- Sono nato nel 1975, faccio parte della prima generazione che è nata con la televisione commerciale. Sono cresciuto nel mondo che hai creato, Silvio Berlusconi
- Non l’hai fatto apposta? Questo è il tuo mondo. Proprio questo. Questa estate italiana nel nuovo millennio non sembra quella di un reality show infinito?
- Hai cambiato la lingua che parliamo. Le cose non stanno più a significare le cose. Qualunque cosa tu dicessi non si riferiva mai alla cosa in sé, che fossero le tasse, il governo, il terremoto, quello che tu dicevi era sempre un atto. Era indifferente se le tue frasi fossero credibili, sensate, non autocontraddittorie.
Sono un ragazzo, forse da oggi non sono più un ragazzo. Sono nato nel 1975, faccio parte della prima generazione che è nata con la televisione commerciale. Da piccolo sapevo a memoria la frequenza di tutti i canali disponibili in Italia. 21 Tele Montecarlo. 23 Teletuscolo. 24 Italia Uno. 25 Tele Elefante. 26 Autovox. 29 T.R.E. e così via. Avevo avuto il primo accenno di inquietudine sessuale, un accenno di accenno di erezione guardando un pomeriggio una puntata di Goldrake in cui dovevano denudare una bambina per farle una puntura. La prima erezione seria per un film con Anna Maria Rizzoli su Rete4. Avevo tenuto un quaderno in cui mettevo i voti ai programmi tv. Amavo i pomeriggi di Italia Uno, non ho avuto altro amore per molto tempo.
Un giorno forse ho addirittura pensato che Berlusconi mi volesse bene, mi sembrava che stesse dalla mia parte, che nei film di Natale che produceva al cinema al reparto giocattoli della Standa, ci fossero tutti i sogni in cui speravo, mentre dall’altra un mondo così scialbo da non volerlo toccare nemmeno. Amavo Mike Buongiorno da bimbo, non era lui che voleva essere me come pensava Umberto Eco, ero io che volevo essere lui. Magnum P. I, la prima serie dell’A-Team, Ralph Supermaxieroe. Le due ore di cartoni di Ciao ciao su Retequattro e le due ore e mezza di Bim Bum Bam su Italia Uno. Amavo i lunedì mattina a scuola quando facevamo a gara a chi sapeva citare meglio tutte le battute del Drive In della sera prima.
Mio padre per lavoro conosceva gente che lavorava nel cinema, nella televisione, operai soprattutto, tecnici. L’avevo accompagnato una volta a cercare agli studi della Dear Film uno che doveva venire a fare dei lavori a casa nostra. Eravamo entrati lì dentro io mi ero andato a sbirciare gli altri studi di registrazione. Era il giorno che provavano la prima puntata di Drive in. I balletti con le ragazze majorette. Lory Del Santo, Tinì Cansino. E c’eri tu Berlusconi, lì a curiosare, vicino a Corrado. Corrado mi aveva stretto la mano e io gli avevo detto che in televisione sembrava più basso e più grasso e c’eravamo messi tutti a ridere, anche tu. Con quel sorriso da dentista di lusso che nel 1986 potevi permetterti solo tu e oggi è il sorriso di tutti.
Il nostro cinismo
E poi? Sono cresciuto, Berlusconi, sono diventato, come tutti, un esile ragazzo con la battuta pronta e le insicurezze nascoste, ho sviluppato quell’atteggiamento tipico di affezione e ironia miste insieme, come quando a 14 anni mandi a fanculo tuo padre ma intanto continui a desiderare febbrilmente il suo interesse, a implorare le sue conferme. Ho cominciato a essere uno di quei ragazzini colti, disinibiti, con la parlantina facile, la curiosità per il mondo, una gran capacità di fare associazioni mentali, che si mette davanti alla televisione con i piedi sul tavolino e con altri suoi pari coetanei e intelligenti passa le ore a fare battute sagaci su quanto sia una merda per cervelli lessi tutto quello che passa in tv.
L’appuntamento del divertimento quotidiano ero io col mio migliore amico d’allora Giuseppe. Dopo pranzo, quando prima di studiare ci guardavamo un’ora e mezza di Non è la Rai, per sfottere la demenza del mondo contemporaneo.
Da lassù ti fa ridere tutto questo, Silvio? Ti viene da ridere se ti racconto della volta in cui io sempre con Giuseppe siamo andati al centro Palatino? All’entrata delle ragazzine di Non è la Rai: quindicenni, sedicenni sicure di sé che nel novanta per cento dei casi sarebbero diventate delle bambine implose. I ragazzini, che stavano lì davanti al Centro Palatino, erano adolescenti sfigati, brufolosi, allampanati o grassocci, famelici, incattiviti direi, che venivano dai paesini sperduti della provincia italiana, magari accompagnati dai genitori, sotto il sole, all’ora di pranzo, a giugno, e avevano in mano quadernoni enormi ad anelli con tutte le foto autografate delle ragazze di Non è la Rai.
