«Vogliamo liberare il Paese, vogliamo rovesciare il governo», hanno gridato gli studenti dalle piazze principali d’Italia, durante il No Meloni Day, la manifestazione organizzata da universitari e allievi delle scuole superiori in oltre 35 città, da Padova a Palermo. Passando per Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli, fino a Caltanissetta. Per ribadire che «zittire le giovani generazioni e criminalizzare il dissenso non può essere la prassi. Che non possiamo accettare leggi come il ddl Sicurezza, la riforma del voto in condotta, il decreto Rave, il decreto Caivano.

Liberiamo il Paese da un governo che usa indiscriminatamente repressione e censura su chiunque non la pensi come loro», scrive sui social il sindacato studentesco Rete degli studenti medi che ha lanciato la manifestazione, per il 15 novembre il tutto il Paese, insieme all’Unione degli universitari e le differenti organizzazioni sui territori, come Cambiare Rotta e Osa.

«Perché, per fortuna, ancora esistono strumenti democratici per rovesciare un governo che va contro la Costituzione, come i referendum», sottolinea infatti Paolo Notarnicola, coordinatore della Rete degli studenti medi, dalla testa del corteo di Roma, partito da Ostiense alle 9 del mattino, terminato a pranzo di fronte alla sede ministero dell’Istruzione e del Merito.

Dove alcuni studenti, mentre una nuvola di fumo rosso annebbiava la vista della maggior parte dei presenti, hanno scritto davanti all’ingresso del Mim: «Ministero della guerra», poco prima di intonare il coro, cantato all’unanimità, anche dai passanti che per caso si sono trovati ad attraversare nello stesso momento viale Trastevere, «siamo tutti antifascisti».

Da Bologna a Torino

Nella Capitale, nonostante le idee chiare degli studenti e gli slogan netti contro le politiche del governo Meloni, la manifestazione è stata pacifica: a riempire le strade sono stati soprattutto, la musica, la voglia di condividere gli spazi e pensieri, e le richieste (ignorate) degli studenti di essere ascoltati dagli esponenti della maggioranza.

In altre città, invece, la tensione si è alzata di più: a Bologna ad esempio, dove il clima era già teso dopo gli scontri tra antifascisti e forze dell’ordine di sabato scorso, quando gli studenti al termine della manifestazione hanno dato fuoco al testo della riforma della scuola promossa dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.

O a Torino, dove i manifestanti hanno bruciato un fantoccio con la faccia di Valditara prima di sfondare il cordone della polizia. E una quindicina di agenti dei reparti mobili sono finiti al pronto soccorso perché intossicati dalle esalazioni rilasciate dall’esplosione di un ordigno rudimentale.

«Anche oggi abbiamo assistito a inaccettabili scene di violenza e caos in alcune piazze, ad opera dei soliti facinorosi. Diversi agenti delle Forze dell’Ordine sono finiti al pronto soccorso a causa di ordigni e scontri. La mia totale solidarietà va a tutti gli agenti feriti, con l’augurio di una pronta guarigione. Spero che certa politica smetta di proteggere o giustificare queste violenze e si unisca, senza ambiguità, nella condanna di episodi così gravi e indegni», ha twittato su X la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, poco dopo la fine delle manifestazioni.

«Zecche rosse»

A seguire la premier, anche la maggior parte degli esponenti politici della maggioranza di governo, che hanno detto poco a proposito delle migliaia di studenti scesi in piazza per contestarli, concentrandosi invece sugli scontri con le forze dell’Ordine. Come ha fatto il vicepremier Matteo Salvini che su X ha scritto: «Inutile dire che il governo non si farà intimidire, ma è desolante pensare che qualche parlamentare o opinionista radical chic si scandalizzerà perché definisco i facinorosi comunisti “zecche rosse” anziché preoccuparsi dell’aggressione sistematica alle donne e agli uomini in divisa ai quali va la mia totale solidarietà».

O, come ha twittato anche il ministro dell’Istruzione e del merito Valditara – «E sarebbero questi gli interlocutori democratici? La scuola italiana non ha bisogno di replicanti degli estremisti degli anni ’70» – preferendo postare il suo commento sui social invece di aprire un dialogo con la delegazione di studenti che, speranzosa, attendeva, sotto il Mim, di essere ricevuta: «Ancora una volta il ministero si dimostra disinteressato ad ascoltare la voce dei giovani che oggi hanno riempito le piazze di tutto il Paese. Servirebbe, invece, ascoltare le associazioni studentesche, garantendoci uno spazio di discussione, un confronto reale sui temi che ci riguardano», spiega, infatti, Paolo Notarnicola.

Mentre il coordinatore nazionale dell’Udu, Tommaso Martelli, per niente sorpreso dal rifiuto di Valditara, aggiunge: «È più di un anno che il ministro non convoca il Forum delle associazioni studentesche più rappresentative. Sono anni che chiediamo tavoli di discussione permanenti con le istituzioni. Questa notizia non ci stupisce, in quanto è perfettamente in linea con la disintermediazione e la repressione imposta da Valditara».

Solidarietà e vicinanza agli agenti delle forze dell’ordine sono arrivate anche dalla segretaria del Pd Elly Schlein che per rispondere alla premier Meloni sottolinea: «La violenza è intollerabile, così come la strumentalizzazione politica della violenza che non dovrebbe fare nessuno, in particolar modo chi ha responsabilità di governo».

© Riproduzione riservata