Quattro mozioni presentate dal centrosinistra diventano un ordine del giorno poco vincolante. La destra ha la sua per equiparare l’assalto alla Cgil ai No Tav. Risultato: i neofascisti rimangono ancora impuniti
Su Forza nuova nulla di fatto. A 11 giorni dall’assalto della Cgil da parte di un gruppo di No-pass guidati dai leader del partito neofascista Giuliano Castellino e Roberto Fiore, il Senato ha deciso di non decidere sullo scioglimento e il governo si è astenuto. Ieri sono approdate nell’assemblea del Senato le quattro mozioni per porre fine a Forza nuova presentate dal centrosinistra e la contromozione del centrodestra, che equiparava l’attacco dei neofascisti alle manifestazioni del G8 di Genova e ai No-tav. Le mozioni a sinistra sono diventate un ordine del giorno, mentre quella del centrodestra è stata riformulata tre volte: così alla fine hanno chiesto tutti di valutare il da farsi secondo la Costituzione, e ognuno ha votato il proprio testo. Ciascuno è stato approvato perché l’altra parte non ha votato al momento di esprimersi, altrimenti nessuno avrebbe raggiunto la maggioranza.
Mozioni e contromozione
L’esecutivo ufficialmente ha passato la palla ai parlamentari: «Il governo – ha detto il sottosegretario Ivan Scalfarotto – si rimette all’Aula». Alle 14:30 è partita la discussione. Le quattro mozioni, presentate rispettivamente da Partito democratico, Movimento 5 stelle, Liberi e uguali e Italia viva, chiedevano al governo di intervenire con un decreto esaminando anche tutte le altre forze neofasciste. Il testo di Leu, firmato anche dalla senatrice Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, proponeva nello specifico di agire anche su CasaPound e Lealtà e azione. I testi sono confluiti però nell’unico ordine del giorno che partiva come presupposto dalla valutazione del dettato costituzionale. Anche se, ha tenuto a sottolineare il senatore Pd, Francesco Verducci, «il contenuto rimane forte».
La contromozione, firmata dai capigruppo di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, e, tra gli altri anche da Isabella Rauti, figlia del fondatore di Ordine nuovo e segretario dell’Msi Pino Rauti, era combattiva, ma in senso opposto. Il loro testo chiedeva di intervenire contro tutte le forze eversive. Una formulazione che di fatto avrebbe disinnescato la richiesta di scioglimento.
Se in Aula il governo non si è espresso, dietro le quinte sono partite le trattative. Alle 16:30 c’è stata una pausa dai lavori – chiesta dal Pd –, e il centrodestra si è ripresentato con un testo che, alla fine andava a «contrastare tutte – nessuna esclusa – le realtà eversive» ma anche «a valutare le modalità per dare seguito» alle «verifiche e agli accertamenti della magistratura in ordine agli episodi del 9 ottobre» togliendo ogni ulteriore giudizio di merito.
Il dibattito
Tutti a parole hanno mantenuto le proprie posizioni. Verducci, ha ricordato che la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, e quello della Lega, Matteo Salvini, sono stati ambigui nel definire l’attacco alla sede della Cgil di matrice fascista: «Ma era visibile nei video», ha attaccato. Dario Parrini (Pd), primo a intervenire, ha preannunciato che dalla loro parte non avrebbe mai accettato la mozione del centrodestra. La capogruppo del gruppo misto, Loredana De Petris (Leu), ha ricordato che in passato già Avanguardia nazionale e Ordine nuovo sono stati sciolti e la strada indicata dalle mozioni era percorribile.
Tra citazioni pasoliniane «del fascismo degli antifascisti», e richieste di libertà da parte della destra, Massimo Mallegni di Forza Italia ha detto anche: «Almeno sappiamo dove sono. Prendere una cosa del genere e cancellarla non significa che spariscono, invece scompaiono dai radar. Sono delinquenti mascalzoni che probabilmente vanno portati in galera». Ad anticipare come sarebbe finito il dibattito ci ha pensato un altro azzurro, Andrea Cangini, che ha replicato al centrosinistra con le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «L’attacco alla Cgil turba ma non preoccupa». Ma poi se l’è presa anche con Fratelli d’Italia: «È sconsiderato evocare la strategia della tensione», frase usata nei giorni scorsi da Meloni. Draghi pur avendo portato la propria solidarietà al segretario della Cgil, Maurizio Landini, finora non ha mai parlato esplicitamente di fascismo.
Dietro le quinte dell’assemblea, riferiscono che il premier abbia preferito mantenersi «equidistante» attendendo altre valutazioni di tipo giuridico. Giovedì 21, salvo imprevisti, il dibattito si svolgerà alla Camera, dove la scena rischia di ripetersi per la seconda volta. Nonostante le parole della capogruppo al Senato Simona Malpezzi: «La difesa dei valori antifascisti è a difesa di una libertà che è patrimonio di tutti, nessuno escluso».
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