- Nel report dell’Autorità dell’energia, reti e ambiente (Arera) che sarà presentato al parlamento il 15 luglio ci sarà un dato: a livello nazionale il 40,7 per cento dell’acqua che passa dagli acquedotti viene dispersa.
- Andrea Guerrini, commissario Arera, racconta che la situazione è molto diversificata: «In alcune aree del sud, quelle senza gestore, le perdite potrebbero essere anche il doppio della media nazionale. A oggi non esistono dati certificati al riguardo».
- Le bollette sono già elevate e il governo conta di investire intorno ai 3 miliardi. Ma «noi stimammo nel 2020 che per la penisola questi fabbisogni ammontavano a 10 miliardi solo per la parte degli acquedotti. Se si aggiungono anche fognature e depuratori arriviamo a 30 miliardi».
L’Italia ha sete per la siccità, ma i tubi perdono acqua da tutte le parti e gli investimenti non bastano. Nel report dell’Autorità di regolazione per l’energia, reti e ambiente (Arera) che sarà presentato al parlamento il 15 luglio ci sarà un dato: a livello nazionale il 40,7 per cento dell’acqua che passa dagli acquedotti viene dispersa. A questo bisogna aggiungere, racconta il commissario dell’Arera, Andrea Guerrini, che la situazione è molto diversificata: «In alcune aree del sud, quelle senza gestore, le perdite potrebbero essere anche il doppio della media nazionale. A oggi non esistono dati certificati al riguardo».
I dati sui tubi
L’Arera ha presentato per la prima volta il 15 giugno gli esiti dell’analisi relativa al meccanismo incentivante della qualità tecnica per il biennio 2018-2019. Un’insieme di dati che ha dato il quadro dei gestori in funzione del raggiungimento o meno degli obiettivi, tra cui appunto il contenimento delle perdite. Il risultato è che in Italia nessuna regione, nemmeno una tra le più virtuose come l’Emilia Romagna, ha il quadro del tutto limpido, visto che ad esempio l’area di Piacenza, lì dove Enel ha dovuto spegnere la prima centrale idroelettrica per la secca del Po, risulta esclusa dal meccanismo.
Le motivazioni possono essere le più disparate, dalla mancanza dei dati a problemi di requisiti, fino a errori nella presentazione delle richieste. A quanto si legge nella presentazione di Elena Gallo, vice direttrice per i Sistemi Idrici di Arera, nella regione solo il 36 per cento delle gestioni ha raggiunto gli obiettivi di contenimento.
L’ultima ricognizione delle infrastrutture italiane nel 2019 ha registrato un valore delle perdite idriche lineari pari a 22 mc/km/gg (metri cubi per chilometro al giorno), in calo di meno di due punti percentuali rispetto al 2018 (oltre il 43 per cento). Guerrini dà una lettura tutto sommato positiva: «Il dato indica che almeno c’è stata un’inversione di rotta grazie ai primi investimenti».
L’analisi ha riportato che per periodo 2020-2023 sono previsti 15,6 miliardi di investimenti a livello nazionale. Complessivamente le risorse destinate agli interventi per il miglioramento delle perdite sono il 21 per cento del totale del campione per il quadriennio 2020-2023. Subito dopo, quelli per il miglioramento della qualità dell’acqua depurata e per l’adeguamento del sistema fognario (in particolare nell’ottica di minimizzare gli allagamenti e sversamenti da fognatura), che si attestano rispettivamente al 16,6 per cento e al 15 per cento, mentre cresce l’incidenza degli interventi per ridurre le interruzioni idriche che arriva al 14,5 per cento del fabbisogno totale. Il problema è che secondo le stime di Arera servirebbe almeno il doppio.
Il Nord e il Sud
Già su queste pagine segnalavamo alla fine del 2020 che la situazione dei tubi è drammatica. Le infrastrutture sono vecchie, il 25 per cento ha più di 50 anni, e non sono preparate a reggere gli sbalzi dovuti a improvvise siccità e alluvioni prodotte dalla crisi climatica. A oggi però «abbiamo già una spesa annua di 320 euro a famiglia, e pensare di raddoppiare la bolletta dei cittadini in questo momento storico è impossibile», prosegue il commissario Arera.
Di fronte alla crisi permanente, il 30 luglio dell’anno scorso, l’Arera ha inviato al parlamento una segnalazione chiedendo di intervenire a livello normativo per superare almeno le criticità gestionali, in particolare nelle regioni meridionali, anche alla luce delle opportunità e dei target fissati nel Pnrr.
Nel paese, scrivevano, esiste un “Water Service Divide”: a fronte di una ampia area, collocata in prevalenza al Nord e al Centro, in cui i servizi, gli investimenti, l'attività legislativa, il funzionamento degli enti di governo dell'ambito e le capacità gestionali degli operatori tutto sommato andavano bene, nel Sud e nelle Isole, ci sono troppe inefficienze. In Sicilia solo il 17 per cento delle gestioni ha raggiunto l’obiettivo di contenimento delle perdite.
Il servizio in alcune aree del paese, come Molise e Calabria, nonché la parte maggioritaria degli ambiti territoriali di Campania e Sicilia, ad oggi non è stato nemmeno affidato. Al momento cioè accade che invece di essere gestiti a livello territoriale da imprese a conduzione pubblica o privata (molto spesso dove accade, è mista), i tubi ricadono direttamente sui comuni: «Che in molti casi però non hanno le competenze tecniche di gestione».
Sul fronte economico, nonostante il Pnrr inviato alla Commissione Europea evidenzi come «nel Mezzogiorno l'insufficiente presenza di gestori industriali e l'ampia quota di gestione in economia, traccia un quadro del comparto idrico molto frammentato e complesso» e nonostante la dispersione idrica sia a percentuali altissime in tutta la penisola, le risorse stanziate sul sistema idrico attualmente «sono intorno ai 3 miliardi. Noi stimammo nel 2020 che per la penisola questi fabbisogni ammontavano a 10 miliardi solo per la parte degli acquedotti. Se si aggiungono anche fognature e depuratori arriviamo a 30 miliardi».
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