Se al voto del 18 ottobre per la nuova Anm le toghe di Mi ottenessero un risultato positivo, potrebbero considerare la possibilità di lasciare il sindacato unico
- Il 18 e 20 ottobre si vota per eleggere il nuovo “parlamentino” dell’Anm. La crisi della magistratura associata, però, ha portato all’ipotesi di una scissione del sindacato unico.
- A volerla sarebbe una parte delle toghe conservatrici di Magistratura indipendente, messa all’angolo dopo lo scandalo Palamara.
- Se ottenesse un buon risultato alle urne, potrebbe valutare l’opportunità di lasciare l’Anm, assestando un duro colpo ai progressisti Area, che a quel punto perderebbero l’egemonia.
La voce gira da tempo e non stupisce i magistrati con la memoria lunga: l’Associazione nazionale magistrati, che corrisponde al sindacato delle toghe ed è l’organismo più politico della vita associativa, potrebbe subire una drammatica scissione. Il condizionale è d’obbligo, perché la prospettiva è ancora fluida.
Eppure i presupposti perché si consumi lo strappo ci sono tutti: all’interno i rapporti politici sono estremamente fragile tra le correnti ancora dilaniate dal caso Palamara; dall’esterno incombe la riforma voluta dal ministro Alfonso Bonafede, che introduce sanzioni in caso di mancato rispetto dei tempi processuali da parte delle toghe. In questo quadro, il rischio è che l’unità sindacale non regga.
Tutto dipende dall’esito delle votazioni che si terranno dal 18 al 20 ottobre, quando gli oltre ottomila magistrati italiani eleggeranno il cosiddetto “parlamentino” dell’Anm. Alle votazioni si presenteranno cinque sigle: il cartello conservatore composto da Magistratura indipendente e Movimento per la Costituzione; i moderati di Unicost; il cartello progressista di Area; Autonomia e Indipendenza e infine l’ultima arrivata, la sigla dei magistrati non organici alle correnti tradizionali che si sono radunati in Articolo 101.
I sorvegliati speciali
A gettare le basi per la scissione dell’Anm sarebbe un risultato particolarmente positivo del cartello conservatore di Mi-MpC, considerato “sorvegliato speciale” tra le correnti perché percepito come il gruppo più compromesso con la logica correntizia svelata dall’inchiesta di Perugia.
Negli ultimi mesi dell’attuale Anm, Mi è passata dall’essere corrente di maggioranza relativa a gruppo messo all’angolo. Per questo, «Se l’esito del voto dovesse essere positivo per la lista “Mi- Mpc”, lo strappo rischierebbe di avvicinarsi. Se invece lo schieramento ottenesse un risultato molto sfavorevole, è plausibile che si limiterebbe a un’opposizione di testimonianza, in attesa di tempi migliori», è la ricostruzione fornita dal quotidiano Il Dubbio.
Nel caso di scissione le toghe progressiste, che rappresentano il gruppo di maggioranza, subirebbero un duro colpo: da padrone del sindacato unico a egemoni solo di un sindacato d’area. Inoltre si creerebbe una dicotomia forte: da una parte l’Anm, controllata dai progressisti di Area; dall’altra una nuova rappresentanza sindacale coordinata dal cartello dei conservatori a cui potrebbe aderire anche Articolo 101. La frammentazione renderebbe ancora più tesi i rapporti interni alla magistratura associata, ma soprattutto la rottura dell’unità sindacale complicherebbe i rapporti con il ministero della Giustizia.
«Al momento intendiamo partecipare alle elezioni dentro l’Anm, perché non vogliamo disperderne il patrimonio e la storica capacità rappresentativa di tutti i magistrati italiani», dice Andrea Reale, esponente di Articolo 101. Che però aggiunge una postilla: «Auspichiamo che il nuovo comitato direttivo centrale attui un confronto serio per un reale percorso di autoriforma».
Come dire: la fiducia nell’Anm non è assoluta, ma a termine. I vertici di Mi, invece, non entrano nel merito di alcuna ipotesi: ribadiscono di essere per l’unità sindacale delle toghe e confermano che parteciperanno a tutte le prossime assemblee dell’Anm.
Eppure, le indiscrezioni su possibili progetti di scissione si sono fatte sempre più insistenti e sono arrivate anche all’interno del Csm. Nell’organo di autogoverno della magistratura, tuttavia, prevale una visione più pragmatica.
«Qualcuno potrebbe approfittare della crisi evidente dell’Anm per fare una scissione di cui si sente parlare da tempo», ammette uno dei togati, «ma ora come ora la realtà suggerisce che avvenga il contrario». Ovvero, che tutto rimanga com’è oggi, perché da una scissione tutti avrebbero più da perdere che da guadagnare. Anche dall’area progressista, la smentita è secca: la scissione sarebbe «poco comprensibile», perchè non risolverebbe ma anzi aggraverebbe la crisi generale. Per avere certezza che queste siano solo manovre sotterranee più utili a creare tensione che a produrre una vera rottura, però, bisognerà aspettare dieci giorni e l’esito delle urne.
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