Giuseppe Conte arriva in ritardo. Sono passate le dieci e un quarto, il plotoncino del comitato dei referendari, in trentaquattro sigle, è schierato in posa sui gradini del Palazzaccio, a piazza Cavour di Roma. I fotografi hanno iniziato già a scattare. Lui si infila nei ranghi, ma prima lancia uno sguardo a Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, espressione da sfottò: «Ma voi non dovete essere alla Camera a votare?». Ma la battutaccia non è per la coppia rossoverde anzi, con i due c’è un sorrisetto d’intesa. È per Elly Schlein. La segretaria Pd è dall’altra parte della fila, alla sinistra di Maurizio Landini. E finge di non sentire.

Sono tutti qui, è festa grande per il milione e trecentomila di firme raccolte sul referendum per abrogare il ddl Calderoli. Una valanga, un boom. L’autonomia differenziata è la battaglia su cui, sotto la guida del segretario Cgil, si è materializzato un centrosinistra formato extralarge: le associazioni dall’Arci all’Anpi, tanti costituzionalisti (come Flick, Villone e Azzariti), tutti i partiti del centrosinistra tranne Azione. Uno sterminato fronte per un quesito che è stato firmato ovunque nel paese, anche al Nord (per dire, Lombardia terza classificata nella raccolta ai banchetti, dopo Campania e Lazio). È anche falsa l’obiezione della Lega, che dice che la piattaforma digitale sia stata decisiva per la raccolta: online sono arrivate più di 500mila firme, ma dal vivo più di 750mila. Quorum sfondato in entrambi i casi.

Peccato che nel giorno della consegna ufficiale alla Cassazione, mentre i volontari con le magliette d’ordinanza inscenano una commovente catena umana per depositare le scatole delle firme, se le passano di mano in mano, i partiti sono spaccati sull’elezione dei nuovi vertici Rai che sta per andare in scena alle camere. Schlein aveva proposto l’Aventino contro TeleMeloni, ovvero non partecipare al voto, aveva capito che tutti erano d’accordo: invece M5s e Avs votano e portano a casa un consigliere ciascuno.

«Partecipazione fortissima»

Landini è già in campagna: «Per noi si apre una fase che deve portare a votare 25 milioni di italiani. L’indicazione è precisa: andare a votare sei sì. Bisogna cambiare le leggi balorde e sbagliate che questo governo continua a fare». Vede già il giorno del giudizio universale referendario: quest’estate la Cgil ha fatto i banchetti per i quattro quesiti sul lavoro, fra cui la cancellazione del Jobs act; poi sul testo per l’abrogazione del ddl Calderoli con tutto il centrosinistra e le associazioni. A metà fatica è arrivata la piattaforma digitale del ministero della Giustizia. Infine sono arrivate le 500mila firme, invece queste tutte digitali, sul quesito sulla cittadinanza. Contro l’autonomia, sottolinea con orgoglio il sindacalista, «più della metà delle firme sono state raccolte nei banchetti in giro nei territori, e tutto questo è stato fatto in due mesi. C’è una domanda di partecipazione fortissima. In un paese che vive una crisi democratica, dove metà dei cittadini a votare non ci va, in realtà c’è una spinta: i cittadini vogliono riprendersi il loro diritto di decidere sulla loro vita». «I referendum aiutano il parlamento e tutto il sistema democratico a funzionare meglio. Non se ne deve avere paura», dice Riccardo Magi, di +Europa, che ha fortissimamente voluto l’ultimo quesito: altro boom, quorum raggiunto online in meno di venti giorni.

Separati in piazza

Conte dichiara dalla cima delle scale: «Procediamo spediti. Abbiamo constatato che i cittadini sono molto sensibili per contrastare questo progetto che frammenta l’Italia e impoverisce tutte le regioni». Poi fila via, ultimo ad arrivare e primo a andare via: corre alla Camera.

Mentre scende, Schlein sta dichiarando: «È una bella mobilitazione, la risposta della gente è stata forte e chiara. Ora dobbiamo continuare a mobilitarci in vista del voto». Fra i due neanche un ciao. Per la seconda volta separati in piazza: si trovano nella stessa iniziativa e si ignorano. Era successo mercoledì pomeriggio al sit-in contro il ddl Sicurezza. C’era già nell’aria la rottura. E tuttavia Schlein ci ha sperato, forse creduto: e la sera, alla riunione dei parlamentari Pd, ha intimato ai suoi: «Nessuna polemica con M5s».

Ma gli abbracci e baci a favore di telecamera sembrano foto ingiallite, storie di amori andati, chissà se di alleanze definitivamente sfumate. Comunque addio sogni di gloria e di coalizione, ormai non solo Carlo Calenda che «il campo largo non esiste», lo dice persino il verde Bonelli che «è un lavoro ancora tutto da fare». In comune resta solo il fronte referendario. Sotto lo sguardo preoccupato di Landini che sorveglia i suoi compagni di strada mentre si tirano i capelli e si ficcano le dita negli occhi.

L’altro referendum

Intanto la Cgil prepara un festeggiamento grande: il 5 ottobre, al Centro congressi Frentani, generale reunion del comitato referendario, presenti i leader e aperta al popolo. Per complimentarsi del successo ottenuto e iniziare a organizzare la campagna. Anche se la certezza del voto su ciascun referendum si avrà dopo il verdetto della Corte costituzionale, entro i primi di febbraio 2025. E si sa che alcuni quesiti ballano.

Per questo il Pd, consigliato dai tecnici, ha preparato il piano B: se il quesito sull’autonomia per l’abrogazione totale del ddl Calderoli non dovesse passare il vaglio, c’è quello parziale. Contestatissimo dalla Cgil e da molti referendari: ma la polemica è stata tenuta sotto il tappeto per non spaccare il fronte durante la raccolta di firme.

Venerdì 27 settembre verranno consegnati alla Cassazione anche i due quesiti richiesti dalle cinque regioni governate dal centrosinistra: uno è la copia di quello firmato dal milione e trecentomila, sottoscritto dai Consigli regionali per sicurezza, nel caso non si fossero raggiunte le firme; l’altro è il «paracadute», la richiesta di abrogazione di parti della legge.

Nel caso saltasse il primo. Eventualità pericolosamente divisiva. E stavolta non solo per i partiti del centrosinistra.

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