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Cgil, Cisl e Uil organizzano un maggio di manifestazioni, si parte sabato a Bologna, anche con Pd e M5s. Poi tocca a Milano e Napoli.
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Nel provvedimento sul lavoro il governo gioca di prestigio, nascondendo la mancanza di risorse da investire.
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L’unità sindacale è fragile, però, con una Cisl più aperturista che chiede «dialogo» con il governo e plaude al taglio del cuneo fiscale e Cgil e Uil su posizioni più barricadere.
La prima festa del lavoro sotto il governo Meloni ha prodotto l’annuncio della protesta unitaria di Cgil, Cisl e Uil. Le tre sigle sindacali hanno annunciato che scenderanno in piazza insieme per tre manifestazioni interregionali: si comincia a Bologna questo fine settimana per radunare le regioni del centro, poi a Milano il 13 maggio per mobilitare il nord e si finisce il 20 a Napoli con quelle del sud. Tre sabati in cui riempire altrettante piazze contro le misure del governo in tema di lavoro, a cui ha già aderito il Pd di Elly Schlein e ci sarà anche il Movimento 5 stelle in una prova di mobilitazione comune.
Nessuna mossa
Del resto, la premier non ha fatto nulla per tendere la mano ai sindacati e anzi ha approfittato del primo maggio per catalizzare l’attenzione sul suo governo. Mentre a Roma si svolgeva lo storico “concertone” di piazza San Giovanni, il consiglio dei ministri si è riunito appositamente per approvare un provvedimento sul lavoro che Meloni ha definito «il più importante taglio delle tasse degli ultimi decenni», corredato da un video per i social ma nessuna conferenza stampa.
Lo scontro con i sindacati era solo questione di tempo in una gara tra reciproche incomprensioni tra esecutivo e sindacati, culminata proprio con questo dl. I tre segretari, infatti, lo hanno potuto discutere con palazzo Chigi solo poco prima dell’approvazione in una riunione lampo di appena un’ora e in una versione che era già di fatto quella definitiva.
Il risultato di questo approccio unilaterale, quindi, non poteva che essere quello della piazza. Non uno sciopero generale, ma una forma intermedia che dovrebbe risvegliare anche l’opposizione. Proprio questo sarà uno degli obiettivi, infatti: dar vita a una mobilitazione che contrasti il governo non solo sul tema del lavoro, ma anche delle pensioni e del fisco.
«Il fronte comune dei sindacati regge di fronte all’atteggiamento unilaterale del governo e ha una unità d’azione. Anche per smascherare l’operazione di marketing di Meloni per coprire il fatto che il governo non ha risorse da investire», è il ragionamento dell’ex ministro del Lavoro del governo Prodi e sindacalista Cgil, Cesare Damiano. L’unità sindacale è fragile, però, con una Cisl più aperturista che chiede «dialogo» con il governo e plaude al taglio del cuneo fiscale e Cgil e Uil su posizioni più barricadere.
La strategia di Meloni
Proprio in questo non perfetto allineamento Meloni potrebbe inserire il suo cuneo, aprendo un dialogo diretto con il sindacato di orientamento cattolico e tentando di rompere il fronte unito. Del resto, nei meandri del decreto, c’è anche il rifinanziamento dei centri di assistenza fiscale gestiti dai sindacati per 30 milioni di euro, essenziali per il sostentamento delle organizzazioni.
L’alternativa più probabile, però, è quella del muro contro muro in una polarizzazione in stile francese, dove proprio in questi mesi si è assistito all’escalation dello scontro sulla riforma delle pensioni tra sigle sindacali e il presidente Emmanuel Macron. Il vero problema del governo Meloni, infatti, è che soldi da investire non ce ne sono più, visto che 4 miliardi sono stati investiti per il taglio del cuneo fiscale di quest’anno e altrettanti sarebbero ipotecati per l’anno prossimo. Dunque, anche ammesso di voler aprire al dialogo coi sindacati, mancano le risorse da mettere sul piatto. Di conseguenza, politicamente è più pagante lo scontro diretto con i sindacati anche nell’ottica di quella polarizzazione che è tra le armi più efficaci di Meloni.
Al netto della propaganda video, infatti, «il più grande taglio delle tasse» è stato ottenuto con un gioco di prestigio di numeri: l’aumento in busta paga per i lavoratori con redditi medio-bassi è sì di 100 euro, ma solo se lo si calcola negli ultimi sei mesi dell’anno, da luglio a dicembre 2023 e non da aprile. Invece i tavoli promossi dalla ministra del Lavoro Marina Calderone stagnano: il più determinante è quello sulle pensioni ed è già slittato a settembre, segno che il tema tanto caro a Lega e Forza Italia non verrà toccato. Proprio questo sarà un problema in più per Matteo Salvini, che è già al terzo governo in cui promette ai suoi elettori la cancellazione della legge Fornero senza concretizzarla.
L’attesa, dunque, è per sabato a Bologna, dove Cgil, Cisl e Uil però si scontreranno coi loro demoni: la capacità di mobilitare lavoratori e non solo apparati sindacali e pensionati e il recupero di centralità nel dibattito politico. Schlein sarà con il segretario Maurizio Landini anche oggi a Firenze, per il convegno Filmcams Cigl. Il 6 maggio darà il suo contributo anche Giuseppe Conte, e chissà se la primavera di protesta sindacale non faccia fiorire anche qualcosa di più.
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