Non tutti i componenti della nuova segreteria del Pd sono iscritti, o iscritti da tempo, al partito. Alcuni e alcune sono neoiscritti, altri e altre non sono (ancora) iscritti. La cosa ha destato qualche perplessità, innanzitutto da parte di esponenti della minoranza. La segreteria di Schlein sembra aderire allo spirito delle primarie aperte.

Ma che cosa c’è di male in questo? Un problema naturalmente è che la minoranza è o si sente scarsamente rappresentata – è la questione principale per i sostenitori di Bonaccini, questa. Ma ci sono obiezioni più generali all’operazione? Su questo giornale ho scritto che le primarie aperte sono una virtù del Pd, perché aprono a una sorta di ‘indipendente di sinistra’ collettivo, e perché la differenza fra iscritti e simpatizzanti, in un partito di massa, non è poi così grande.

Si può applicare la stessa argomentazione ai componenti della segreteria? Francamente credo di sì, pur con qualche precisazione.

La tessera come simbolo

Anche nel caso dei membri della segreteria, il valore o il peso della tessera non è chiaro. Che garanzie maggiori dà un iscritto rispetto alle persone che sono state scelte per la segreteria, non prive certo di esperienza politica né di comprovata lealtà ai valori propugnati da Schlein?

Un iscritto è, in quanto tale, più fedele ai valori del partito? Se è così, non lo è certo in virtù dell’iscrizione, ma semmai vale il contrario: una persona fedele ai valori del partito, forse, segnerà questa sua fedeltà iscrivendosi.

Ma allora la tessera è solo un segno di impegno, una questione simbolica? Se fosse così, non sarebbe certo questione tanto importante. Perché un simpatizzante, o un elettore, non dovrebbe essere fedele ai valori del partito per cui ritiene di votare?

Peraltro, se questi valori sono anche espressione della sua visione del mondo, di ciò che gli preme, la fedeltà a essi non è neppure difficile da praticare. E ad esprimerla dovrebbero bastare i comportamenti, anche quotidiani. A che cosa serve la tessera?

La tessera come impegno

Forse l’iscrizione serve a chiedere, e a segnare, qualcosa di più dell’adesione ideale a una certa visione politica. Forse serve a determinare chi nel partito si impegnerà a farlo funzionare, a svolgere le attività spesso improbe che sono necessarie a mandare avanti quella che spesso si chiama la “macchina del partito”.

Ma questo significa che un non iscritto non può, se vuole, contribuire in maniera più attiva? O esclude, questo, che un iscritto possa venire meno agli impegni che si è preso? La tessera è forse un contratto, addirittura un contratto d’impiego? Mi sembra difficile, nonostante la metafora amata da Bersani (la “ditta”) potesse farlo pensare.

Se un iscritto viene meno ai suoi impegni nei confronti degli altri iscritti, c’è una qualche sanzione diversa dalla riprovazione morale? E questa sanzione non vale forse anche per il simpatizzante che abbia preso un impegno?

Si potrebbe dire che però i componenti della segreteria prendono impegni molto più forti e politicamente rilevanti di semplici militanti, e quindi l’iscrizione al partito serve ed è più importante nel loro caso.

Ma anche per loro non si capisce a che cosa serva la tessera, se non a simboleggiare un impegno e un’adesione che non può certo determinare. Anche per un componente della segreteria prendere la tessera è un segno, o una conseguenza, della decisione di schierarsi e impegnarsi.

Non può certo causare l’impegno e la lealtà. Non si spiegherebbero sennò i tanti iscritti che il Pd l’hanno tradito o se ne sono allontanati per ragioni non sempre limpide.

La questione della competenza

I componenti della segreteria hanno incarichi specifici, però, si occupano di particolari aree dell’attività politica del partito, su cui sperabilmente debbono avere competenza.

Questo ancor di più nella segreteria di Schlein, che sembra riprendere lo schema del cosiddetto governo-ombra, dove i membri sono controparte dei ministri del governo. Il fatto di essere iscritti può essere determinante, a questo riguardo? Anche in questo caso, non mi pare.

Avere la tessera del Pd non garantisce competenza, né è necessariamente sinonimo di esperienze precedenti. Tanto è vero che ai componenti della segreteria, compresi quelli che non hanno, o non avevano sino a poco tempo fa, la tessera, non si può dire certo manchino esperienze passate e (sperabilmente) competenze.

Che cosa rimane, allora, delle perplessità con cui ho iniziato? Rimane lo scontento della minoranza che non si sente rappresentata. Ma è legittimo che chi vince ai voti si attorni di persone espressione del suo schieramento, anche se, dopo il voto, Schlein ha promesso di rappresentare tutti, e questa promessa dovrebbe mantenerla.

Ma rappresentare la minoranza non vuol dire necessariamente che la minoranza debba avere ruoli direttivi. Questo è più simile a un tentativo di commissariare la maggioranza o a un proporzionalismo esasperato.

Partito lobby?

La perplessità sui non iscritti o neoiscritti esprime poi una visione di partito. Come dicevo in un mio precedente articolo, si contrappongono qui due concezioni: il partito come gruppo di rappresentanza, come lobby, e il partito come espressione di una visione complessiva del mondo.

Anche nelle sue scelte per la segreteria, Schlein sembra (coerentemente, a parer mio) aderire alla seconda visione. Se questa visione si conforma alle preferenze degli elettori e dei simpatizzanti si vedrà nel futuro. Per adesso, le primarie sono state un segno evidente che questo era ciò che volevano gli elettori del P.

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