Secondo l’Europol, il giro d’affari della criminalità organizzata in Ue è di 188 miliardi di dollari. Nonostante una risoluzione, Il reato di associazione mafiosa non c’è ancora in molti Stati dell’Ue
I temi trattati in questo articolo saranno discussi nell’ambito dell’evento L’Europa di Domani, il 23 e 24 novembre a Roma
Le stime sui profitti annui dei nove principali mercati criminali dell’Unione europea – arrotondati certamente per difetto per stessa ammissione dell’Europol (l’ufficio europeo di polizia) nel suo rapporto 2023 – parlano di un giro da 188 miliardi di dollari. Infatti, spiega il rapporto, «il mondo sta diventando più piccolo grazie a commercio, comunicazione e infrastrutture. Il lato buio della medaglia è che il nostro mondo interconnesso viene sfruttato da criminali che hanno creato un’economia sotterranea per sostenere le loro operazioni illegali».
Denaro che alimenta la macchina delle organizzazioni criminali – stimate in circa 5mila nel 28 paesi Ue – che operano in più di uno Stato e si spartiscono il mercato illegale che va dal traffico di droga alla contraffazione, dalla prostituzione e traffico di esseri umani e traffico di armi, fino al riciclaggio.
Non si tratta solo delle mafie italiane, le cosiddette mafie storiche che sono la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra: in Ue si muovono anche i clan albanesi, le varie mafie russofone e quella turca, le gang di motociclisti diffuse in Nord Europa e i clan vietnamiti attivi nei paesi orientali.
Il contrasto a queste organizzazioni ha fatto passi avanti nel corso degli anni, come il potenziamento di Eurojust (la magistratura dell’Unione) e un maggiore coordinamento a livello europeo. Tuttavia le mafie e le organizzazioni criminali si continuano a giovare della ancora insufficiente armonizzazione giuridica tra paesi, approfittando in particolare delle giurisdizioni che, a differenza di quella italiana, dispongono di un apparato normativo meno strutturato in materia di contrasto.
La sfida della cooperazione
Basti pensare che, pur a fronte di una risoluzione del parlamento europeo del 2021 che prevede che gli Stati membri introducano nel loro ordinamento leggi specifiche sul crimine organizzato di tipo mafioso, ancora non esiste alcuna omogeneità.
O meglio, ancora molti stati non hanno adempiuto all’introduzione. Proprio questo dovrebbe essere il passo necessario perché la collaborazione tra giurisdizioni diventi davvero efficace, anche in ottica di contrasto, per contrastare le associazioni criminali che agiscono a livello transnazionale.
Secondo quanto emerso dalle audizioni di esponenti della magistratura inquirente italiana svolte dal ministero della Giustizia per la relazione “Mafie ed Europa”, tra le mafie italiane quella che si è più espansa in Unione europea è la ‘ndrangheta calabrese. Il problema principale nel suo contrasto, però, è la «difficoltà della cooperazione giudiziaria quando si tratta di far comprendere alle autorità straniere la realtà dell’associazione mafiosa, che non coincide con quella di crimine organizzato».
Accanto alla non uniformità delle leggi e alla mancanza di un sistema penale unico europeo, un’altra questione è quella della sottovalutazione del fenomeno a livello europeo, in cui manca ancora una percezione condivisa in merito all’invasività del fenomeno. Alcuni paesi, come la Germania che è stata teatro di eventi criminali eclatanti come la strage di ‘ndrangheta a Duisburg del 2007, hanno iniziato a mettere a fuoco il problema, ma esiste ancora una questione complessiva di percezione e di riconoscimento del fenomeno.
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