- Produttività, rispetto delle regole, giovani laureati. Su ciascuno di questi fronti un baratro crescente separa l’Italia dalle economie comparabili.
- Nessuna forza politica che voglia invertire il declino dell’Italia può trascurare questi dati. Ogni altra priorità – disuguaglianze, clima, sanità, diritti – deve essere coordinata con quelle che essi impongono, e con le opportunità che lasciano intravedere.
- Elly Schlein potrebbe cambiare il Pd, e ha ricevuto non pochi consigli su cosa fare. Le suggerisco di prendere quei tre dati come bussola. Anche per incalzare il governo.
Se l’Associazione dei falsi invalidi si fondesse con l’Associazione dei grandi predatori di risorse pubbliche, la foto di gruppo dell’allegra assemblea non differirebbe molto dal ritratto dell’attuale maggioranza parlamentare. Se l’Associazione dei chiacchieroni organizzasse una gara tra i propri campioni, lo spettacolo non differirebbe molto da un qualsiasi duello televisivo tra i Cinque stelle e il terzo polo.
Due tratti spiccano sullo sfondo di questa caricatura, che dovrebbero conservare la capacità di stupirci. Uno è che l’Italia resta sulla rotta tracciata da tre decenni di declino. L’altro è che quattro votanti su cinque scelgono i partiti ai quali ho appena alluso, e i quattro elettori su dieci che non votano più accomunano nel medesimo disinteresse anche quello che non ho menzionato, il Pd.
È un partito migliore? Non molto: questo giornale ne ha auspicato lo scioglimento, e io non ne avrei pianto. Anche il dibattito attorno alle primarie è stato superficiale. Ma l’esito ha sorpreso, e ora il Pd potrebbe cambiare.
La crescita della produttività
Le pagine dei giornali si sono presto riempite di consigli e ammonizioni a Elly Schlein. Non sapendo cosa aggiungere, le do i numeri: tre dati, che la sua segreteria potrà rendere in grafici che comparino l’andamento di lungo periodo dell’Italia con quello dei suoi pari (Francia, Germania e Spagna; e Giappone, Gran Bretagna e Stati Uniti), da un lato, e delle nazioni balcaniche, dall’altro.
Primo dato: crescita della produttività. È alimentata dagli investimenti e dall’innovazione, ed è il vero motore della crescita. Dopo la svolta neoliberale rallentò in quasi tutte le economie avanzate (trascuro quelle balcaniche perché arretrate). In Italia si è pressoché fermata.
È soprattutto per questo che alla vigilia della pandemia il reddito pro capite era sul livello di vent’anni prima, mentre nel medesimo periodo in Germania, Francia e Gran Bretagna era cresciuto tra il 22 e il 35 per cento. Ancora peggiore è l’andamento del reddito disponibile, ossia quanto ogni anno la famiglia media può spendere o risparmiare: nel 2019 – prima del Covid, della guerra, dell’inflazione – era sul livello della fine degli anni Ottanta.
La supremazia della legge
Secondo dato: supremazia della legge. In genere, quanto le regole sono rispettate in ogni paese? Quanto ci si attende che gli altri le rispettino? L’indicatore più affidabile, elaborato dalla Banca mondiale, ordina le nazioni del globo secondo una scala che va da +2,5 a –2,5. Nelle ultime stime il livello dell’Italia è 0,27; la media dei suoi pari è 1,37; la media dei Balcani è –0,10. Quindi l’Italia è a mezz’aria: un terzo sopra i Balcani, due terzi sotto i suoi pari.
Ma la traiettoria è declinante. Nel 1996, quando iniziarono queste stime, il livello dell’Italia era 1,06 e la media dei suoi pari 1,50. Quindi ora il divario tra l’Italia e i suoi pari è più che doppio che nel 1996.
Se questa deriva proseguisse un giorno potremmo risvegliarci con un reddito balcanico, per almeno due ragioni. Una è che innovazione e rispetto delle regole paiono essere strettamente correlate. L’altra è che meno le regole sono rispettate più bassa tende a essere la fiducia reciproca: e come scrisse Kenneth Arrow, «molta dell’arretratezza economica presente nel mondo può essere spiegata dall’assenza di fiducia reciproca». (Nel 1963, tra l’altro, nel saggio che fondò la «health economics», Arrow dimostrò perché nella sanità il mercato funziona male: tema che la campagna del Pd in Lombardia ha ignorato).
Giovani laureati
Terzo dato: giovani laureati. Qui l’Italia è già balcanica. La percentuale dei giovani – da 25 a 35 anni – che hanno conseguito la laurea (28 per cento) è penultima nell’Ue (41 per cento, in media). È sopra la Romania (23 per cento), ma è sotto la Bulgaria (34 per cento) e quasi tutti i paesi balcanici. Sappiamo che le imprese italiane cercano e pagano relativamente poco le competenze elevate, principalmente perché in media sono troppo piccole; quindi non sorprende che molti giovani rinuncino a laurearsi: ma come si fa innovazione, come si riavvia la produttività, se questo circolo vizioso prosegue?
Nel suo decennio di governo il Pd ha generalmente ignorato questi tre dati: forse per «colpa degli alleati», forse perché gli equilibri interni erano più importanti. Se Schlein ha aspirazioni balcaniche – anch’io ho un consiglio per lei – prosegua così. Ma consideri che ogni sua priorità – disuguaglianze, clima, diritti – può essere coordinata con quelle che quei tre dati impongono, e con le grandi, grandissime opportunità che essi lasciano intravedere.
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