Il momento chiave è l’interrogatorio di garanzia, la prossima settimana. Il legale del governatore: «Siamo pronti, c’è l’esigenza di farsi sentire»
Il futuro politico della Liguria è appeso all’interrogatorio di garanzia di Giovanni Toti, ai domiciliari dal 7 maggio nell’ambito dell’inchiesta per corruzione elettorale. I pm volevano ascoltarlo venerdì scorso, ma il presidente della regione si è avvalso della facoltà di non rispondere. «Stiamo leggendo le carte», aveva commentato il suo legale, Stefano Savi, che in questi giorni è anche diventato il veicolo delle scelte politiche del suo assistito.
La settimana scorsa aveva detto che le eventuali dimissioni sarebbero state discusse con la maggioranza, ora ha fatto sapere di aver chiesto alla procura la fissazione di un nuovo interrogatorio. «A questo punto non prima della prossima settimana», ha commentato l’avvocato Savi, visto che per ora i pm non hanno comunicato una nuova data. Ma «siamo pronti», ha aggiunto, dicendo che il presidente «ha l’esigenza di farsi sentire».
La sensazione è che Toti ritenga di avere in mano elementi per chiarire i fatti, in maniera sufficiente almeno a escludere che continuino a sussistere gli estremi per la misura cautelare. Il politico dovrà convincere il gip che non esiste alcun pericolo attuale e concreto che lui possa commettere di nuovo il reato che gli viene contestato, dunque la corruzione elettorale. «In particolare, che possa reiterare, in occasione delle prossime elezioni, analoghe condotte corruttive, mettendo la propria funzione al servizio di interessi privati in cambio di utilità per sé o per altri», si legge nell’atto che ha disposto i domiciliari. Solo dopo l’interrogatorio il suo legale sarebbe intenzionato a chiedere la revoca della misura, senza presentare prima l’istanza di riesame.
A questi tempi si è adeguato anche il centrodestra. «La revoca dei domiciliari è la condizione determinante perché Toti rimanga al suo posto», chiarisce una fonte di Fratelli d’Italia. Altrimenti? «Sarà game over», conferma un deputato di Forza Italia.
Del resto lo ha detto anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, convintamente garantista tanto da esporsi in prima persona in difesa del presidente: «Toti non può governare stando ai domiciliari, è una condizione che assieme alla pressione psicologica lo costringerà a dimettersi». Anche il vicepremier di Forza Italia, Antonio Tajani, ha confermato questo intendimento: «Aspettiamo che cosa accade e di vedere il tribunale del riesame». E pure la Lega ha abbassato gli scudi.
Questa, dunque, è la linea del governo: prudente distanza dal presidente ligure, con l’indicazione precisa che, se i domiciliari verranno confermati, le dimissioni saranno sostanzialmente obbligate anche se a ridosso delle elezioni europee. Nessuno da destra le chiederà formalmente, anche perché sarebbe complicato. Soprattutto dopo i molti interventi, anche da parte dei ministri, nel corso della settimana per ribadire il principio della presunzione di innocenza. Tuttavia «ce le aspetteremo tutti», è la spiegazione che dà chi segue da vicino la vicenda. In altre parole, per conservare un legame con il centrodestra, Toti dovrà intestarsi la scelta delle dimissioni in caso di conferma dei domiciliari.
Di qui l’importanza nevralgica dell’interrogatorio di garanzia. Anche ambienti di procura hanno confermato che verrà fissato «al più presto». Nel mentre, gli inquirenti stanno continuando la loro attività istruttoria, con l’ascolto degli altri indagati ma anche dei testimoni.
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Dai ranghi della maggioranza trapela la volontà di gestire nel modo più ordinato possibile la vicenda: avere un presidente ai domiciliari rimane un problema politico, anche se giuridicamente tutti hanno ribadito che vale la presunzione di innocenza.
Di conseguenza, meglio chiudere in anticipo di un anno il secondo mandato di Toti e prendere in mano le redini della situazione, invece che rimanere nel limbo di un processo necessariamente lungo. Anche perché l’attenzione deve rimanere sui molti progetti avviati anche grazie al Pnrr, che sarà più complicato gestire con una giunta regionale azzoppata di cui non è ancora stata testata la stabilità.
Ma andare a elezioni anticipate non sarà semplice. Per ora non ci sono candidati naturali alla successione, e ogni valutazione su a quale partito spetterà indicare il prossimo presidente sarà comunque rinviata a dopo le europee, che potrebbero far cambiare gli equilibri interni alla coalizione di centrodestra. Tuttavia è molto probabile che sia un esponente del partito di Meloni a rivendicare Palazzo della Navigazione.
Questi sono i discorsi che stanno tenendo banco dentro la maggioranza, da cui emerge tutto il fastidio per un’inchiesta che in molti continuano a considerare «a orologeria». Ma l’ordine arrivato dall’alto è quello di abbassare i toni nei confronti dei magistrati e di lasciar decantare la situazione. Anche perché la convinzione, dentro tutti i partiti che compongono l’esecutivo, è che l’inchiesta non inciderà sul voto alle europee. Toti era comunque un battitore libero, quasi un civico – è il ragionamento interno al centrodestra – e l’indagine per ora rimane circoscritta. Inoltre la levata di scudi contro il tempismo dei pm negli arresti ha funzionato nel sollevare dubbi sull’iniziativa della procura.
Per ora, dunque, Toti ha un’altra settimana per calcolare le sue mosse in vista del futuro, sia giudiziario sia politico.
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