Ero diverso da loro? Ero là, con ancora meno motivi, a giustificare le mie mattinate sprecate, l’intera gioventù, col mio essere sociologico rispetto alle cose. Siamo diventati gli osservatori critici della realtà; abbiamo chiamato questo cinismo soffice antiberlusconismo, alle volte persino sinistra. Come se la realtà si potesse mettere in discussione senza riconoscere quanto eravamo composti di quella stessa materia.
Reality show infinito
Berlusconi Silvio nato nel 1936, padre bancario, madre casalinga, italiano tipico, intraprendente, disinvolto, sfrontato, lo riconosci? Quello che lasci è il tuo mondo. Eccolo. Il mondo che hai creato. Non l’hai fatto apposta? Questo è il tuo mondo. Proprio questo. Questa estate italiana nel nuovo millennio non sembra quella di un reality show infinito? Le cose che ci diciamo non avrebbe bisogno di qualche interruzione pubblicitaria per prendere un po’ di ritmo? Mitsubishi mi stupisci, non era questo il tuo slogan preferito?, l’ho letto in un’intervista. Il mio era “Rowenta, per chi non si accontenta”.
Persino la malattia e la morte sembrano risucchiate dagli schermi: dirette o differite, che differenza fa? Avere un corpo o non averlo, che differenza fa? All’università fa volevo avere un corpo senz’organi, un corpo fluttuante, croneneberghiano. Sembrava che la virtualità ci potesse rendere liberi e felici a un certo punto? Ho studiato Mezzi di comunicazione all’università. Critica ai media. Mi sono interessato spasmodicamente a quello che tu decidevi facevi professavi. «L’industria televisiva italiana – la seconda al mondo dopo gli Stati Uniti – 6500 miliardi nel 1992 – un’industria però minata dall’incapacità di investimento e produzione – la maggior parte dei programmi trasmessi sono d’importazione, telefilm, format, cartoni animati…», anche questa era una frase di una tua intervista. Pensavamo le stesse cose: che differenza c’era tra l’odio e l’amore?
Ho preso 30 e lode all’esame di Storia dei media italiani. Io mi metto qui e te ne do atto, lo riconosco. Lo dicono i libri. Sei stato l’unico capace di creare un modello sociale in cui identificarsi, l’unico esempio di intrattenimento popolare, di arte per il popolo in questo paese, l’unico modo in cui poter condividere qualcosa. La morte di Carlo Giuliani, mentre tu eri il presidente del Consiglio, trasmessa dalle tue tv. Eluana nel suo letto d’ospedale, il tuo partito che usava il parlamento per prolungare la nonvita. «Eluana ha il ciclo, potrebbe ancora generare un figlio». È stato sempre così da trent’anni a questa parte, cambierà qualcosa? Devo essere sincero, io c’ho creduto per anni che il mondo fosse Cologno Monzese. Adesso ci credono tutti quelli che abitano a Milano.
E adesso? Me li ricordo i miei migliori amici ridere a dieci anni con Greggio e il suo cagnetto Asfidanken, e passare le loro notti a sognarsi le tette della Folliero, i miei parenti a discutere dei problemi famigliari secondo l’ordine del giorno dettato da Amici, e poi ero nelle piazze a sentire chi urlava indignato per il tuo lifting, o perché indossavi il bandana, perché ancora insultavi i comunisti e ti piaceva leccare la fica giovane o giravi con un cagnolino orripilante. Che cosa ha senso? Che cosa desideri veramente Berlusconi? E io, cosa potrò desiderare da oggi in poi, io?
La post verità
Hai cambiato la lingua che parliamo. Le cose non stanno più a significare le cose. Qualunque cosa tu dicessi non si riferiva mai alla cosa in sé, che fossero le tasse, il governo, il terremoto, quello che tu dicevi era sempre un atto. L’aveva previsto John Austin nel suo How to do things with words, tu l’hai realizzato. Era indifferente se le tue frasi fossero credibili, sensate, non autocontraddittorie. Il senso di ciò che dicevi era sempre nell’effetto che quelle frasi producevano. Potevi permetterti di dichiarare un giorno una cosa e smentirla senza troppe remore il giorno successivo. Le tue affermazioni non devono passare il vaglio della coerenza logica o morale.
Oggi lo fanno tutti, persino i Crosetti, ma chi l’ha inventata questa faccenda della post verità? Te lo ricordi quella storia che dicevi che avresti sconfitto il cancro in tre anni? Quanta gente c’ha creduto, soffrendo nel suo letto d’ospedale. Non c’hai creduto anche tu fino alla fine?
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