd. «Lo spazio per nuovi partiti c’è sempre», è la risposta di Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia research, ma «i partiti tematici hanno grandi difficoltà ad emergere».
Quanto sia ampia, poi, l’area di quell’astensione da conquistare è l’altra incognita da risolvere: se è vero che un 40 per cento non risponde sulle intenzioni di voto, è altrettanto vero che il 30 per cento è «perso per ragioni strutturali», spiega il politologo Roberto D’Alimonte. «Le tendenze degli ultimi trent’anni anni dicono che è disponibile circa un 10 per cento di incerti, circa 4 milioni di voti». Di questi, quanti si mobiliterebbero sul tema del pacifismo? «Forse un milione. Se è vero che il 40 per cento degli italiani è contrario alle armi in Ucraina, non tutti hanno il pacifismo come valore assoluto».
Tradotto: un partito pacifista si assesterebbe intorno al 2 per cento – come tutti i piccoli partiti della galassia di sinistra – trovando sponda in quelle che cosiddette “minoranze intense”, a cui è attirata la televisione ma che non trascinano nelle urne.
Del resto, «dall’avvio del conflitto sono cresciuti solo i partiti con le posizioni più nitide e filoatlantiche: Pd, Fratelli d’Italia e Forza Italia» spiega il direttore dell’Istituto Cattaneo, Salvatore Vassallo. Ecco allora forse la ragione della duplice prospettiva di Santoro: l’obiettivo primario potrebbe non essere la politica, quanto un suo ritorno nel piccolo schermo.
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