Giorgia Meloni è diretta al cimitero di Arlington, in Virginia, per completare la due giorni americana quando arriva la notizia: la Commissione europea, come da attese, ha dato il via libera alla terza rata del Pnrr e accolto le relative proposte di modifica, che posticipano una parte dei fondi- circa 500 milioni - sulla quarta rata.

La premier si è detta «molto soddisfatta» e lo ha definito «un grande risultato frutto dell'intenso lavoro portato avanti in questi mesi e dalla forte sinergia del governo con la Commissione europea». Soddisfazione anche da parete del ministro Raffaele Fitto, che ha la delega al Pnrr e ha ricordato che la terza rata e le modifiche «consentiranno all'Italia di ricevere entro quest'anno il totale di 35 miliardi di euro». 

In realtà, l’erogazione è arrivata in ritardo rispetto ai tempi previsti: fine del periodo di valutazione per la rata da 18,5 miliardi doveva essere il 30 aprile, invece si è dovuto attendere fino alla fine di luglio perchè arrivasse il nulla osta di Bruxelles. Per il commissario europeo all'Economia, Paolo Gentiloni, «oggi compiamo due importanti passi avanti con l'attuazione del piano di ripresa e resilienza dell'Italia», che è «una straordinaria opportunità» per il paese. 

Se il nuovo bonifico ottenuto dall’Europa fa tirare un sospiro di sollievo al governo prima della pausa estiva, la sfida del Pnrr è però ancora aperta. La revisione del Piano, infatti, è ancora aperta e richiederà un lungo lavoro che nei giorni scorsi è stato annunciato dalla Cabina di regia di palazzo Chigi. La proposta di revisione è stata presentata da Fitto, insieme al nuovo capitolo sull’energia del RePowerEu, e prevede la «rimodulazione» di 16 miliardi, che verranno cancellati dal Pnrr per essere chiesti e ridistribuiti su altri fondi europei.

Da Roma ad Aosta, però, i comuni hanno mostrato preoccupazione e nervosismo rispetto a questa proposta. Il timore delle amministrazioni locali, che avevano già iniziato a impegnare i fondi europei a loro destinati, è che i progetti in avvio debbano essere stralciati e non ci siano poi sufficienti risorse negli altri progetti per finanziarli. Come già ha chiesto il presidente dell’Anci Antonio Decaro, molte amministrazioni locali si sono mosse per mettere pressione all’esecutivo e chiedere la certezza che tutte le opere vengano finanziate in ogni caso, con fondi europei diversi dal Pnrr o con risorse nazionali. In particolare il territori Sud, che sarebbero i più colpiti dal taglio delle risorse del piano. Il deputato e responsabile Sud e Coesione della segreteria nazionale Pd, Marco Sarracino, ha seguito il sindaco di Napoli Gennaro Manfredi nel denunciare che «sono a rischio milioni di euro per progetti che interessano la provincia di Napoli» che «a causa dell'incapacità e della contrarietà della destra, rischiano di bloccarsi o addirittura di andare perduti».

Anche dal Campidoglio sono arrivate richieste di «garanzie», che il governo invece non ha ancora dato. Garanzie «non solo sulla conferma dell'ammontare di risorse già assegnate a Roma, ma anche sul fatto che questo cambiamento non finisca per rallentare il processo di attuazione di importanti progetti già avviati», hanno fatto sapere da palazzo Senatorio. La preoccupazione che filtra dagli uffici di Roberto Gualtieri, del resto, è giustificata dalle sfide che la Capitale ha in agenda: il Giubileo nel 2025, ma anche la possibile aggiudicazione dell’Expo 2030.

Il sostegno Usa

Proprio qualche garanzia in più per portare Expo 2030 a Roma è stato un piccolo successo ottenuto dal viaggio americano di Meloni. Nei suoi colloqui con il presidente Joe Biden, infatti, la premier ha ottenuto l’appoggio di Washington in vista della scelta della prossima sede. «Gli Stati Uniti accolgono con favore la candidatura dell'Italia a ospitare l'Esposizione Universale nel 2030 a Roma, riconoscendo l'opportunità di utilizzare l'Expo come piattaforma inclusiva per trovare soluzioni condivise a sfide comuni», si legge nel comunicato, che sembra essere uno dei tasselli per rinsaldare l’asse italo-americana, anche nell’ottica della chiusura del memorandum via della Seta con la Cona. Ad oggi per Expo l’unico vero competitor è l’Arabia Saudita di Bin Salman e il sostegno degli Usa potrebbe essere determinante nel riportare in Italia l’esposizione universale dopo quella di Milano nel 2015, che è stata un forte trampolino di lancio per lo sviluppo urbano del capoluogo lombardo. La due giorni americana si è conclusa positivamente per Meloni, che ha incassato anche la condivisione di un «intento comune di rafforzare le relazioni con l'Africa sulla base di un partenariato tra pari», che nella definzione italiana sarebbe l’ancora poco dettagliato “piano Mattei”. La prossima tappa sarà il G7 a guida italiana del 2024, che dovrebbe aprire ulteriore spazio alla premier sullo scacchiere internazionale.

 

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