La segretaria nega con ironia malumori sull’incontro a porte chiuse. Non scioglie la riserva sulle europee. «Su Report Meloni peggio di Silvio»
Elly Schlein arriva alle dieci di mattina di venerdì al Park Hotel ai Cappuccini di Gubbio, il monastero trasformato in un elegante ma composto resort con spa, dove i deputati dal giorno prima sono stati riuniti dalla capogruppo Chiara Braga per un seminario a porte chiuse. La segretaria ha intenzione di cambiare il verso alla storia fin qui raccontata dai media: non una gita fuori porta, subìta dai deputati come un obbligo di messa (c’è una bellissima cappella nel complesso, ma resta vuota, e comunque la spa era chiusa), ma un’occasione di approfondimento di alcuni temi: la guerra, la pace, l’Europa, il tentativo di egemonia culturale della destra (è stato convocato il professore Silvio Pons, presidente della fondazione Gramsci).
«Senza la pretesa di dare la linea», dice Braga nell’introduzione ai lavori, con l’intento «di ascoltare» gli esperti «e ascoltarci nella massima libertà», da qui le porte chiuse alla stampa. Il convitato di pietra sono le prossime europee, ma è chiaro che a Gubbio non c’è da aspettarsi che la segretaria annunci la sua corsa per Bruxelles. «Nessuna novità, prima la squadra», ripete ai molti che le chiedono di decidere presto.
I giornalisti vengono fatti entrare nella bella sala Capogrossi per ascoltare le sue conclusioni alla fine di un confronto con Leonardo Becchetti e Linda Laura Sabbadini che Schlein ha ascoltato con attenzione, prendendo appunti. Quando prende la parola, vuole scacciare le «elucubrazioni» sulla sua contrarietà all’evento nel resort e sulla sua assenza il giorno prima. Usa l’ironia: «La spa era chiusa, nessuno è venuto qui con il costume e nessuno ha portato la pistola», il riferimento è al deputato-pistolero di FdI Pozzolo, e «quando lasciate le stanze non portate via i quadri», riferimento al presunto furto di cui viene accusato Vittorio Sgarbi, «e se ritornate in treno, non fermatelo prima di arrivare a destinazione» stavolta ce l’ha con il ministro Lollobrigida.
Insomma, se non è venuta dal primo giorno è perché giovedì sera, racconta, «sono andata a vedere un film stupendo, Krypton, che dovrebbero vedere tutti, a partire da chi al governo sta tagliando la sanità pubblica, è un grido sulla salute mentale e sulle famiglie che non vedono una risposta adeguata». Battute dietro le telecamere: dunque la segretaria ha preferito andare al cinema? «Ma no», viene spiegato dai deputati con fastidio e apprensione, «voleva fare un focus sulla salute mentale e sulla sanità».
Le armi a Israele
Ma lei è carica e non si cura dei malintesi. Difende la trasmissione Report finita sotto il fuoco di FdI: «Meloni ha superato Berlusconi: questi attacchi al diritto di inchiesta nemmeno con l’editto bulgaro. Bisogna inventare altri tipi di editti, non so se sono editti ungheresi».
Poi elenca le prossime battaglie: una disciplina più stringente contro chi esalta i metodi del fascismo, la cancellazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione e una legge sul fine vita. Sul punto ne ha anche per il suo partito: perché alla regione Veneto è successo che la legge non sia passata per l’astensione di una consigliera dem, Anna Maria Bigon. Non va bene, dice: «Assicurare un fine vita dignitoso è parte del programma del Pd. Che la destra abbia affossato la proposta di legge sul fine vita di Zaia non sorprende, ma è una ferita che ci sia stato anche un voto del Pd». La libertà di coscienza è sacra, «ma se il gruppo ti chiede di uscire dall’aula per non contribuire all’affossamento della legge, è giusto uscire dall’aula e non decidere una scelta che ricade su tutto il partito».
Poi parla delle guerre in corso. Sono state oggetto di dibattito del seminario, con l’ex ambasciatore Piero Benassi, l’inviata di guerra Francesca Mannocchi, la politologa Nadia Urbinati e Franco Vaccari, fondatore di Rondine, Cittadella della Pace. Dagli interventi dei deputati si è capito che sono temi su cui il Pd ha al suo interno punti di vista diversi: ma è un eufemismo.
Sull’Ucraina, dice, la linea non cambia: sostegno a Kiev, anche con le armi, e maggiore spinta diplomatica dell’Ue. Sul Medio Oriente, invece, per la prima volta si spinge un po’ più in là. Parla della risoluzione passata a Bruxelles. Racconta che il Pd chiede il cessate il fuoco come precondizione del rilascio degli ostaggi israeliani, infatti ha votato un emendamento della sinistra che lo chiedeva. E invece un emendamento del Ppe, votato dalla destra (ma anche da molti socialisti), ha ribaltato il concetto: nel testo è il rilascio degli ostaggi a essere la precondizione per il cessate il fuoco.
A questo punto chiosa: «Dobbiamo porci la questione di evitare l’invio di armi e l’esportazione di armi verso il conflitto in Medio Oriente, in particolare in questo caso a Israele. Perché non si può rischiare che le armi vengano utilizzate per commettere quelli che si possono configurare come crimini di guerra». Lo ha chiesto già Giuseppe Conte, ed è stato smentito severamente dal ministro Crosetto. Perché la questione è delicata: la legge 185 già vieta di fornire armi a paesi in guerra, tant’è che per l’Ucraina il parlamento italiano ha votato una deroga. Il silenzio del Pd racconta che nessuno si aspettava una dichiarazione così esplicita. E che forse la segretaria sta staccando il gruppo per la volata. Ora resta da vedere se tutto il gruppo la segue.
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