Un giornalista accusato di diffamazione (nonostante i fatti scritti fossero veri) è stato prosciolto dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa e il pm ha indagato il querelante per calunnia. Il querelante è stato condannato a a un anno e quattro mesi di reclusione con pena sospesa e al risarcimento danni da quantificare in sede civile, con provvisionale di 10 mila euro
Timidamente, la giustizia italiana inizia a formare una giurisprudenza di merito contro le cosiddette querele temerarie contro i giornalisti. Ovvero, le querele infondate ma presentate con lo scopo di intimorire la stampa e inibirne il lavoro di inchiesta.
Come ha segnalato il sito di informazione “Reporter senza bavaglio”, il tribunale di Spoleto ha condannato l’ex membro del consiglio di amministrazione della Banca popolare di Spoleto, Leodino Galli, a un anno e quattro mesi di reclusione con pena sospesa e al risarcimento danni da quantificare in sede civile, con provvisionale di 10 mila euro e a 5mila euro ciascuno di danni per l’Ordine dei Giornalisti e per la Federazione nazionale stampa italiana e Associazione stampa umbra. Galli, infatti, aveva querelato un giornalista per una inchiesta sul suo conto, accusandolo di diffamazione a mezzo stampa.
Il giudice ha assolto il giornalista, riscontrando che aveva scritto il vero e il querelante è stato indagato e poi condannato per calunnia.
Come hanno detto gli avvocati delle parti civili, quella di Spoleto è «una sentenza storica», perchè è il primo caso in cui un’azione penale viene avviata su iniziativa della procura a carico di un querelante che ha presentato querela temeraria.
La vicenda
La vicenda giudiziaria è iniziata nel 2017, quando il consigliere ha querelato il giornalista Carlo Ceraso, del quotidiano online umbro Tuttoggi, ritenendosi diffamato dalla pubblicazione di un’inchiesta che ne ripercorreva i vent’anni nel cda della banca, nei suoi alti e bassi finanziari a partire dal fallimento della Banca Popolare Spoleto.
L’indagine ha riconosciuto la correttezza del lavoro giornalistico di Ceraso, che ha scritto fatti veri e altri già noti e verificati, e il processo si è concluso con il proscioglimento su richiesta della procura.
Il pm che ha seguito il caso, però, ha deciso di prendere una ulteriore iniziativa: ritenendo che la querela del consigliere fosse temeraria e pretestuosa, ha aperto d’ufficio un’indagine a suo carico, ipotizzando il reato di calunnia e ottenendo il rinvio a giudizio perchè Galli ha incolpato il giornalista di diffamazione a mezzo stampa «sapendolo innocente». Il processo di primo grado si è concluso il 25 febbraio con la condanna del querelante temerario e, come ha specificato “Reporter senza bavaglio” che segue da vicino i casi giudiziari che riguardano i giornalisti, «è il primo caso in cui la querela temeraria si ritorce contro chi l’ha presentata».
La sentenza, le cui motivazioni dovrebbero venire depositate nelle prossime settimane, è un’apripista per la giurisprudenza in materia, perchè applica il reato di calunnia, che è procedibile d’ufficio, a carico di chi accusa un giornalista di diffamazione, pur sapendo che quello che è stato scritto è vero.
La riforma
L’attuale maggioranza è intenzionata a riformare con un ddl la materia della diffamazione a mezzo stampa, modificando sia il codice penale che la legge sulla stampa del 1948.
Nel testo presentato da Fratelli d’Italia, viene escluso il carcere per i giornalisti ma alzata in modo sensibile la pena pecuniaria in caso di condanna: da 5mila euro in caso di diffamazione a mezzo stampa, da 10mila a 50mila in caso di attribuzione di un fatto specifico.
Nessuna previsione, invece, per difendere i giornalisti dalle querele temerarie. Solo un’aggiunta all’articolo 427 del codice di procedura civile, prevedendo che il querelante che abbia agito con «colpa grave» risarcisca i danni e paghi anche una somma da 2 mila a 10 mila euro alla cassa delle ammende.
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