Nel Mezzogiorno FdI è dietro al Pd e l’opposizione unita supera le destre. La causa principale sono le misure antimeridionaliste del governo
L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà, scrisse Giuseppe Mazzini. E in effetti il Sud sembra uno specchio cosmetico dell’Italia, da cui si vedono più chiari i caratteri di quel che può essere, nel male o nel bene: di dove il governo delle destre sta portando il paese, di quale sia la strada per un’alternativa vincente.
Qui, alle elezioni europee, le forze di maggioranza sono state sonoramente sconfitte: insieme hanno raggiunto, nella circoscrizione meridionale, il 41,2 per cento, cinque punti e mezzo sotto Pd, Avs e Cinque stelle (46,8 per cento); in nessun’altra circoscrizione le tre principali forze di opposizione sono in vantaggio, anche senza i centristi, e per giunta netto.
Qui inoltre, e solo qui, il Pd di Elly Schlein si è affermato come primo partito, battendo Fratelli d’Italia e ribaltando il risultato delle politiche del 2022 (quando finì terzo). Qui, però, anche l’astensione è stata altissima, quasi il 60 per cento.
Governo antimeridionale
Che cosa è successo? Il governo Meloni è uno dei più antimeridionali della storia d’Italia. E i cittadini del Sud se ne sono accorti. Hanno ormai capito, innanzitutto, che l’autonomia differenziata sarà un colpo mortale per il Mezzogiorno.
Senza risorse aggiuntive (che non ci sono, né potranno esserci), nelle regioni meridionali mancheranno presto i soldi per i servizi essenziali ai cittadini, dai diritti fondamentali (scuola, sanità) al funzionamento dell’amministrazione, della giustizia, al mantenimento delle infrastrutture.
In tutte queste dimensioni il Sud è già in condizioni drammatiche e avrebbe bisogno di una politica nazionale in grado a un tempo di riformare e investire, di programmare e incentivare. Questo, peraltro, è quello che si era cominciato a fare con il governo giallo-rosso e poi con il governo Draghi, e con l’aiuto dell’Europa (e il Sud iniziava a mostrare, non a caso, segni di ripresa).
Ma questo è quello che il governo Meloni sta scientificamente smantellando, sin da quando si è insediato: con la riprogrammazione del Pnrr, che ha tolto risorse soprattutto al Sud con l’argomento che qui i progetti erano di più difficile realizzazione (ma è proprio qui che ce n’era più bisogno, ed è per questo che l’Europa ci finanziava); con l’abolizione, nei mesi scorsi, della decontribuzione per i dipendenti, avviata dal Conte II e mantenuta da Draghi, che serviva a dare respiro alle imprese, e ai cittadini, mentre venivano realizzate le necessarie opere infrastrutturali (cioè a evitare che lo spopolamento del Sud raggiungesse punti di non ritorno e si vanificassero così anche gli investimenti); e con l’abolizione del Reddito di cittadinanza, che per quanto imperfetto serviva comunque a evitare che le persone fossero costrette ad accettare salari bassissimi.
Il ponte sullo Stretto
Al posto di tutto questo, il governo sventola un progetto faraonico, il ponte sullo Stretto, che oltre che incerto e dispendioso è anche privo di senso economico, fin quando mancheranno al Sud le infrastrutture di trasporto fondamentali per collegare in tempi ragionevoli Reggio Calabria al resto d’Italia, o Messina al resto della Sicilia.
E non c’è solo questo. Nei mesi scorsi il governo ha inscenato una sguaiata campagna per rovesciare, abusando dei suoi poteri in maniera del tutto pretestuosa, uno degli amministratori meridionali più stimati, colpevole solo di essere dell’opposizione: il sindaco di Bari Antonio Decaro.
E ha chiaramente fatto comprendere che i pochi finanziamenti disponibili sarebbero andati solo alle amministrazioni amiche, purché amiche. In entrambi i casi, ha violato i principi fondamentali di ogni democrazia liberale. Tali manovre sono state però pienamente comprese dai cittadini meridionali, e respinte con forza: lo testimoniano il successo di Decaro alle europee e il risultato delle amministrative di Bari.
Unire l’opposizione
Ma il riscatto elettorale è stato possibile anche perché, finalmente, il Sud ha trovato, nei partiti di opposizione, una linea unitaria e coerente contro le politiche che lo danneggiano.
Questo è un insegnamento che dovrebbe valere per l’Italia intera: quando le forze progressiste si uniscono, su grandi obiettivi comuni, a guadagnarci alla fine sono tutte loro, insieme.
Occorre quindi seguire questa strada, senza lasciarsi tentare da alchimie politicistiche o da polemiche miopi. Meglio di tutti lo hanno compreso il Pd di Elly Schlein ma anche Avs: le due forze più unitarie, meno polemiche con gli alleati e molto attente, invece, a contrastare le destre sui temi concreti e anche su un’idea radicalmente alternativa dell’Italia e dell’Europa; e che infatti sono state quelle più premiate.
Il Sud quindi indica la strada? Eppure, allo stesso tempo, proprio il Sud mostra come questa strada sia ancora lunga e accidentata. Di fronte a scelte del governo così smaccatamente antimeridionali, e arroganti, a prevalere nei cittadini meridionali è ancora, soprattutto, la sfiducia: lo segnala l’altissima astensione.
Molti, ormai, hanno semplicemente perso la speranza che la politica serva a qualcosa. Anche in questo il Sud amplifica un trend nazionale: l’astensione è in aumento ovunque, anche al Nord, e non soltanto alle europee, anche alle amministrative. Riguarda specialmente i cittadini che sono in maggiore difficoltà.
Se le forze di opposizione vogliono tornare a vincere, anche a livello nazionale, devono preoccuparsi innanzitutto di questo: devono mettere su una proposta coerente che sappia entusiasmare, che faccia rinascere la speranza. La speranza di poter cambiare. A ben vedere, è questa la sfida decisiva non solo del Sud e dell’Italia, ma dell’Europa. È il terreno su cui si gioca il futuro della democrazia.
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