Il nome del candidato, o assai più probabilmente della candidata, alle suppletive di Roma del prossimo 16 gennaio si deciderà «fra stasera e domani», promette il segretario del Pd Enrico Letta a Corriere.tv. Ma dopo il gran rifiuto di Giuseppe Conte, il pasticciaccio del Collegio Roma 1 non è ancora stato sbrogliato. E tanto per ribadire le rotture nel centrosinistra, il leader di Italia viva Matteo Renzi lancia sul tavolo la candidatura della ministra della Famiglia Elena Bonetti.

Non è romana, è di origine mantovana, ma Renzi, cui non manca il fiuto politico per i guai altrui, vuole continuare a mettere all’angolo il Nazareno che, in alternativa all’ex premier, aveva indicato l’opportunità di una candidatura di una donna. Ma il Pd non può regalare un seggio a Iv, e comunque non può rompere con i Cinque stelle.

Certo è che il rischio di perdere un seggio considerato sicuro è forte, viste le percentuali sempre basse dell’affluenza alle suppletive. Nel marzo 2020 a votare Roberto Gualtieri, allora ministro dell’economia del governo Conte 2, era andato il 17,66 per cento degli aventi diritto, circa 30mila persone.

Verso gennaio

Il tempo stringe. Le candidature vanno consegnate un mese prima, dunque entro il 16 dicembre. E a complicare la campagna elettorale al fortunato, o alla fortunata, ci saranno anche le feste di Natale e Capodanno. Formalmente Letta ha consegnato la matassa ai dem romani. Il no del presidente di M5s «non cambia la prospettiva» dell’alleanza giallorosssa, dice, «mi era parso che quel collegio meritasse una candidatura autorevole anche se fuori dalla logica del rapporto con il territorio. In queste ore il Pd romano farà le sue valutazioni e proporrà la candidatura migliore. L’eccezione era quella di Conte, una volta tramontata, la discussione è nella scelta del Pd romano».

Dunque fra ieri sera e oggi il segretario cittadino Andrea Casu, fresco di elezioni in parlamento – anche lui con elezioni suppletive, quelle scorse del collegio di Primavalle – sta compiendo un giro di consultazioni su una rosa di nomi, tutti femminili. «Una rosa larga», spiega. Sabato è stata convocata una direzione cittadina per mettere al voto la decisione finale.

La cosa più probabile è che la vicenda finisca con una – sempre non piacevole – sfida fra donne: la pallina della roulette impazzita dei dem potrebbe infatti fermarsi sul nome della consigliera regionale Marta Leonori, già assessora della giunta di Ignazio Marino ed ex direttrice della fondazione Italianieuropei. In queste ultime ore diminuiscono le probabilità di correre per Cecilia D’Elia, portavoce del Forum delle democratiche ed ex assessora alla provincia ai tempi della presidenza di Nicola Zingaretti.

Sarebbe definitivamente sfumata l’ipotesi di candidare Anna Maria Furlan, l’ex segretaria della Cisl, che il segretario ha nominato fra i garanti delle Agorà democratiche.

Letta aveva pensato a lei, convinto che anche Carlo Calenda avrebbe apprezzato. E invece la sindacalista non è amata da un amico di Calenda, e suo “compagno di strada” nella costruzione di un’area riformista fuori dal Pd, Marco Bentivogli, altro ex cislino che ha lasciato il sindacato proprio in polemica con la gestione Furlan. Per il Pd altre “papabili” non ci sono. Cioè non sono disponibili: le donne più forti in città sono tutte fresche di incarico in giunta, o nei municipi, dopo il voto delle amministrative.

La scelta del Pd

Prima dello scorso week end il Pd romano aveva già scelto l’ex europarlamentare Enrico Gasbarra, che nella sua lunga carriera politica è stato anche presidente del primo municipio che abbraccia una buona parte del collegio Roma 1. E che lì abita, da sempre. Gasbarra però si tira fuori dalla mischia, con garbo e decisione. Del resto il quadro delineato dal Pd nazionale porta o a un nome che rafforzi “l’operazione Agorà”, come quello di Anna Maria Furlan o Gianrico Carofiglio; oppure a una donna.

Dopo il tira e molla (di questo si tratta) di Conte, finito con un abbandono del campo da parte dell’ex premier, Letta ora si trova nella scomoda posizione di chi sta fra l’incudine di Carlo Calenda e il martello dei Cinque stelle. L’ex ministro a La7 spiega che con Conte in campo si sarebbe candidato perché «ritengo i Cinque stelle portatori di disvalori e agisco di conseguenza».

Ribadisce dunque che non si alleerà con loro: «Il campo largo del centrosinistra non c’è, io non vado con i Cinque stelle, non mi fido di loro», ma anche con Letta qualcosa si è rotto, «mi sono fidato ma questa vicenda mi ha fatto capire che anche lui non decide niente». Il pasticciaccio brutto del Collegio 1 finirà per avere conseguenze sul «campo largo» che Letta giura di voler costruire. La rottura è già andata ben oltre le vie del centro di Roma.

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