- A Torino come a Roma nel 2016 i Cinque stelle avevano fatto il pieno di consensi nelle periferie. Quest’anno, le 30mila preferenze raccolte da Laura Sganga al primo turno si sono divise al secondo tra centrosinistra e astensionismo.
- Il Movimento aveva perduto tantissimo già al primo turno, considerato che la sindaca uscente era Cinque stelle: ora è chiaro che i dirigenti del M5s non sanno più governare i voti (e neanche ci provano).
- Aveva provato a intercettare, senza successo, i voti grillini Paolo Damilano. Un candidato che è però risultato troppo lontano per chi un tempo votava Appendino.
Torino, un tempo esempio luminoso dell’amministrazione grillina, ha visto consumarsi al secondo turno la diaspora del voto Cinque stelle. Cinque anni fa Chiara Appendino aveva vinto con oltre 200mila voti, staccando di quasi trentamila l’avversario Piero Fassino. Ieri Stefano Lo Russo, candidato del centrosinistra, ha vinto il ballottaggio con la stessa quantità di voti che aveva preso l’ex segretario dei Ds. Tra il primo e il secondo turno il centrosinistra ha guadagnato quasi trentamila voti. Paolo Damilano, che al primo turno si era piazzato ad appena 5 punti percentuali da Lo Russo, si è fermato a 116mila voti, diecimila meno di quanti ne aveva presi due settimane fa.
L’affluenza, già in calo rispetto al 2016 quando era quasi al 60 per cento, è andata ulteriormente calando: il 3 e il 4 ottobre era stata del 48 per cento, ieri soltanto del 42.
Il destino dei Cinque stelle
Ad andar perduti sono stati i voti grillini. Due settimane fa la candidata del M5s Laura Sganga aveva portato a casa l’8 per cento, un risultato in linea con le previsioni ma debolissimo considerato che al Movimento apparteneva la sindaca uscente. Ma quella percentuale, al secondo turno, si è divisa tra centrosinistra e astensionismo. «Il vero protagonista di questa tornata di ballottaggi è in modo drammatico l’astensionismo», ha scritto in serata Giuseppe Conte su Facebook.
Soprattutto al nord i voti del M5s non sono più sotto controllo del partito. E i vertici dei Cinque stelle hanno accuratamente evitato di fornire indicazioni: a differenza di Roma non c’è stato l’endorsement di Giuseppe Conte, mentre il compagno e il marito di Sganga e Appendino avevano apertamente dichiarato la loro preferenza opposte per il centrodestra. «Torino è tradizionalmente una città di centrosinistra, una parte del nostro elettorato ha scelto Lo Russo al secondo turno, il resto non ha votato», dice un deputato grillino.
Il risultato segna quindi la conclusione definitiva della (breve) parabola grillina. Il Movimento non aveva tenuto già al primo turno, ma al secondo Lo Russo ha mostrato di essere in grado di mobilitare un gran numero di elettori, portando a casa una buona parte di voti ex grillini e dimostrando alla dirigenza nazionale del Pd di essere capace di ottenere un risultato fino a qualche mese fa tutt’altro che scontato. Appendino poco dopo la chiusura delle urne ha fatto le congratulazioni al vincitore auspicando un veloce passaggio di consegne.
Ma tra i due alleati (almeno sul piano nazionale) resta il gelo. I Cinque stelle avevano valutato di aprire un dialogo con il rivale di Lo Russo per la candidatura a sindaco, il rettore del politecnico Guido Saracco. Ma la decisione di Sergio Chiamparino e Fassino di insistere sul nome dell’ex capogruppo Pd in Consiglio comunale ha tagliato ogni possibilità di dialogo.
Se si guarda alla distribuzione geografica dell’astensione, si registra un calo della partecipazione soprattutto nelle periferie: zone che sono state grandi bacini di voti per i Cinque stelle sia a Torino che a Roma, ma che già al primo turno erano state molto più timide di cinque anni fa nell’esprimere il proprio sostegno al Movimento. A lanciarsi alla rincorsa dei voti una volta appartenenti al M5s era stato, nelle ultime settimane di campagna elettorale, il centrodestra.
Visti i risultati è evidente che l’impegno di Damilano non è bastato. L’imprenditore, che viene catalogato come un leghista “tendenza Giorgetti”, era troppo lontano dalle aspettative di chi un tempo votava Appendino.
«Chi vive nelle periferie e sperava in un cambiamento non può vederlo in un partito che sta al governo», dice un deputato leghista.
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