Vincenzo De Luca ha potuto raccontare la favola della Campania “Covid-free” fino a quando il virus si è tenuto lontano dalla regione. Ora la bolla mediatica sta scoppiando
- Alla fine del lockdown, la Campania registrava un bassissimo numero di contagiati e di morti, ma anche il più basso numero di tamponi rispetto alle altre regioni.
- Ora il Coronavirus si è ripresentato in Campania senza nessun riguardo per il suo presidente, evidenziando quello che prima era stato tenuto coperto. De Luca ha risposto chiedendo la zona rossa, ma non si aspettava le contestazioni in piazza.
- Così ha cambiato di nuovo narrativa e ora plaude alla zona gialla, cioè la fascia meno preoccupante tra le tre previste.
Se la Campania è ancora collocata in zona gialla vuol dire che qualcosa non va o nella veridicità dei dati trasmessi dalla regione o nella validità dei 21 criteri definiti dal Comitato tecnico scientifico e dal ministero della Salute. Da qui non si scappa: o c’è una possibilità di manipolazione dei dati o un’inefficienza dei criteri. Oppure tutte e due le cose insieme.
A Maggio, alla fine del lockdown, la Campania registrava un bassissimo numero di contagiati e di morti, al punto che il presidente Vincenzo De Luca aveva dichiarato il territorio campano “Covid-free” e invitato turisti italiani e stranieri a venirci a trascorrere le vacanze in totale serenità.
Naturalmente si era attribuito il merito di aver salvato la propria regione con decisioni illuminanti e provvedimenti efficaci. E aveva parlato di un lavoro «titanico» per fare fronte alle insidie del Covid-19. Questo umile giudizio su se stesso era stato fatto proprio dal segretario del Pd Nicola Zingaretti che addirittura lo aveva definito «gigante contro la pandemia».
Sta di fatto che in Campania si è adottato il più alto numero di decreti da parte del suo presidente rispetto a tutte le altre regioni italiane, e secondo una stima dell’Autorità di vigilanza sulla corruzione è stata spesa qui la più alta cifra in rapporto al numero di ammalati: ben 337 milioni e mezzo di euro, cioè 76.000 euro per ogni contagiato. E le sue trasmissioni sul web avevano raggiunto un numero impressionante di visioni: era riuscito a trasformare un’ emergenza sanitaria in uno spettacolo.
L’unica cosa su cui si era stati parsimoniosi riguardava il numero di tamponi effettuati: a maggio erano i più bassi tra tutte le regioni. Anzi il presidente aveva sbeffeggiato coloro che ne chiedevano un maggiore utilizzo, parlando di «tamponite», cioè di una stupida ossessione del mondo scientifico italiano e internazionale di fare più tamponi.
Ma l’avversione per uno screening di massa era spiegabile più facilmente guardando alle imminenti elezioni regionali. Il basso numero di tamponi rassicurava l’opinione pubblica di una situazione sanitaria sotto controllo: i cittadini erano in buone mani. Le mani del presidente, naturalmente, che da questa immagine di zio burbero, aggressivo (e volgare) aveva tratto un grande giovamento. Infatti è stato rieletto con grandi consensi.
Ma qualcosa non ha funzionato. Appena dopo l’estate e dopo le elezioni, il Coronavirus si è ripresentato in Campania senza nessun riguardo per il suo presidente, evidenziando quello che prima era stato tenuto coperto. E da quel momento in poi De Luca è andato in tilt, come se avesse perso il bandolo della matassa e non fosse più in grado di governare la rappresentazione di se stesso e della sanità campana che aveva orchestrato con grande abilità.
È un caso clamoroso che conferma un dato che tutti gli specialisti della pubblicità conoscono bene: quando ciò che si pubblicizza è così lontano dalla verità, o si prova ad avvicinare il prodotto alle qualità sbandierate o l’effetto boomerang è devastante. E come si poteva trasformare uno dei più inefficienti e clientelari sistemi sanitari nel più efficiente modello di cura in Italia, pari solo alla Svezia? Il brutto anatroccolo diventa principe solo nelle favole. E lui ha potuto raccontare una favola fino a quando il virus si è tenuto lontano dalla Campania.
Naturalmente l’uomo ha reagito utilizzando i registri dell’apocalisse alle porte, prendendosela con il governo nazionale fatto da «pusillanimi» che non «hanno il coraggio di decidere», chiedendo il lockdown totale della Campania, anzi anticipando la chiusura di tutte le scuole e il fermo dei bar e dei ristoranti alle 23. Ma ha provocato una reazione che non si aspettava sia nei genitori sia dei negozianti. Un caso da manuale di come si possa scatenare una rivolta sociale di massa per una smodata voglia di comunicare a tutti i costi l’immagine di “uomo forte e deciso”. E allora ecco un altro cambio di strategia, al punto di smentire se stesso: colui che chiedeva una zona super rossa e pretendeva tutti i cittadini campani chiusi in casa con la forza, plaude alla zona gialla, cioè la fascia meno preoccupante tra le tre previste.
Se il 30 ottobre aveva dichiarato «Siamo a un passo dalla tragedia, pronti a chiudere tutto in tempi brevissimi», eccolo ora dichiarare: «Ci siamo meritati la zona gialla, la Campania ha fatto un miracolo, non abbiamo nessuna emergenza sanitaria». Un vero e proprio sdoppiamento: da un lato una realtà sanitaria fuori controllo evidenziata dai media dall’ordine dei medici, dal consigliere del ministro della salute Walter Ricciardi (“la Campania andava chiusa da almeno due settimane”) dall’altra la classificazione usata come rassicurazione. Allora, se ha ragione Ricciardi, la Campania va dichiarata zona rossa immediatamente; se ha torto va allontanato dal ruolo che occupa.
La Campania sta pagando un prezzo alto per una bolla mediatica che sta adesso esplodendo. E’ grave che il governo centrale non riesca a fermare questa pantomima, ovvero un caso classico di “chiacchiere e distintivo”, cioè di un uomo delle istituzioni che agisce solo da uomo di potere e di propaganda.
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