L'effetto Schlein è finito, ha scritto ieri Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera: il Pd è tornato al 19,4 per cento, come nel voto 2022, il gradimento della leader è sceso di cinque punti. Il dato fotografa il momento più difficile, l'ultimo mese, con la sconfitta alle amministrative e le polemiche nel partito, ma consente almeno di chiarire (anche ad alcuni sostenitori) quella che dovrebbe essere una ovvietà. Elly Schlein non è una influencer, è la segretaria del Pd.

Il suo effetto non si giudicherà sulla bolla dei followers, ma sulla leadership, sulla sua capacità di incidere su quelli che un tempo si sarebbero chiamati i processi reali. Schlein è partita nelle condizioni peggiori. Una coalizione di centrosinistra inesistente. Un Pd spezzato, vedi le ultime primarie per il segretario del Lazio, sulla scheda erano stampati i simboli delle correnti (Lazio democratico, A Sinistra per Leodori...), come se fossero partiti diversi. Un contesto culturale di riferimento appassito. In più, una informazione in gran parte conformista che incensa senza pudore la premier e si dà di gomito nel bastonare la leader dell'opposizione, è l'esercizio di stile in cui si gonfia il petto e si rispecchia il giornalista collettivo (maschio).

Se la crisi del Pd non è contingente, ma strutturale, viene da lontano, la risposta non è una fiammata social, richiederà un periodo lungo, mettiamoci comodi, giusto. Chi ha scelto alle primarie Schlein non ha votato per una figurina, ma per una politica ritenuta in grado di imprimere una svolta, non per la superficie ma per la profondità. E non solo sul tornare nelle piazze, dopo anni in cui era «desolato deserto il panorama», come nella poesia di Mariangela Gualtieri, «il popolo è disperso». Le ultime iniziative (l'ordine del giorno su Santanché, la campagna sulla casa, il salario minimo) sono l'embrione di costruzioni più larghe: l'azione parlamentare, le alleanze, i progetti. Come hanno richiesto su Domani Gianni Cuperlo e Luigi Zanda. Il cambiamento del Pd si dovrà vedere, passa per un cambio di agenda e per le persone, con le candidature 2024 per le europee, le città, le regioni.

Il terreno dell'Europa è il più congeniale per Schlein. Giorgia Meloni è in bilico tra il comiziaccio sovranista a uso della tifoseria domestica e l'ansia di essere la prima della classe nell'Europa delle nazioni. Schlein incarna l'idea di un'Europa solidale, inclusiva, aperta. Per citare Giuseppe De Rita (nominato a sproposito da Meloni alla Camera al posto del grillino Domenico De Masi): la società orizzontale, la cura dei territori e delle reti che evita di scivolare verso le rivolte alla francese, con la politica come un «re inerme», o una regina, che insegue o reprime, ma non interpreta. L'effetto Schlein è finito. E la lunga partita della segretaria comincia davvero.

 

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