Si parla della svolta europeista di Salvini. Ma, al di là degli entusiasmi, le sue posizioni in materia di immigrazione restano quelle di sempre
- Si parla della svolta europeista di Salvini. Ma, al di là degli entusiasmi, le sue posizioni in materia di immigrazione restano quelle di sempre: difesa dei confini e rimpatri.
- Tra gli Stati dell’Unione Europea c’è intesa su cooperazione con i Paesi di origine e transito dei flussi dei migranti e su misure per il controllo e la gestione delle frontiere esterne dell’Unione, mentre restano i contrasti sull’obbligo di redistribuzione pro quota.
- Sulle misure in atto Salvini non può che concordare. Ma non potrà dirsi che abbia fatto una vera svolta a favore delle politiche UE, fino a quando la UE non farà una vera svolta sull’immigrazione.
Molte osservazioni sono state formulate sulla cosiddetta svolta europeista di Matteo Salvini: da quelle più convinte circa un effettivo cambio di rotta a quelle più inclini a reputarla questione di opportunismo.
E in materia di immigrazione? All’uscita dalle consultazioni con Draghi, Salvini ha detto: «Sul tema immigrazione proporremo l’adozione della legislazione europea A noi va bene che l’immigrazione in Italia sia trattata come è trattata in Francia e in Germania». Qualche giorno dopo ha aggiunto: «Firmo qualunque normativa europea. Facciamo come la Spagna, la Francia, la Germania, la Polonia, la Slovenia, l’Ungheria, come chiunque altro controlla i confini». E prima del voto di fiducia al nuovo governo, ha ancora affermato: «L’Europa ci chiede di difendere i confini italiani, che sono confini europei». È una svolta?
Le politiche europee in tema di immigrazione trovano il fulcro nel Regolamento di Dublino. L’atto si fonda su un principio essenziale: il primo paese d’ingresso di un migrante ha la responsabilità di esaminare la sua domanda d’asilo e farsi carico di accoglienza e integrazione. Questo fa sì che i paesi di frontiera debbano occuparsi dell’ospitalità di chi arriva sul loro suolo. A partire dal 2015 si è provato a riformare il Regolamento mediante l’introduzione di meccanismi automatici di redistribuzione dei migranti. Ma gli stati non sono riusciti a trovare un accordo e il tentativo di riforma di Dublino III è fallito.
L’accordo di Malta
Nel settembre 2019 tra alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, è stata stipulata un’intesa circa un sistema di redistribuzione dei migranti, in base a cui l’accoglienza degli stessi, a differenza di quanto previsto dal Regolamento di Dublino, non sarebbe più stata a carico della nazione di primo arrivo, ma di quella che li avesse accolti pro quota.
I porti per lo sbarco dei migranti sarebbero stati messi a disposizione a rotazione dai vari paesi, su base volontaria. Nell’ambito dell’intesa, si era anche parlato dell’intervento dell’Unione europea per la gestione dei rimpatri, previ accordi con i paesi di provenienza. L’intesa non è mai diventata pienamente operativa, non essendo stata condivisa da un ampio numero di paesi, anche se nei mesi scorsi essa è stata talora richiamata dalla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, come la base per il ricollocamento di migranti sbarcati in Italia.
Il patto europeo
Falliti i precedenti tentativi di istituire un sistema condiviso di redistribuzione e accoglienza, nel settembre 2020 la Commissione europea ha presentato un Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo. Il patto si fonda su tre pilastri principali. Il primo è rappresentato dal rafforzamento dei rapporti di cooperazione con i paesi di origine e transito dei flussi e il secondo dalle misure per il controllo e la gestione delle frontiere esterne dell’Unione. In buona sostanza, si tratta di azioni finalizzate, tra l’altro, ad «affrontare le cause profonde della migrazione irregolare» e a «combattere il traffico di migranti», evitando così che questi ultimi partano e raggiungano l’Europa.
Infine, il terzo pilastro è costituito da misure per la distribuzione della gestione dei migranti tra gli stati membri e si basa sul concetto di “solidarietà flessibile volontaria”: agli stati è lasciata la decisione sullo strumento di solidarietà da usare, scegliendo tra ricollocazioni, rimpatri sponsorizzati e supporto operativo.
In altre parole, sarà possibile mostrarsi solidali anche facendosi carico del ritorno del migrante nello stato da cui proviene o con altro tipo di intervento, senza impegnarsi all’accoglienza.
Come chiarito nel rapporto Finanziare il confine: fondi e strategie per fermare l’immigrazione dell’Arci, associazione culturale e di promozione sociale, la Commissione ha mediato tra le posizioni sovraniste e quelle dei paesi frontalieri attraverso un approccio che si può così sintetizzare: «Tenere le persone nei loro paesi».
Infatti, il patto «si concentra per gran parte sulle stesse retoriche pubbliche di sempre: prevenzione degli arrivi dei migranti in Europa, contrasto ai movimenti secondari e rimpatri». Sarà difficile, invece, come lo è stato in passato, una maggiore condivisione trapaesi europei delle responsabilità nella redistribuzione dei migranti.
Questa difficoltà è stata rilevata anche da Mario Draghi, nel discorso alle camere, nel passaggio relativo al Patto europeo. «Si tratta di nuove proposte che non sciolgono lo stallo politico che continua a bloccare l’azione dell’Unione europea specie sulla declinazione del principio di solidarietà.
Permane infatti la contrapposizione tra stati di frontiera esterna, maggiormente esposti ai flussi migratori (Italia, Spagna, Grecia, Malta, in parte Bulgaria) e stati del nord ed est Europa, principalmente preoccupati di evitare i cosiddetti movimenti secondari di migranti dagli Stati di primo ingresso nel loro territorio».
Pertanto, il «meccanismo obbligatorio di redistribuzione dei migranti pro quota», proposto dall’Italia e da alcuni paesi avrà difficoltà ad affermarsi.
Fu vera svolta?
Appare palese il motivo per cui Salvini condivide politiche europee che, per contrastare l’immigrazione irregolare, si concretano in misure finalizzate, da un lato, a garantire sicurezza, chiusura dei confini e rimpatri; dall’altro lato, ad «aiutarli a casa loro», con un’azione di supporto all’economia dei paesi di origine o di transito.Il leader leghista non può che concordare con misure di questo tipo.
Non va dimenticato come l’impianto del secondo Decreto sicurezza si basasse sull’alibi del contrasto all’immigrazione irregolare e al traffico di migranti, con una presunzione di colpevolezza a carico delle navi di salvataggio delle Ong; né come Salvini abbia spesso stigmatizzato le azioni di altri paesi europei circa i cosiddetti “dublinanti”, persone arrivate in Italia e poi passate in Stati confinanti, che possono riportarli nella nazione di primo arrivo, la quale deve farsene carico secondo il Regolamento di Dublino.
Peraltro, il sostegno di Salvini al nuovo governo è reso più agevole dal fatto che nel programma enunciato da Draghi non si faccia cenno a interventi divisivi, ad esempio, lo ius culturae; o che al Viminale sia rimasta la ministra che non ha esitato a lasciare fuori dai porti le navi di soccorso di migranti, in attesa dell’impegno di accoglienza da parte di altri paesi, e che in occasione del citato vertice di Malta elogiò il “lavoro” della guardia costiera libica.
Dunque, fu vera svolta? Se ne dubita molto. Almeno in tema di immigrazione, non potrà dirsi che Salvini abbia fatto una vera svolta a favore delle politiche europee, fino a quando l’Unione non farà una vera svolta sull’immigrazione.
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