In un articolo su Domani del 10 agosto, Gigi Riva segnalava una nuova frontiera, quella dei Pronto soccorso privati che stanno nascendo in Lombardia. Sono bastati la prima Legge di Bilancio e il primo Def dell’era Meloni per capire la strada che il governo pensa di percorrere: tornare al definanziamento del servizio sanitario nazionale e allargare gli spazi per il business privato
Mentre il ministro Schillaci, sicuramente in totale buona fede, afferma di non volere la privatizzazione della sanità, all’ombra della destra il business privato nell’offerta dei servizi sanitari continua a crescere, peraltro spesso assorbendo importanti risorse pubbliche attraverso meccanismi di accreditamento e convenzionamento. Ieri Gigi Riva ci segnalava una nuova frontiera, quella dei Pronto soccorso privati che starebbero nascendo in Lombardia. Per rispondere a quali esigenze? Non certo alle emergenze vere, visto che stiamo parlando di servizi aperti solo di giorno per cinque giorni alla settimana. No, anziché preoccuparsi di superare il sovraccarico di lavoro dei Pronto soccorso negli ospedali, anziché disincentivare il ricorso al Pronto soccorso per i cosiddetti codici bianco e verde, offrendo ai cittadini una vera assistenza territoriale attraverso le Case della Comunità, in Lombardia - la Regione che la destra ritiene indubbiamente il laboratorio più avanzato del suo modello di sanità - si apre il Pronto soccorso a pagamento.
Come se non avessimo imparato nulla dalla tragedia del Covid-19, come se non vedessimo in che modo cambiano i bisogni di cura delle persone e delle comunità. Accanto agli ospedali, alle eccellenze, ai luoghi della cura per le acuzie, divengono sempre più pressanti altre domande, che devono trovare risposta in una rinnovata rete di medicina territoriale.
L’invecchiamento, le cronicità, le disabilità, la non autosufficienza, il disagio mentale e psicologico crescente, l’impatto della crisi ambientale sulla salute animale e umana: tutti questi fattori dovrebbero spingerci semmai a ripensare gli attuali modelli della sanità investendo sempre di più nella prevenzione, nell’educazione sanitaria, nell’appropriatezza delle cure, nella medicina di prossimità, nell’approccio multidisciplinare, nell’integrazione socio-sanitaria. E nel contrasto alle diseguaglianze e alla povertà, materiale e immateriale, che influiscono in modo determinante sullo stato di salute di ogni persona.
Tutti compiti che può svolgere seriamente solo un sistema pubblico universalistico, che si rivolge alla generalità dei cittadini e che viene finanziato dalla fiscalità generale. E qui arriviamo al tasto delle risorse. È bastata la prima Legge di Bilancio e il primo Def dell’era Meloni per capire la strada che il governo pensa di percorrere: tornare al definanziamento del SSN e allargare gli spazi per il business privato.
Se non si troveranno almeno quattro miliardi ogni anno per i prossimi cinque anni, per portare stabilmente la nostra spesa sanitaria al 7,5% del Pil, si rischia di rendere irreversibile la crisi della sanità pubblica. Non fare nulla per assumere il personale necessario, non dare un giusto riconoscimento economico e sociale a chi opera nelle strutture pubbliche, non costruire le case e gli ospedali di comunità previsti dal Pnrr sono tutti segnali negativi che la destra ha mandato sin qui, cui si aggiunge la follia dell’Autonomia differenziata che finirebbe per legittimare i divari territoriali tra Nord e Sud, tra aree urbane e aree interne, in materia di tutela della salute. Ogni giorno milioni di italiani si trovano a dover scegliere se curarsi o pagare le bollette. Essere curati meglio o peggio a seconda del portafoglio o del luogo di residenza non è giusto e non è compatibile con la nostra Costituzione. Questa è e sarà per il Pd una battaglia cruciale, nelle istituzioni e nel Paese, in vista della prossima manovra finanziaria.
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